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Sinistra capitalista PDF Stampa E-mail

8 Aprile 2013

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Tratto da Rassegna di Arianna del 3-4-2013

 

 

Sul fatto che alle elezioni la sinistra, a ogni latitudine e a ogni gradazione, sia andata incontro all’ennesima sonante sconfitta, non v’è dubbio e, di più, sarebbe una perdita di tempo ricordarlo, magari con documentatissimi grafici di riferimento. Più interessante, per uno sguardo filosoficamente educato, è invece ragionare sui motivi di questa catastrofe annunciata. E i motivi non sono congiunturali né occasionali, ma rispondono a una precisa e profonda logica di sviluppo del capitalismo quale si è venuto strutturalmente ridefinendo negli ultimi quarant’anni. Ne individuerei la scena originaria nel Sessantotto e nell’arcipelago di eventi ad esso legati. In sintesi, il Sessantotto è stato un grandioso evento di contestazione rivolto contro la borghesia e non contro il capitalismo e, per ciò stesso, ha spianato la strada all’odierno capitalismo, che di borghese non ha più nulla: non ha più la grande cultura borghese, né quella sfera valoriale che in forza di tale cultura non era completamente mercificabile.

 

Non vi è qui lo spazio per approfondire, come sarebbe necessario, questo tema, per il quale mi permetto, tuttavia, di rimandare al mio Minima mercatalia. Filosofia e capitalismo (Bompiani, 2012). Comunque, per capire a fondo questa dinamica di imposizione antiborghese del capitalismo, e dunque per risolvere l’enigma dell’odierna sinistra, basta prestare attenzione alla sostituzione, avviatasi con il Sessantotto, del rivoluzionario con il dissidente: il primo lotta per superare il capitalismo, il secondo per essere più libero individualmente all’interno del capitalismo. Tale sostituzione dà luogo al piano inclinato che porta all’odierna condizione paradossale in cui il diritto allo spinello, al sesso libero e al matrimonio omosessuale viene concepito come maggiormente emancipativo rispetto a ogni presa di posizione contro i crimini che il mercato non smette di perpetrare impunemente, contro gli stermini coloniali e contro le guerre che continuano a essere presentate ipocritamente come missioni di pace (Kosovo 1999, Iraq 2003 e Libia 2011, giusto per ricordare quelle più vicine a noi, avvenute sempre con il pieno sostegno della sinistra).

 

Dal Sessantotto, la sinistra promuove la stessa logica culturale antiborghese del capitalismo, tramite sempre nuove crociate contro la famiglia, lo Stato, la religione e l’eticità borghese. Ad esempio, la difesa delle coppie omosessuali da parte della sinistra non ha il proprio baricentro nel giusto e legittimo riconoscimento dei diritti civili degli individui, bensì nella palese avversione nei confronti della famiglia tradizionale e, più in generale, della normalità borghese. Si pensi, ancora, alla distruzione pianificata del liceo e dell’università, tramite quelle riforme interscambiabili di governi di destra e di sinistra che, distruggendo le acquisizioni della benemerita riforma della scuola di Giovanni Gentile del 1923, hanno conformato – sempre in nome del progresso e del superamento delle antiquate forme borghesi – l’istruzione al paradigma dell’azienda e dell’impresa (debiti e crediti, presidi managers, ecc.).

 

Il principio dell’odierno capitalismo postborghese è pienamente sessantottesco e, dunque, di sinistra: vietato vietare, godimento illimitato, non esiste l’autorità, ecc. Il capitalismo, infatti, si regge oggi sulla nuda estensione illimitata della merce a ogni sfera simbolica e reale (è questo ciò che pudicamente chiamiamo “globalizzazione”!). “Capitale umano”, debiti e crediti nelle scuole, “azienda Italia”, “investimenti affettivi”, e mille altre espressioni simili rivelano la colonizzazione totale dell’immaginario da parte delle logiche del capitalismo odierno. Lo definirei capitalismo edipico: ucciso nel Sessantotto il padre (l’autorità, la legge, la misura, ossia la cultura borghese), domina su tutto il giro d’orizzonte il godimento illimitato. Se Mozart e Goethe erano soggetti borghesi, e Fichte, Hegel e Marx erano addirittura borghesi anticapitalisti, oggi abbiamo personaggi capitalisti e non borghesi (Berlusconi) o antiborghesi ultracapitalisti (Vendola, Luxuria, Bersani, ecc.): questi ultimi sono i vettori principali della dinamica di espansione capitalistica. La loro lotta contro la cultura borghese è la lotta stessa del capitalismo che deve liberarsi dagli ultimi retaggi etici, religiosi e culturali in grado di frenarlo.

