Involuzione del socialismo

12 Aprile 2014

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Da Appello al Popolo dell’1-4-2014 (N.d.d.)

 

La dicotomia destra-sinistra viene di solito fatta risalire agli anni della Rivoluzione francese, quando a una nobiltà terriera che esercitava il potere politico si contrappose una borghesia mercantile convertita alle idee liberali. Sono appunto i liberali a rappresentare, per quasi tutto quel secolo, la «sinistra», cioè il gruppo politico che nei parlamenti siede alla sinistra del presidente. Questa borghesia, al potere con la III Repubblica, espresse la predisposizione cosmopolita della Rivoluzione dell’89 e diffuse l’idea ‘moderna’ che vedeva nello «sradicamento dalla natura e dalla tradizione il gesto emancipatore per eccellenza e l'unica via d'accesso a una società “universale” e “cosmopolita» (J. C. Michéa).  Globalizzata, diremmo oggi, stadio ultimo dell’economia capitalista.

Mentre il capitalismo si affermava come forza dominante, il movimento dei lavoratori si organizzava in associazioni e partiti e si autodefiniva. Nel 1833 compare per la prima volta la parola «socialismo» in un articolo “De l’individualisme et du socialisme”, in cui il teorico socialista Pierre Leroux precisa: “ci si è abituati a chiamare socialisti tutti i pensatori che si occupano di riforme sociali, tutti coloro che criticano e disapprovano l’individualismo, tutti quelli che parlano, in diversi termini, di provvidenza sociale e di solidarietà che riunisce non solo i membri di uno stato ma l’intera Specie umana”. Inoltre affermava: «lungi dall'essere indipendente da ogni società e da ogni tradizione, l'uomo trae la sua vita dalla tradizione e dalla società» .

Orbene, i primi socialisti, che sono soprattutto artigiani e operai, non si presentano affatto come uomini «di sinistra», espressione che, all'epoca, designa soltanto i borghesi «radicali». «Il socialismo non era, in origine, né di sinistra né di destra. A Sorel o a Proudhon, a Marx o a Bakunin non sarebbe mai venuto in mente di definirsi «di sinistra» (J. C. Michéa). Il nascente movimento socialista si oppone certo ai privilegi delle caste e delle gerarchie dell'Ancien Régime, rappresentati dalla destra monarchica, clericale e ‘reazionaria’; ma prende le distanze sia dalla borghesia conservatrice che dai «repubblicani» e da altre forze di «sinistra». In definitiva, rifiuta l'individualismo illuminista, ereditato dall'economia politica inglese, che esalta i valori mercantili; e ugualmente il capitalismo borghese, sfruttatore del lavoro manuale, rappresentato dalla sinistra illuminista. In un panorama politico e ideologico più articolato e differenziato rispetto a quello odierno, che mostra una semplificante, e ormai fuorviante, dicotomia destra/sinistra, il socialismo delle origini non aderiva a una sinistra «progressista», che esaltava appunto i valori del «Progresso» e li trasformava in dogmi quasi religiosi.

Alla religione del Progresso illimitato s’erano convertiti i liberali e i repubblicani, rappresentanti della borghesia del capitale che, determinati dapprima ad affermare i diritti fondamentali della persona, finirono poi per generare, attraverso l’economia liberista, grandi ed esclusive ricchezze accanto a grandi e diffuse povertà. Il movimento socialista, al contrario, aveva saputo cogliere fin dagli inizi gli aspetti alienanti indotti dal Progresso, cioè dall'industrializzazione capitalistica e dal cosmopolitismo, che investiva e travolgeva drammaticamente i "nuovi schiavi salariati" e le comunità. «Per i primi socialisti era chiaro che una società, nella quale gli individui non avessero avuto più nient’altro in comune che la loro attitudine razionale a concludere accordi interessati, non poteva costituire una comunità degna di questo nome» (J.C. Michèa). I primi socialisti dunque, pur rifiutando il principio di dominio gerarchico dell’Ancien Régime, non osteggiavano il passato. Essi venivano dal popolo e per il popolo il passato era la continuità storica, “da cui provenivano le consuetudini, le forme particolari della vita locale, che fanno emergere da sempre un mondo comune e comunitario”. Del passato accettavano il principio «comunitario» (il Gemeinwesen marxiano); e i valori tradizionali, morali e culturali che lo sottendevano non erano ancora una costrizione.

