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Individualismo Assoluto PDF Stampa E-mail

20 Maggio 2013

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 Da Rassegna di Arianna del 29-4-2013 (N.d.d.)


 

Si dice che l’uomo moderno è individualista per eccellenza, e che tutta la società moderna si basa sull’individualismo; ed è sostanzialmente vero. Bisogna però precisare che non si tratta di “un“ individualismo qualsiasi, di un individualismo più o meno “normale”, cioè storicamente dato, ma di un individualismo radicale, quasi di una nuova religione: di un “individualismo assoluto”.

Mai nella storia s’era visto alcunché di simile. Individui portati alla solitudine, all’introspezione, al distacco dai propri simili, probabilmente ve ne sono sempre stati (anche se la cultura moderna favorisce il proliferare di questo tipo umano); ma si trattava pur sempre di un individualismo psicologico, capace di coesistere con la società nel suo insieme e di non recarle danno, semmai di stimolarla in senso positivo, perché fra tali individui vi sono, il più delle volte, quelli maggiormente creativi.

L’individualismo moderno, invece, è un individualismo ideologico, teorizzato da filosofi come Locke e Rousseau e inserito nella costituzione delle democrazie, a partire da quella degli Stati Uniti d’America: un individualismo virulento, intollerante, tanto astratto quanto velleitario, che pretende di dettar legge alla società, anzi, che concepisce la società in funzione di esso, così che quella diviene semplicemente lo sfondo sul quale l’individuo possa agire, mediante la quale egli possa affermarsi, mentre il compito dello Stato e delle leggi si riduce semplicemente quello di limitare, controllare, imbrigliare la società a favore dei “sacri” diritti individuali.

Il modo di produzione capitalistico ha aggiunto a tale individualismo un ulteriore elemento di aggressività brutale e di spietatezza: non ha alcuna importanza se, fuori della porta di casa mia, un povero disgraziato sta morendo di fame o di freddo: l’importante è che la mia casa, la mia fabbrica, i miei beni, siano adeguatamente tutelati contro di lui e contro le pretese dello Stato stesso (che, essendo una creazione sociale, è pur sempre un male, anche se il minor male possibile); e, se non lo sono, ne deriva automaticamente il mio diritto a difenderli da me stesso, armi alla mano, magari sparando e colpendo a morte un poveraccio o un bambino affamato, introdottisi nel mio giardino per rubarvi quattro mele.

L’individualismo assoluto è, dunque, in buona parte il frutto del capitalismo assoluto, nel quale il lavoro diventa una merce come qualsiasi altra e in cui chi possiede tale merce può farne l’uso che crede; o meglio, in cui il lavoro diviene una merce sottoposta non tanto all’arbitrio del singolo capitalista “cattivo”, ma a tutto un sistema di sfruttamento e di alienazione, sostanzialmente impersonale, dominato dalle banche e dalla finanza e alimentato continuamente dal cosiddetto progresso tecnologico (non per nulla, agli esordi della Rivoluzione industriale, il luddismo tentò di contrastare una tecnica messa interamente al servizio del profitto e tale da ridurre il lavoratore in condizioni di assoluta indigenza e disperazione). [...]

 

Ora, è chiaro - o almeno dovrebbe essere chiaro, se vi fossero ancora delle teste pensanti e non una genia di “intellettuali” sistematicamente asserviti al sistema, nel quale trovano la loro mangiatoia e la relativa gratificazione narcisista – che nessuna società potrebbe resistere a lungo, se costruita su tali premesse e se sottoposta in maniera organica e sistematica a una tale logica intrinsecamente distruttiva: la logica dell’individualismo assoluto.

La società nasce per trovare un punto di equilibrio fra i bisogni dell’individuo e quelli della comunità, mentre la società moderna si è andata sempre più configurando come una dittatura del primo sulla seconda. Al tempo stesso, la “logica” democraticista ha diffuso la filosofia dell’individualismo assoluto presso strati sempre più ampi della popolazione, fino a includere, teoricamente, tutti, compresi coloro i quali non appartengono a quella determinata società (e a ciò ha contribuito anche il fenomeno della globalizzazione), con il risultato che l’odierno individualismo assoluto è anche un individualismo di massa, cosa chiaramente contraddittoria in se stessa e foriera di continue, inevitabili tensioni e spinte centrifughe.