 

Dalla sinistra che lotta contro il capitalismo per l’emancipazione di tutti si passa così, fin troppo disinvoltamente, alla sinistra che lotta per la legalità, per la questione morale, per il rispetto delle regole (capitalistiche!), per il diritto di ciascuno di scolpire un sé unico e inimitabile: da Carlo Marx a Roberto Saviano. È certo vero che Berlusconi è il Sessantotto realizzato, come ha ben mostrato Mario Perniola in un suo aureo libretto: la legge non esiste, vi è solo il godimento illimitato che si erge a unica legge possibile. Ma sarebbe un errore imperdonabile credere che il capitalismo sia di destra. Lo era al tempo dell’imperialismo e del colonialismo. Oggi il capitalismo è il totalitarismo realizzato (a tal punto che quasi non ci accorgiamo nemmeno più della sua esistenza) e, in quanto fenomeno “totalizzante”, occupa l’intero scacchiere politico. Più precisamente, si riproduce a destra in economia (liberalizzazione selvaggia, privatizzazione oscena, sempre in nome del teologumeno “ce lo chiede l’Europa”), al centro in politica (sparendo le ali estreme, restano solo interscambiabili partiti di centro-destra e di centro-sinistra), a sinistra nella cultura. Sì, avete capito bene: a sinistra nella cultura. Dal Sessantotto in poi, la cultura antiborghese in cui la sinistra si identifica è la sovrastruttura stessa del capitalismo postborghese: il quale deve rimuovere la borghesia e lasciare che a sopravvivere sia solo la già ricordata dinamica di estensione illimitata della forma merce (essa stessa incompatibile con la grande cultura borghese). Di qui le forme culturali più tipiche della sinistra: relativismo, nichilismo, scetticismo, proceduralismo, pensiero debole, odio conclamato per Marx e Hegel, elogio incondizionato del pensiero della differenza di Deleuze, ecc.

 

In questo timbro “totalizzante” risiede il tratto principale dell’ormai avvenuta estinzione dell’antitesi tra destra e sinistra, due opposti che oggi esprimono in forme diverse la stessa visione del mondo, duplicando tautologicamente l’esistente. Negli ultimi “trent’anni ingloriosi”, il capitale e le sue selvagge politiche neoliberali, all’insegna della perdita dei diritti del lavoro e della privatizzazione sfrenata, si sono imposti con uguale forza in presenza di governi ora di centro-destra, ora di centro-sinistra (Mitterand in Francia, Blair in Inghilterra, D’Alema in Italia, ecc.). Di conseguenza, l’antitesi tra destra e sinistra esiste oggi solo virtualmente come protesi ideologica per manipolare il consenso e addomesticarlo in senso capitalistico.

 

Destra e sinistra esprimono in forme diverse lo stesso contenuto e, in questo modo, rendono possibile l’esercizio di una scelta manipolata, in cui le due parti in causa, perfettamente interscambiabili, alimentano l’idea della possibile alternativa, di fatto inesistente. Vi è, a questo proposito, un inquietante intreccio tra i due apoftegmi attualmente più in voga presso i politici – “non esistono alternative” e “lo chiede il mercato” –, intreccio che rivela, una volta di più, l’integrale rinuncia, da parte della politica, a operare concretamente in vista della trasformazione di un mondo aprioristicamente sancito immodificabile[...]