La dicotomia destra/sinistra entra pienamente nel discorso politico solo verso la fine del XIX secolo, quando la sinistra, da iniziale indicazione di schieramento parlamentare borghese, evolve in soggetto sociale e politico e si diffonde universalmente, a partire dalla Francia negli anni in cui si aggrovigliò e si sciolse l'affaire Dreyfus. Quel caso giudiziario, trasformatosi in questione politica, divise il paese in dreyfusardi (repubblicani) e antidreyfusardi ((clericali, nazionalisti, antisemiti)”. L’affaire, che il socialista Jaurès definì "guerra civile borghese", influenzò profondamente la politica interna della Francia e vide le correnti repubblicane-radicali allearsi con i socialisti e sconfiggere i conservatori, in particolare le alte sfere militari. In quella temperie, la “gauche” liberale e repubblicana, preoccupata di perdere la battaglia contro la destra monarchica e clericale, stipulò un compromesso tattico con le organizzazioni socialiste, influenzate allora dalla socialdemocrazia tedesca e dal marxismo. Il compromesso, nato da quella paura, partorì esiti politici e ideologici che, visti in prospettiva storica, non furono del tutto positivi, perché crearono una confusione tra due termini: emancipatore e moderno, che furono a torto ritenuti sinonimi. In nome del ‘progresso’ e della ‘modernità’, il movimento socialista fu indotto gradualmente a far confluire la lotta di emancipazione operaia dal dominio capitalista in quella per la modernità del popolo di sinistra contro l’arretratezza del popolo di destra. Da una parte quel compromesso confermò definitivamente l’individualismo liberale, nucleo dottrinario illuminista, come “forza di progresso”; dall’altra, rese incomprensibile l’originario dissidio socialista contro l’industrializzazione, pur essa moderna, del capitale liberista; ma rese anche fiaccamente convincente la critica contro l'ingiustizia del diritto astratto. Per Marx, come per la maggior parte dei primi socialisti, i nuovi "diritti dell'uomo", rappresentavano i diritti del “borghese”, vale a dire dell'uomo egoista, dell'uomo separato dall'uomo e dalla comunità"(J.C.Michea). La dottrina liberale, infatti, considerava soltanto i diritti individuali del cittadino, ignorando i condizionamenti socio-economici che, di fatto, impedivano di esercitarli.

Da quando la corrente libertaria individualista e quella comunitaria socialista confluirono, la causa del popolo cominciò a disciogliersi nell’ideologia progressista,“distintivo identitario dalle proprietà quasi religiose", proprio del Capitale. Il movimento socialista, situatosi a “sinistra”, volle essere il partito dell’avvenire contro il passato, annunciare la modernità inarrestabile, rifiutare per principio e partito preso tutto ciò che la “sinistra” ottocentesca disprezzava come “ieri”, come “ancien”. In parallelo con repubblicani e liberali anche il movimento socialista, e poi comunista, riprese l'ideale progressista del produttivismo ad oltranza. Quel progetto industrialista e iperurbano avviava lo sradicamento delle classi popolari, consegnandole inermi all'influenza del Capitale ‘cosmopolita’, perché comportò dapprima il distacco dal mondo delle tradizioni, dai ‘pregiudizi’, dall’interiorità, dall’attaccamento ‘irrazionale’ a persone e luoghi; in seguito servì per estraniare i lavoratori dallo Stato, dal Popolo, dalla Patria, valori che allora furono considerati come propri dei ceti borghesi e a essi sconsideratamente attribuiti e ceduti per troppo tempo, ma che oggi si rivelano, poiché non mercificabili, come le barriere più efficaci contro il progetto globalizzante del capitale finanziario e dei mercati.