La schizofrenia dell’uomo moderno, divaricato fra opposte spinte e tendenze («quel doppio uomo che è in me», dice messer Francesco Petrarca, il primo campione e vessillifero di tale nuovo tipo umano), è, al tempo stesso, causa ed effetto di questa inestricabile contraddizione, di questa radicale impossibilità: la nascita di una società nella quale tutti, ma proprio tutti, si sentono unici e originali, anche se appiattiti sulle mode più effimere e proni al conformismo più banale, anzi, appunto per tale assoggettamento alle mode e per tale abietto conformismo.

È bene sforzarsi di essere molto chiari su questo punto.

L’individualismo psicologico non è affatto un male in sé, almeno in teoria; il male nasce quando si afferma un virulento individualismo ideologico, che pretende di rifare il mondo sulla misura di qualunque imbecille che si crede un genio, di qualunque egoista che si crede una bella persona, di qualunque prepotente che si sente legittimato a calpestare il prossimo: tutti costoro, anzi, son convinti che la scopo della società sia quello di incoraggiare, proteggere e alimentare la stupidità, l’egoismo e la prepotenza del singolo individuo, specialmente se ricco e potente.

La tecnica, questo particolare tipo di tecnica moderna, scaturente dall’individualismo assoluto – automobile, televisione, computer, telefonino cellulare -, non fa che rafforzare tale spirale solipsistica e distruttiva: ciascun individuo non vede che se stesso, i propri timori e le proprie brame; e, intanto, non si accorge di essere decaduto dallo “status” di persona, ossia di soggetto, a quello di oggetto: esattamente il destino che egli contribuisce a creare per i suoi simili (oltre che per gli altri viventi, piante e animali, e per la Terra medesima). Tutto viene ridotto a cosa, tutto viene mercificato, tutto è in vendita e chiunque è pronto a vendersi e a prostituirsi – non solo in senso sessuale, si capisce -, perché la sola, unica, ossessiva parola d’ordine è sempre quella di Luigi Filippo d’Orléans: «Arricchitevi!».

I sentimenti, le passioni, l’affettività e la stessa sessualità soggiacciono interamente a questa logica. Lo si vede bene, ad esempio, in un film come «Nove settimane e mezzo», di Adrian Lyne (un film peraltro mediocre, sotto ogni punto di vista: ed è interessante che una certa critica “progressista” e di sinistra lo abbia accolto, nel non lontanissimo 1986, con un certo favore, scorgendovi chi sa mai quale critica implicita al capitalismo): nemmeno una profonda attrazione fra uomo e donna può resistere alle spinte distruttive dell’individualismo assoluto, perché quest’ultimo tende a ridurre la persona a oggetto, a cosa, cioè a corpo: ed è un gioco che, per quanto possa risultare intrigante all’inizio, almeno per un certo tipo di uomini e donne, alla lunga finisce per stancare e per generare un senso di amara e sconfortata sazietà, una vera sindrome di angoscia.

L’individualismo assoluto, dunque, è profondamente anti-umano: lo si vede anche nel paesaggio, stravolto dalla aberrante logica ultra-economicistica (che Marx, si badi, non ha affatto contestato alla radice): brutte case a schiera, tanto pretenziose quanto banali nel loro conformismo; palazzi e villette disordinati, dominati dal cattivo gusto, gli uni in stridente contrasto con gli altri; campagne devastate e desolate da superstrade e autostrade, il cui scopo è consentire al super-individuo di massa un rapido spostamento nel tempo più breve possibile, costi quello che costi: traforando montagne, abbattendo foreste, decretando la scomparsa di innumerevoli specie vegetali e animali.

L’individualismo assoluto, inoltre, mina alla base - perché la colpisce al cuore -, la società fondamentale, sulla quale si basano tutte le altre società: la famiglia. Esso crea un nuovo tipo umano, in costante competizione e rivalità con il proprio compagno o la propria compagna, con i propri genitori e con i propri figli: una vera e propria guerra di tutti contro tutti. Ma non è questo il volto “normale” della famiglia, come hanno amato dipingerlo scrittori e registi degli anni ruggenti della pseudo-contestazione (che era, in realtà, profondamente funzionale al sistema che essa pretendeva di criticare). È solo il volto di quella micro-società, patologica e intossicata, che è diventata la famiglia moderna, asservita alle logica distruttive dell’Individualismo Assoluto…

 

Francesco Lamendola



 

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