Avviso Registrazioni

Scusandoci per l'inconveniente, informiamo i nuovi utenti i quali desiderino commentare gli articoli che la registrazione deve essere fatta tramite Indirizzo e-mail protetto dal bots spam , deve abilitare Javascript per vederlo

Login Form






Password dimenticata?
Nessun account? Registrati

 
  SiteGround web hostingCredits
Lo "sviluppo" cattivo è solo cinese? PDF Stampa E-mail

Active Image

Il prodigioso boom della Cina, suscitato a suo tempo dal pragmatico nuovo corso di Deng Xiaoping, ancora continua senza soste. Fra l'impetuoso capitalismo privato nell'economia e la perdurante dittatura di partito nella sfera politica, lo sviluppo del prodotto lordo raggiunge l'11,5 per cento. È un record storico. Ma ora, come ha dovuto ammettere Hu Jintao dinanzi al Congresso, l'impresa comporta «costi umani e ambientali troppo alti».
Secondo un rapporto della Banca Mondiale, divulgato dal Financial Times, fra le venti città più inquinate su scala planetaria sedici appartengono alla Cina, oggi massima fonte d'emissione dei «gas serra ». Il novanta per cento delle acque sotterranee urbane risulta contaminato, i veleni dell'aria e dell'acqua propagano crescenti epidemie. Il maestoso Yangtze avrebbe perduto quasi un terzo della sua portata sotto il warming acceso dall'esorbitante combustione carbonifera, che alimenta il boom industriale. A causa del CO2, si teme che possano muoversi masse di «profughi ambientali» e insorgere condizioni di grave instabilità sociale. Altro prodigio, l'India. L'espansione del prodotto interno lordo ha raggiunto il 9,2 per cento nel 2006, mentre il gruppo Mittal comprava la siderurgia europea di Arcelor. Con le aperture alla globalizzazione, quell'economia opera ormai su vasti mercati utilizzando le tecnologie più avanzate.
Ma ora il governo di Manmohan Singh deve affrontare il deficit del bilancio federale, il debito estero, l'insufficienza delle infrastrutture di trasporto, la siccità e la «guerra dell'acqua » nell'area di Bangalore insieme con le alluvioni stagionali nelle aree delle piogge monsoniche, la penuria d'energia elettrica oltre a quella delle infrastrutture idriche. La federazione, superpopolata e composita, è un mosaico vulnerabile a causa della molteplicità di linguaggi, etnie, sette differenti all'interno delle maggiori fedi religiose, tensioni frequenti dall'Assam al Bihar e al Manipur. Malgrado il boom, secondo una stima dell'industriale Ratan Tata, 400 milioni d'indiani fra la popolazione di un miliardo e cento milioni restano tuttora «sotto la soglia di povertà». Non è da dimenticare quell'avvertenza di Nehru, che ancora pare attuale: «Quasi ogni epoca storica, dall'età della pietra in poi, è rappresentata nell'India profonda dei villaggi».
Infine il Giappone dell'exporting furiously, con la sua economia hi-tech da tempo sperimentata, conquista primati come il sorpasso di Toyota su General Motors. Ma oltre ogni difficile congiuntura economica o infortunio governativo, e l'accresciuto debito pubblico, è afflitto da condizioni drammatiche. Si tratta dell'alta densità di popolazione nell'angusto arcipelago, 128 milioni di abitanti, 343 per chilometro quadrato fra l'estrema sismicità del territorio. Il terremoto del 17 gennaio 1995 nel triangolo Kobe-Osaka-Kyoto fu disastroso, malgrado la strenua efficienza delle tecniche di costruzione antisismiche, ogni giorno alla prova. Ma ora, il 16 luglio di quest'anno, una scossa di 6,8 gradi Richter ha investito la centrale nucleare di Kashiwazaki-Kariwa, con allarmante dispersione di effetti radioattivi.
È questo il massimo pericolo per la primogenita potenza industriale dell'Asia Maggiore, un incubo, considerando che le sue numerose centrali elettronucleari forniscono un terzo dell'energia necessaria per controllare la dipendenza dalle importazioni energetiche. Ora i giapponesi temono il daijisshin, il terrifico big one da 8 gradi Richter che può scaturire dalla placca oceanica sotto la crosta terrestre.
Alberto Ronchey

25 ottobre 2007 Il Corriere della Sera

Ci piacerebbe leggere un articolo così ben documentato e dello stesso tenore a firma del sempre molto saggio Alberto Ronchey sui guasti dello Sviluppo anche qui d anoi, in Occidente. Ma siamo sicuri che non lo leggeremo mai. E meno che mai sul Corriere.

Commenti
NuovoCerca
Solo gli utenti registrati possono inviare commenti!
 
< Prec.   Pros. >