Riforme pericolose

16 Marzo 2015

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 Da Appelloalpopolo del 10-3-2015 (N.d.d.)

 

L’attuale classe politica alla guida di questo Paese non è soltanto in larga parte palesemente inadeguata, è anche pericolosa. Inadeguati e senza spessore sono coloro di cui si circonda il Premier, il quale, dal canto suo, è invece un uomo politico abile, infido e senza scrupoli, che non esiterebbe a tradire chiunque pur di realizzare i suoi fini. Per utilizzare una metafora calcistica, il buon Matteo si appresta a mettere a segno una doppietta che stenderà gli avversari, ovvero far approvare una riforma costituzionale solo a prima vista mal congegnata e una riforma elettorale perfettamente congeniale ai suoi obiettivi da reuccio. Che il livello delle nostre classi dirigenti non sia eccelso ce ne siamo accorti ormai da qualche tempo e a nostre spese, ma questi provvedimenti, inerenti le uniche dimensioni attorno alle quali peraltro ruota l’interesse di un Parlamento ormai destituito di qualsiasi altra facoltà di intervento, se non nascondessero dell’altro, sarebbero troppo brutti anche per essere l’opera di inguaribili incompetenti. La regia dell’inquilino di Palazzo Chigi è imperniata in modo evidente sulla scelta di contornarsi di personaggi opachi e completamente privi di capacità e di mordente al fine di poterli muovere a suo piacimento, imponendo il suo volere e la sua strategia senza che nessuno si azzardi a dissentire (la cosiddetta fronda interna dei Fassina e dei Civati è uno scherzoso passatempo). Renzi è il Re Sole, almeno così si percepisce quando si guarda nello specchio, e nessuno dei suoi accoliti deve oscurarlo quel sole.

Andiamo con ordine e cominciamo dalla riforma costituzionale. Com’è noto, il pilastro portante di tutta la riforma è il definitivo superamento del cosiddetto bicameralismo perfetto. In conseguenza di ciò, il ddl prevede che l’unico titolare del rapporto fiduciario con il Governo rimanga la Camera dei Deputati. Il Senato della Repubblica, che avrebbe dovuto trasformarsi nel Senato delle Autonomie e che invece conserverà la sua denominazione (l’unica cosa che conserverà) è rimodulato secondo un disegno solo apparentemente senza senso. I senatori, dai 345 attuali, verrebbero ridotti a 100; 95 di essi proverrebbero dalle varie amministrazioni territoriali (Consigli Regionali, Province autonome e Municipalità), mentre 5 sarebbero nominati direttamente dal Presidente della Repubblica e rimarrebbero in carica “solo” sette anni non rinnovabili. Il nuovo testo dell’art. 55 della Costituzione, desunto dall’art. 1 del ddl 2613 appena approvato alla Camera, recita testualmente: “Il Senato della Repubblica rappresenta le istituzioni territoriali. Concorre, paritariamente, nelle materie di cui agli articoli 29 e 32, secondo comma (dello stesso ddl), nonché, nei casi e secondo modalità stabilite dalla Costituzione, alla funzione legislativa ed esercita funzioni di raccordo tra l’Unione europea, lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica. Partecipa alle decisioni dirette alla formazione e all’attuazione degli atti normativi e delle politiche dell’Unione europea e ne valuta l’impatto. Valuta l’attività delle pubbliche amministrazioni, verifica l’attuazione delle leggi dello Stato, controlla e valuta le politiche pubbliche. Concorre a esprimere pareri sulle nomine di competenza del Governo nei casi previsti dalla legge”. Il ddl, all’art. 2, prosegue: “I Consigli regionali e i Consigli delle Province autonome di Trento e di Bolzano eleggono, con metodo proporzionale, i senatori tra i propri componenti e, nella misura di uno per ciascuno, tra i sindaci dei Comuni dei rispettivi territori“. Ricordiamo infine le uniche funzioni legislative che il Senato potrà ricoprire, enunciate all’art. 10 del ddl in questione: “La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere per le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali, per le leggi di attuazione delle disposizioni costituzionali in materia di tutela delle minoranze linguistiche, di referendum popolare, per le leggi che danno attuazione all’articolo 117, secondo comma, lettera p), per la legge di cui all’articolo 122, primo comma, e negli altri casi previsti dalla Costituzione”. Tralasciamo in questa sede le altre importanti innovazioni previste, soprattutto in riferimento al Titolo V, e volgiamoci ora ad una sintetica disamina dell’altra riforma che ci interessa ai fini del nostro discorso, quella elettorale.

