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I mali della pace? PDF Stampa E-mail

31 Gennaio 2013

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Erich Fromm nel suo “Anatomia della distruttività umana” ha sostenuto che la causa ultima delle guerre è l’aggressività innata nella specie umana, la pulsione verso la distruzione e la morte. Anche l’ultimo Freud vide nell’umanità del XX secolo  una crescente propensione verso Thanatos, l’istinto di morte, l’altro polo dialettico rispetto a Eros.

Pertanto le varie cause che storici e politologi individuano per spiegare le guerre, sarebbero niente altro che pretesti. Non le motivazioni economiche, non il controllo delle risorse, non il bisogno di fare razzìa di schiavi, non l’odio etnico o settario, non il calcolo di impadronirsi di posizioni strategiche prima che lo facciano potenziali nemici, ma l’istinto primario di sopraffazione e di esercitare la violenza è la causa vera dei conflitti.

 Se questa carica aggressiva non si sfoga all’esterno, finisce con lo scaricarsi all’interno della stessa comunità, con conseguenze che possono portare alla sua dissoluzione. Oppure la compressione dell’istinto che porta a crearsi un nemico e a combatterlo, infiacchisce gli animi e corrompe i costumi. Se la violenza non è esercitata all’esterno, finisce col manifestarsi in guerra civile o a tramutarsi nell’infiacchimento della decadenza. Era quanto intendevano gli antichi romani col loro detto longae pacis patimur mala: soffriamo i mali di una (troppo) lunga pace.

 Seguendo questa linea di pensiero, dovremmo concludere che i casi frequenti di follia omicida , gli scontri fra le fazioni rivali nelle competizioni calcistiche, gli atti apparentemente insensati di puro teppismo, sono la conseguenza di una pace pluridecennale.

Perfino il fenomeno del femminicidio, da non confondersi con lo stupro, essendo il femminicidio un omicidio, quasi sempre  entro le mura domestiche e attuato da compagni delle vittime, potrebbe essere interpretato in questa ottica. La carica di violenza che l’obbligo del “politicamente corretto” non permette più di sfogarsi sul nemico esterno, si rivolge contro un altro oggetto, nell’intimità stessa della casa, contro la donna muscolarmente più debole ma altrettanto aggressiva, competitiva e prevaricatrice.

 Questo modo di ragionare è non solo pericoloso ma sbagliato.

Gli istinti aggressivi possono essere deviati e controllati. La pratica sportiva, la competizione fisica, è da sempre una guerra ritualizzata, un modo per sfogare l’aggressività rendendola innocua. Cos’altro è in una partita di calcio l’azione di una squadra che invade la metà campo avversaria per impadronirsene e violare la sua porta se non una guerra ritualizzata e risolta in modo simbolico?

Se l’aggressività diventa scontro con le armi, strage e sopraffazione sul nemico vinto, ci sono motivazioni economiche, politiche, interessi di gruppi sociali, che devono essere denunciati. Inoltre vediamo che i reduci dai fronti, anziché diventare persone pacifiche che hanno scaricato la loro aggressività contro un nemico esterno, sono abbastanza spesso segnati dalla violenza in modo tale da diventare psicopatici con la coazione a ripetere anche nella vita civile i comportamenti violenti dei loro traumi bellici. Del resto la guerra odierna, almeno quella condotta dalle forze armate supertecnologiche dell’Occidente, facendo largo uso di droni, robot, armi telecomandate, non è più lo scontro fisico diretto dei guerrieri di un tempo, escludendo con ciò qualunque tentativo di riscattarla in nome di una presunta istintualità che richiede di sfogarsi.

Quanto al femminicidio, qualunque tentativo di sminuirne la gravità sarebbe colpevole.

Se sommiamo alle più di cento donne uccise in un anno in Italia dai loro uomini le tante altre  che vengono ferite o pestate a sangue, abbiamo il quadro di un conflitto fra generi che si fa crescente quanto più si affievolisce il conflitto fra le generazioni.

Qui siamo in presenza non di un istinto aggressivo che non sfogandosi più contro il nemico esterno lo trova fra le mura domestiche, ma di un uomo che non ha saputo riposizionarsi adeguandosi a quella rivoluzione femminile che, piaccia o non piaccia, era inevitabile in un’epoca in cui le uniche cause dell’inferiorità sociale delle donne, la minore potenza muscolare e le frequenti gravidanze, non esistono più o non hanno più l’incidenza di un tempo. L’uomo ha reagito al nuovo protagonismo femminile o deresponsabilizzandosi e femminilizzandosi o, nei casi estremi ma sempre più frequenti, col ricorso alla regressione verso la violenza improvvisa e irriflessa.

