13 maggio 2008
Marco Travaglio ("il nostro Viscinskij", lo ribattezzò il suo maestro Indro Montanelli) è un giornalista. Punto. In questo Paese dove gli scribacchini e gli "operatori dell'informazione" (quale? dove?) si nascondono dietro una tessera per fregiarsi del titolo, lui fa il suo mestiere: si documenta. Si arma di carte, di fonti, di prove. E poi scrive. Prima della campagna elettorale, è uscito in libreria con un volume dedicato a vita, opere e misfatti giudiziari della gran parte dei politici che oggi siedono in parlamento ("Se li conosci li eviti"). A proposito del neopresidente del Senato, Renato Schifani, ha ripreso quanto già aveva documentato nel suo "I complici" un altro giornalista, Lirio Abbate dell'Ansa di Palermo - uno, per intenderci, che vive sotto scorta - sulla base delle rivelazioni del pentito Francesco Campanella. Assieme al compagno di partito Enrico La Loggia, Schifani è stato socio di un boss mafioso, Nino Mandalà, nella Sicula Brokers, e consulente urbanistico del Comune di Villabate durante la progettazione del piano regolatore su cui avrebbe avuto grande influenza (leggi: tangenti) la famiglia di Mandalà. L'1 maggio sempre Travaglio aveva pubblicato nella sua quotidiana rubrica sull'Unità un articolo ("Scusate il disturbo") in cui riassumeva la carta d'identità di Schifani già contenuta nel libro ("Non è omonimo dell’autore del lodo incostituzionale che nel 2003 regalò l’impunità alle 5 alte cariche dello Stato, soprattutto a una, cioè a Berlusconi, e aggredì verbalmente Scalfaro in Senato perché osava dissentire: è sempre lui. L’altroieri la sua elezione è stata salutata da un’ovazione bipartisan, da destra a sinistra. Molto apprezzati il suo elogio a Falcone e Borsellino e la sua dichiarazione di guerra alla mafia. Certo, se uno evitasse di mettersi in affari con gente di mafia, la lotta alla mafia riuscirebbe meglio"). Articolo puntualmente ripubblicato sul suo blog, Voglioscendere. Ma sabato 10 maggio l'incauto Travaglio racconta nuovamente questi fatti - perchè, per quanto non abbiano dato luogo finora a nessun procedimento contro Schifani, di fatti si tratta - in televisione, nella trasmissione Che tempo che fa di Fabio Fazio (un cuor di leone di sinistra, il giorno dopo corso a scusarsi per l'accaduto, dispiaciuto come un bambino che sa di averla fatta grossa). Apriti cielo. E' venuto giù un diluvio di indignate reazioni bipartisan contro quanto era già stato scritto e riscritto senza che mai nessuno avesse fiatato. E' scattata la corsa a dissociarsi. Da cosa, poi, non si capisce: come si fa a dissociarsi dai fatti? Semmai dai toni, o dal corredo di epiteti con cui Travaglio ha apostrofato la seconda carica dello Stato ("muffa, lombrico"). E' come se io affermassi che la Terra è tonda, ma lo dicessi con toni "offensivi". Resta il fatto che la Terra è tonda, non ci piove. Ma niente. La si è buttata in politica, cioè si è parlato di tutt'altro all'infuori che del merito della accuse a Schifani. Il quale è, per l'appunto, colui che in caso di assenza o indisposizione del Capo dello Stato, ne fa le veci. Non stiamo parlando di un sottosegretario o sottopanza qualunque della politica italiana. O forse sì? Personalmente, non crediamo che il giornalismo con la toga di Travaglio sia l'unico, vero giornalismo (travaglismo: per inciso, una derivato della grande tradizione di inchieste e di stile della pubblicistica di destra e non di sinistra, in passato refrattaria e nemica di tribunali e sentenze). Ma lui si è specializzato in questo, e dal punto di vista dell'informazione, quella vera (cioè più completa possibile, a 360°), è utilissimo per avere l'identikit di chi diavolo posizionano i partiti in qualità di nostri "rappresentanti". I loro affari, le loro amicizie, i loro trascorsi, le loro biografie private. Il "dialogo" fra maggioranza e opposizione non c'entra niente. Il solito, subdolo giochetto di trasformare i fatti in conflitto di opinioni, così da neutralizzarli triturandoli nel cicaleccio del botta e risposta fra partiti. Travaglio si è limitato a ricordare le frequentazioni del presidente del Senato. Ma i fatti, in Italia, disturbano sempre il manovratore. Alessio Mannino
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