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Livorno PDF Stampa E-mail

5 Gennaio 2013

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Vi parlo di Livorno, la mia città, non è bellissima ma intrigante; sebbene piaccia più ai turisti che a chi ci abita, non potremmo vivere altrove, perché chi nasce livornese, muore livornese, un po’ per vocazione e un po’ perché non c’è speranza di fuga. Gli abitanti di questa confusionaria città, hanno tutti uno spirito anarcoide e libertario, non è un caso se un vecchio detto recita “Se vo’ fa ’ome ti pare, vai a Livorno !”. La città fu fondata da ex galeotti, prostitute, ruffiani, senza patria di tutte le terre e di tutti i credi e questo brodo culturale è la nostra vera anima anche oggi.

Livorno è stata fondamentale, nella storia della nostra patria, lo testimonia la Medaglia d'oro come Città benemerita del Risorgimento, per avere eroicamente resistito nel maggio 1849 all’assalto austriaco dopo il disastro di Novara ed essere stata «il centro più importante del movimento democratico e repubblicano». Fu da qui che Giuseppe Garibaldi, il 30 ottobre 1848, inviò uno dei suoi messaggi più celebri che terminava così: «Coraggio, o lombardi! Prorompete da ogni verso sui barbari, tutti gli italiani sorgano armati, e sia guerra di popolo che sprezza gli ostacoli, deride i pericoli, non conta i nemici; sia guerra di nazionale vendetta, senza sosta, senza misericordia. A rivederci, o lombardi, in mezzo alla mischia!». Garibaldi amava Livorno al punto da spingere l’ultima moglie Francesca e la figlia Clelia a prendere casa all'Ardenza, non lontano dalla famosa Accademia Navale che ebbe tra i primi cadetti Manlio Garibaldi.  Pur per pochi mesi, l’Eroe dei due mondi, fu Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia. Livorno è stato l’unico centro in Italia, dove l’attività libero-muratoria non si è mai interrotta, neppure quando la massoneria è stata messa al bando dal governo lorenese, durante la Restaurazione, e da quello mussoliniano. Sarebbe sufficiente ricordare Adriano Lemmi, patriota, cospiratore, amico e finanziatore di Mazzini, che per dieci anni, alla fine dell’Ottocento, aveva retto le sorti della più grande e potente organizzazione della massoneria italiana. Tuttora si calcola che a Livorno, su 160 mila anime, c’è un massone ogni 500 abitanti, a Roma uno ogni 1.800, in Italia uno ogni 3.000.

La Livorno storica è quella delle architetture liberty, della Terrazza Ciano (divenuta dopo la guerra, Terrazza Mascagni), delle Fortezze Vecchia e Nuova, la città del Vernacolo, dei pittori macchiaioli, di Modigliani, del musicista Mascagni, del poeta Caproni, del cantautore Ciampi …

Nel dopoguerra la città fu luogo d’insediamento di un grande campo militare dell'esercito americano, terra di contrabbandieri, prostitute e disertori. Su questi fatti, fu girato un film neorealista “Tombolo, paradiso nero”, ispirato da un articolo di Indro Montanelli. Da allora l’identità della nostra città cominciò lentamente a mutare, subendo come il resto dell’Italia, il processo di americanizzazione, un processo che negli ultimi anni si è accelerato a causa della globalizzazione.

Oggi Livorno è una città profondamente in crisi economica, occupazionale e culturale; multietnica e multiculturale, con un tasso di criminalità in preoccupante aumento. Complice della globalizzazione, il malgoverno della città; il Cantiere Navale Luigi Orlando è stato lasciato andare in malora, lo storico Mercatino Americano, distrutto, per lasciare spazio a una comune piazza priva d’identità, i cinema – eccezion fatta per le multisale – chiudono, e il Cinema Odeon, tra i più grandi d’Italia, un progetto futurista del grande architetto Virgilio Marchi, è stato parzialmente demolito per costruire un parcheggio in nome della modernità mondialista. La Fortezza Nuova chiusa da anni, inaccessibile a cittadini e turisti, la Fortezza Vecchia pericolante e a rischio crollo, la Terrazza Mascagni, preda di vandali, le strade della città sporche e piene di buche, i negozi falliscono in massa, sostituiti dalle botteghe di cinesi e da grandi aziende multinazionali della moda. Con spavaldo coraggio, resistono lungomare, le vecchie ville liberty di straziante bellezza e i locali “bene” come La Baracchina rossa, ma anche qui con il passare del tempo, il paesaggio è deturpato da nuove orrende costruzioni estranee all’identità urbana e architettonica storica.

I livornesi si lamentano sempre delle deficienze della propria amministrazione, come fossero migliori di chi li governa, ogni volta promettono che la prossima voteranno diversamente, ma poi niente cambia persistendo nel loro masochistico degrado. Livorno si trasforma a colpi di mondialismo, ma i livornesi non cambiano perché sono fieri di essere ciò che sono, qualsiasi cosa siano, e questa fedeltà identitaria è nonostante tutto il loro miglior pregio.

 

Gianluca Donati

 

 

 

  

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