 

 

Lungo il piano inclinato che porta dalla nobile figura di Antonio Gramsci a personaggi come Massimo D’Alema o Vladimir Luxuria si è venuto consumando il tragicomico transito dalla passione trasformatrice al disincanto cinico – tipico della generazione dei pentiti del Sessantotto, la più sciagurata dal tempo dei Sumeri ad oggi – fondato sulla consapevolezza della morte di Dio, con annessa riconciliazione con l’ordo capitalistico. Con i versi di Shakespeare: “orribile più di quello delle erbacce è l’odore dei gigli sfioriti” (lilies that fester smell far worse than weeds). E questi gigli sono effettivamente sfioriti: sono l’incarnazione di quello che Nietzsche chiamava l’ “ultimo uomo”. L’ultimo uomo sa che Dio è morto e che per ciò stesso tutto è possibile: perfino aderire al capitalismo e bombardare il Kosovo o la Libia.

 

È, del resto, solo in questo scenario che si comprende il senso profondo della dinamica, oggi trionfante, della personalizzazione esasperata della polemica con l’avversario. L’antiberlusconismo, con cui la sinistra ha identificato il proprio pensiero e la propria azione negli ultimi vent’anni, ne rappresenta l’esempio insuperato. La personalizzazione dei problemi, infatti, si rivela sempre funzionale all’abbandono dell’analisi strutturale delle contraddizioni, ed è solo in questa prospettiva che si spiega in che senso l’antiberlusconismo sia stato, per sua essenza, un fenomeno di oscuramento integrale della comprensione dei rapporti sociali. L’antiberlusconismo ha permesso alla sinistra di riciclarsi, ossia di passare dall’opposizione operativa al capitalismo all’adesione alle logiche neoliberali, difendendo l’ordine, la legalità (capitalistica) e le regole (anch’essere capitalistiche). L’antiberlusconismo ha indotto l’opinione pubblica a pensare che il vero problema fossero sempre e solo il “conflitto di interessi” e le volgarità esistenziali di un singolo individuo e non l’inflessibile erosione dei diritti sociali (tramite anche le forme contrattuali più spregevoli, che rendono a tempo determinato la vita stessa) e la subordinazione geopolitica, militare e culturale dell’Italia agli Stati Uniti[...]

 

La politica ridotta al tragicomico teatro identitario dell’opposizione tra berlusconiani e antiberlusconiani ha permesso di far passare inosservato lo scolpirsi del nuovo profilo di una sinistra che – nel nome della questione morale e nell’oblio di quella sociale – ha abdicato rispetto alla propria opposizione agli orrori che il capitalismo non ha cessato di generare. È in questo senso che l’antiberlusconismo rivela la sua natura anche più indecente, se mai è possibile, dello stesso berlusconismo.  In questo risiede la natura tragica, ma non seria dell’odierna sinistra, fronte avanzato della modernizzazione capitalistica che sta distruggendo la vita umana e il pianeta. La sinistra è il problema e, insieme, si pensa come la soluzione. Il primo passo da compiere per riprendere il perseguimento del programma marxiano dell’emancipazione di tutti dal capitalistico regno animale dello spirito consiste, pertanto, nell’abbandono incondizionato della sinistra e, anzi, della stessa dicotomia destra-sinistra. Tutto il resto è chiacchiera d’intrattenimento o, avrebbe detto Marx, “ideologia”.

 

Diego Fusaro




 

Commenti
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fosco2007@alice.it
admin (Super Administrator) 08-04-2013 23:27

Analisi acutissima e illuminante, da integrare con una tesi di Costanzo Preve: il capitalismo è una macchina per la riproduzione allargata del capitale; pertanto non ha bisogno di una borghesia. La borghesia era una classe sociale coi suoi valori: perbenismo, conformismo, onestà negli affari, rischio calcolato negli investimenti. Il Sessantotto ha demolito quella classe sociale coi suoi valori, lasciando intatto il capitalismo, anzi rafforzandolo. "Proibito proibire" era uno slogan graditissimo alla logica della riproduzione allargata del capitale, che vuole individui liberi da remore tradizionali e soprattutto li vuole consumatori. Esistono ancora individui ricchissimi grazie al sistema capitalista, esistono gli amministratori del sistema, ma il sistema stesso potrebbe funzionare anche affidando l'amministrazione ai robot e ai computer. Per questo è attualissima la domanda drammatica: può l'umanità sopravvivere al crollo del capitalismo? La riproduzione allargata del capitale è niente altro che quella corsa folle del treno senza freni che corre verso l'abisso.
Giovanni Marini (Registered) 10-04-2013 19:07