Il cosiddetto Italicum, nella sua ultima versione, prevede che i 630 deputati della Camera vengano eletti in cento collegi (non più nelle 26 circoscrizioni in cui fino alle ultime elezioni è stato suddiviso il territorio nazionale) con un sistema proporzionale contraddistinto da mini-liste composte in media da sei candidati ciascuna. Alla luce della recente sentenza della Corte Costituzionale che ha rigettato sia le liste bloccate che il premio di maggioranza previsti dal Porcellum, solo i capi lista, ovvero i primi ad essere eletti, saranno bloccati. Gli altri candidati saranno scelti tramite preferenze, ma se ne potranno esprimere solo due. Collegi uninominali saranno previsti solo per la Valle D’Aosta e per le Province autonome di Trento e Bolzano. Per quanto riguarda le soglie di ingresso, per i partiti in coalizione è previsto una sbarramento al 4,5%, per le liste non coalizzate uno al 3% (inizialmente era all’8%) e per le coalizioni vi sarà una soglia del 12%. La vera novità tuttavia sta nella previsione del doppio turno. Infatti, qualora nessuna lista riuscisse ad ottenere al primo turno il 40% dei suffragi, in seguito al quale scatterebbe un premio di maggioranza del 55% dei seggi, pari a 340 deputati, si affronterebbero al secondo turno le due liste maggiormente votate. Alla lista vincente spetterebbe un premio di maggioranza del 53% dei seggi, pari cioè a 327 deputati, ovvero pur sempre la maggioranza assoluta dei deputati della Camera.

Molto bene, anzi, molto male, perché ora facciamo due conti e sviluppiamo le considerazioni finali. Partendo dalla riforma costituzionale, i detrattori bollano la nuova struttura del Senato come un insensato pastrocchio. Non proprio, perché Renzi i suoi conti li sa fare, e anche bene. Un Senato formato dai rappresentanti dei governi locali significa una cosa molto semplice: un Senato di marca Pd, considerando che a livello amministrativo il Pd governa in via maggioritaria in gran parte del Paese. A questo punto entra in scena l’altro capolavoro, l’Italicum. Ora, rimanendo sostanzialmente inalterati gli attuali equilibri politici, il Pd, ballottaggio o meno, avrebbe la quasi certezza di affermarsi come il partito vincente, piazzando i suoi 340 o 327 bei parlamentari sugli scranni di Montecitorio. Attenzione però, perché le leggi le farà solo la Camera, e ciò significa che il Pd potrà fare tutto quello che vorrà senza più alcun contrappeso, con un Senato ugualmente di marca Pd totalmente ammansito in caso di esame di leggi costituzionali o di revisione costituzionale, uniche reali prerogative legislative che gli verranno riconosciute oltre alla partecipazione all’elezione del Presidente della Repubblica. E il gioco è fatto. Un combinato disposto micidiale che servirà a far digerire ad un Paese inebetito una guida politica a partito unico, con buona pace della rappresentanza democratica e della partecipazione delle minoranze, più o meno nutrite che siano. Il disegno lungimirante dei padri costituenti, i quali avevano sapientemente contenuto i rischi derivanti da un eccessivo potere affidato all’esecutivo (l’esempio del ventennio allora appena superato era un insegnamento ancora presente e vivo) incanalando il sistema verso un modello parlamentaristico e partitico, verrebbe senza troppi riguardi riposto per sempre nel cassetto. L’unica speranza per annullare la finalità di un tale progetto risiederà nel referendum confermativo che scatterà qualora la riforma dovesse passare solo con la maggioranza assoluta e non con quella rafforzata dei 2/3. E pensare che proprio la Consulta, nella sentenza sopra richiamata, ha fatto tabula rasa del premio di maggioranza definendolo portatore di una “oggettiva e grave alterazione della rappresentanza democratica”. Ma, si sa, quello era un Porcellum, mica un sovrano illuminato come il buon Matteo. Siamo sicuri che al Re Sole sarà riservata molta più indulgenza.

Evviva il Re!

 

Davide Parascandolo

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