 

Ci sono colpe, ci sono responsabilità che esigono la critica consapevole e l’autocritica. Non è il caso di trovare il facile capro espiatorio in una generica tendenza naturale alla violenza.

 

Luciano Fuschini            

Commenti
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Giovanni Marini (IP:151.45.205.164) 02-02-2013 18:47

Un articolo pieno di interessanti spunti di meditazione. Certamente la specie umana è la più aggressiva in assoluto, potendo mettere a vantaggio dell'aggressività naturale quell'extra in più dato dall'intelligenza che la potenzia e la esaspera fino a renderla del tutto fine a se stessa mentre nelle specie animali l'aggressività ha sempre una giustificazione data dalla conservazione della specie.
La repressione dell'istinto aggressivo da parte della società sotto varie e subdole forme può generare risultati abnormi: esplosioni di furia omicida da un lato, comportamenti femminilizzati dall'altro.
La cultura dominante incentiva queste aberrazioni.
L'uomo moderno avendo perso punti di riferimento forti è senza centro. Nel mondo dove tutto è possibile è costretto a fare i conti consciamente o meno con se stesso e manifesta il peggio della sua natura.

Veniamo ora al problema dei cosiddetti femminicidi. A leggere la stampa sembra che le donne siano diventate oggetto di una vera e propria aggressione omicida. I giornali hanno riportato uno stralcio del Rapporto sulla criminalità e la sicurezza in Italia-2010 in cui si rileva come la percentuale di donne ammazzate era del 11% nel 2009 e del 25% nel 2009 e su questo è stata costruita una campagna mediatica con mobilitazione di femministe e agenti del giornalismo della disinformazione.
E' stato omesso di dire che il numero totale di omicidi era nel 1991 di 2000 morti mentre nel 2009 è sceso a 586. Se calcoliamo le percentuali troviamo che nel 1991 ci sono state 220 donne ammazzate e nel 2009 146. Quindi il numero di donne vittime di omicidio è sceso non aumentato.
La riduzione del numero degli omicidi è dovuta ad una riduzione dei morti nell'ambito della criminalità organizzata.
Qui i dati.
http://www1.interno.it/mininterno/export/sites/default/it/assets/files/21/0501_sintesi_rapporto_icsa.pdf

Morale della favola: si conferma che i media nostrani sono spazzatura e se vuoi la verità te la devi faticosamente cercare.
Giovanni Marini (Registered) 02-02-2013 19:33

mi scuso per un errore
11% nel 1991 e 25% nel 2009
daniela (IP:151.42.18.135) 02-02-2013 22:12

Certo ad analizzare i dati che tu, Marini, riporti, si potrebbe effettivamente concludere che in termini assoluti il numero di donne ammazzate è diminuita.
Il fatto è che la parola coniata di recente, il femminicidio, come spiega chiaramente Fuschini, non sta ad indicare semplicemente la quantità di persone di genere femminile morte per delitto. La parola, che a me non piace perché insiste su quel "femmina" invece che donna(e nessuno userebbe l'equivalente, il maschicidio), l'ho accettata semplicemente perché, in modo efficace, individua una serie di delitti particolari che in passato erano meno frequenti e meno efferati, e che ora crescono di numero e in crudeltà. Poco tempo fa abbiamo sentito di un tizio che ha ucciso la prima donna che ha incontrato per strada, una sconosciuta, perché era stato lasciato dalla sua ragazza. Oppure abbiamo letto di una moglie rincorsa e poi uccisa in chiesa. Si tratta sempre di compagni, di mariti o di ex che non accettano di essere lasciati o anche solo di essere contraddetti. Sempre più spesso si sente di uomini che maltrattano le donne in modo compulsivo e che addirittura cercano aiuto perché non riescono a controllarsi. Dal punto di vista qualitativo mi sembra si stia manifestando un nuovo e più cruento fenomeno nella nostra società malata.
fosco2007@alice.it
admin (Super Administrator) 02-02-2013 22:33

Effettivamente i freddi numeri delle statistiche devono essere tenuti in considerazione ma non dicono tutto. Ricordo un filmato impressionante di uno o due anni fa, la registrazione di una telecamera posta in una stazione ferroviaria. Ci fu un alterco fra una giovane immigrata e un uomo, robusto ex pugile, per una questione di precedenza a uno sportello per l'acquisto del biglietto ferroviario. Agli insulti della donna, l'uomo rispose con un potentissimo pugno in faccia, portato di spalla con perfetta tecnica pugilistica. La donna rimase uccisa sul colpo. Ecco, queste cose un tempo non accadevano. Bisogna rifletterci.
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