Condivido la seconda parte dell'articolo, la prima merita di essere demolita perchè falsa e fuorviante.
L'autore afferma che il sessantotto colpì più la borghesia che il capitalismo spianando la strada all'odierno capitalismo. La prima cosa che mi viene da pensare dinanzi a codesta affermazione è se davvero il sessantotto fu un evento così epocale da causare addirittura una mutazione del capitalismo globale perchè di ciò non v'è traccia nei libri di storia o di economia (almeno in quelli facili che leggo). Anzi quel poco che ho letto in merito tende a svalutarne l'importanza. Diciamo intanto che negli anni sessanta il capitalismo (intendo quello privato) si identificava con la borghesia, era semplicemente indistinguibile da essa. Se volevi essere anticapitalista dovevi per forza essere antiborghese.
A parte i fenomeni del vietato vietare, spinello libero, promozione garantita e stupidità affini i giovani del sessantotto erano mediamente assai più colti e politicamente preparati delle attuali teste vuote crestate.
La contestazione non fu solo un attacco ai valori borghesi, anzi in ciò non fu neppure originale dato che erano già stati demoliti sul piano filosofico da Nietzche. Fu un vero attacco al capitalismo che passò dalla critica sociologica in chiave marxista alle armi vere e proprie (periodo impropriamente bollato come terrorismo). Data la disparità delle forze in campo l'epilogo non poteva essere che quello che fu. Quindi nessun passaggio dal rivoluzionario al dissidente, semplicemente la via rivoluzionaria fu tentata e persa. Purtroppo devo constatare che gli odierni intellettuali marxisti più che saggi non sanno produrre. Non per nulla hanno perso anche quella esigua rappresentanza parlamentare che storicamente era sempre stata presente nel nostro parlamento. Affibbiare la responsabilità dell'odierna evoluzione del capitalismo alla contestazione del Sessantotto quasi che senza di esso ora noi vivremmo ancora nell'epoca beata del paleocapitalismo borghese è concedere troppa importanza al fenomeno sessantottino. I valori borghesi erano già stati minati da tempo.
Davvero l'odierno capitalismo post borghese sarebbe frutto di banalità come il vietato vietare, il godimento illimitato, l'uccisione del padre? (inizio del 4° paragrafo) o non piuttosto dell'apertura dei mercati realizzatasi dopo la II guerra mondiale con la sconfitta delle dittature autarchiche? L'apertura dei mercati mondiali rende possibile lo sviluppo delle multinazionali e queste se ne impippano della borghesia e dei valori borghesi. Meno male che la risposta giusta se la dà involontariamente da solo quando nelle ultime righe del 5° paragrafo parla di estensione illimitata della forma merce. Che significa? Significa che caduti i limiti geografici il capitalismo per espandersi necessita di uniformare i bisogni, mentre i valori borghesi tradizionalisti e locali sono di intralcio. Un processo questo iniziato molto prima degli anni 60.
Altra perla: Berlusconi è il Sessantotto realizzato!
Qui siamo allo stesso livello di chi parla ancora di comunismo e fascismo in totale assenza di comunismo e fascismo. Il Sessantotto è morto e sepolto da tempo, fa parte di una storia tutto sommato abbastanza provinciale, sarebbe ora di smettere di enfatizzarne l'importanza. Il modello Berlusconi è il frutto dei disvalori del mondo moderno sui quali su questo sito si è ampiamente e approfonditamente discusso.

Secondo l'Autore anche l'evoluzione (o involuzione) della sinistra è frutto della generazione perduta del 68. Non potrebbe invece essere che a sinistra abbia prevalso infine il disincanto dell'impossibilità di una rivoluzione? O il lento convincimento che il modello comunista non fosse poi quel gran modello che si pensava, mentre contemporaneamente vicino, molto vicino si dispiegava l'altro modello, quello consumista? Beh potrebbe anche essere secondo me.

Sulle degenerazioni attuali della cosiddetta sinistra poi meglio stendere un velo pietoso e su questo concordo con l'autore.

In conclusione a me sembra che la posizione espressa in questo articolo sia intellettualmente un pochino disonesta come di chi non avendo prodotto alcun anticorpo utile contro il capitalismo sente il bisogno di lavarsene la coscienza.
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