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La riforma dell'(in)giustizia PDF Stampa E-mail

 
Nell'ambito della riforma della Giustizia circola una proposta, della Lega, di far eleggere i pubblici ministeri dai cittadini. È un'ipotesi, a dir poco, folle. Si può facilmente immaginare che razza di magistrati verrebbero fuori in regioni come la Sicilia, la Campania, la Calabria, la Puglia o quantomeno in molte delle loro città che sono in mano alla criminalità organizzata. Ma, a parte questo, un Pm eletto dovrebbe rispondere del suo operato ai propri elettori, alle loro simpatie, alle loro idee politiche, alla loro emotività. Si arriverebbe così davvero a quel "giustizialismo" (che è proprio di giustizia amministrata direttamente dal popolo - quella che condannò Cristo e salvò Barabba - e non dai giudici) contro il quale tanto spesso oggi ci si scaglia, quasi sempre a sproposito.
E veniamo alle proposte contenute nella bozza del ministero Alfano che ricalcano in buona parte quelle elaborate durante la Bicamerale da Marco Boato.
1) Vincolare i Pm a perseguire prioritariamente i reati indicati con apposita agenda dal Parlamento. Sarebbe, né più né meno la fine dell'indipendenza della Magistratura, almeno di quella requirente, di fronte al potere politico. Anche qui è facile immaginare che reati come la concussione e la corruzione, che sono quelli propri dei politici, dei pubblici amministratori e, in genere, dei "colletti bianchi", finirebbero in fondo a questa agenda e poiché ci sarebbe sempre un reato, ritenuto più grave, da perseguire quelli di "lorsignori" non verrebbero mai presi in considerazione. Non è vero, che questi reati sono di minor "allarme sociale" rispetto ad altri che sono solo più impressionanti. Concussione e corruzione sono il vero cancro della democrazia italiana che, con le sue metastasi, ha distrutto quel poco di senso della legalità che rimaneva nella popolazione di questo Paese. Inoltre si arriverebbe finalmente là dove, in realtà, si vuole arrivare, a un doppio diritto: "tolleranza zero" per i reati da strada (quelli dei poveracci); sostanzialmente impunità per i politici e i loro compari.
2) Separazione delle carriere. Qui le resistenze dell'Anm mi sembrano corporative. Magistratura requirente e magistratura giudicante hanno funzioni diverse e quindi non vedo nulla di strano e di distorto nel separare le rispettive carriere.
3) Mi par buona l'idea di estrarre a sorte i magistrati "togati" che, avendone i titoli, vadano a far parte del Csm. Troppe volte le promozioni e gli altri provvedimenti di competenza di quest'organo di autogoverno vengono decisi non in base a criteri oggettivi ma di appartenenza alle correnti che allignano all'interno della Magistratura (che sono, già di per sè, un'aberrazione e andrebbero, esse sì, proibite per legge). Ma l'estrazione a sorte dei "togati" andrebbe accompagnata con l'eliminazione dei cosiddetti membri "laici", la cui presenza invece la bozza Alfano rafforza. I nostri costituenti decisero di immettere nel Csm anche dei non magistrati proprio perché avendo dato, in reazione al fascismo, la massima indipendenza alla Magistratura non volevano che questa si trasformasse in una casta totalmente slegata dalla società. Ma pensavano a grandi giuristi, a grandi avvocati, a personalità prestigiose. Invece i "laici" sono oggi uomini di partito che vengono mandati lì dai rispettivi dirigenti e da essi dipendono. E quindi se i membri "togati" prendono a volte decisioni in base all'appartenenza di corrente, quelli "laici" le prendono sempre su direttiva del partito, in totale dipendenza.
Ma il difetto principale della bozza Alfano è di non contenere alcun provvedimento incisivo per abbreviare l'abnorme lunghezza del processo penale che è il vero, devastante problema della giustizia italiana. Come dicevano i pragmatici latini una giustizia che arriva tardi è sempre "degenerata giustizia". Perché tiene sulla graticola giudiziaria, per anni, degli innocenti, e punisce i colpevoli quando ormai è inutile. Ma questa esasperante lunghezza, che ha ricadute decisive anche sue quella delle custodie cautelari, noi denunciato da 38 anni, da quando siamo entrati in giornalismo. E non intendiamo quindi annoiare il nostro lettore con cose dette e ridette, inutilmente, mille volte.

Massimo Fini


29 agosto 2008 da Il Gazzettino
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