D’allora in poi, la società socialista fu vagheggiata soltanto dentro il sogno metafisico di un’umanità in corsa verso un mondo radicalmente nuovo, emerso dall’oscurantismo, governato soltanto dalle leggi universali della ragione. A questa visione valse la pena «immolare il presente all'avvenire», disprezzare tutto ciò che nel popolo la retorica progressista della moderna società capitalista ritenne “oscurantista", "arcaico", "male" e "ignoranza", prodotti, ça va sans dire, dalle società pre-moderne. In definitiva, per qualificarsi «di sinistra», bisognava far parte di coloro che, per principio, si rifiutano di guardare indietro per non rischiare la sorte di Orfeo, il personaggio della mitologia greca che, disceso agli inferi, diffidato dal guardare Euridice sua sposa, non resiste all’impulso di voltarsi indietro per mirarla, perdendola per sempre. (Jean-Claude Michéa, Le complexe d'Orphée) [...] L’ingannevole spartiacque destra-sinistra si imporrà definitivamente all'indomani della Prima Guerra mondiale. Con la Rivoluzione d’Ottobre riemerse di nuovo il disprezzo verso l’”ancien”, il passato arretrato, ora rappresentato non più da nobili e clero, ma dai contadini russi, movimento pur socialista e comunitario ma definito “populista”, termine che fu usato per la prima volta nella storia in senso dispregiativo. Oggi molti sinceri socialisti, sconcertati, osservano la "sinistra" trasmutarsi, far propri i dogmi liberisti, farsi organica al progetto di dominio globalcapitalista, rendere equivoco il termine che la definisce e generare fraintendimenti. La “sinistra” sembra essere tornata al suo codice genetico, alle sue origini liberali e individualiste; non più per affermare i diritti formali e astratti della società borghese, ma per proclamare nella sfera individuale diritti di nuova ideazione, quelli che il giurista Barra Caracciolo definisce “cosmetici”.

Cosmetici sono quei diritti che i media e il ceto politico sovra-espongono e “gonfiano” artificiosamente oltre ogni comprensibile e motivata urgenza sociale e civile. Su questi nuovi diritti una ‘sinistra’ politica e culturale, legata a filo doppio con gli apparati europeisti, promuove, alimenta e spettacolarizza dibattiti vistosi e chiassosi. Lo scopo, non sempre palese, è distrarre l’opinione pubblica dalla riduzione, dalla cancellazione, dal massacro dei diritti veri, quelli sociali, che la Costituzione Italiana riconosce come sostanziali, fondamentali, preminenti e sommamente irrinunciabili come regolatori dei conflitti. Sui diritti sociali il dettato costituzionale si contrappone radicalmente ai trattati dell’’Unione europea, gradino globale ultraliberista, che li riduce, li comprime e li sovverte. Dai diritti sociali la strategia eurounionista  scinde i “nuovi diritti”, indicandoli come gli unici degni di essere goduti perché non comportano spesa pubblica né intervento dello Stato. È un’operazione di facciata, ingannevole, perché sottende che lo Stato, per tutelare i diritti degli individui, non deve intervenire nell’economia e perciò il suo ruolo non è importante e la sua presenza non è essenziale. Questi nuovi ‘diritti’, che sociali non sono, sono funzionali alla strategia e al disegno di demolizione dello Stato interventista in economia. La ‘sinistra’ eurounionista, prestandosi a questa campagna mediatica di distrazione di massa, narcotizza i lavoratori e i loro bisogni di assistenza e di previdenza, facendo dimenticare che, prima di essere donne, o omosessuali, o neri, o bianchi, o etero, o cristiani, o musulmani, si è cittadini. Tramite i diritti cosmetici una sinistra “in cerca d’autore” propaganda la visione di una società formata da gruppi umani che avrebbero già risolto i problemi materiali del vivere quotidiano e quindi possono dedicare tempo ed energia per farsi riconoscere diversità individuali e culturali; oppure di una società di individui che, paghi di visibilità comportamentale, diventerebbero civilmente più degni anche senza casa, senza lavoro, senza assistenza sanitaria, senza pensione, senza istruzione. Tutti questi nuovi presunti diritti servono non solo a distrarre, ma anche a suscitare guerre culturali fasulle tra cittadini impoveriti.

Luciano Del Vecchio

 

  

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