Uccidere per sport

27 Marzo 2015

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Delle atrocità dei ‘barbari’ terroristi dell’ISIS, che massacrano impunemente turisti innocenti, sono pieni i giornali, mentre non una parola viene spesa per le atrocità che i ‘civilissimi’ esportatori di democrazia compiono, ancor più impunemente, da anni, nell’assordante silenzio dei media.

Houston, 23 Marzo 2015 - Ma qualche volta il silenzio si incrina – per un caso o per un eccesso di zelo – e allora quello che emerge fa paura. Fa paura perché se è facile attribuire crudeltà gratuita e mancanza di rispetto per la vita umana a un ignorante, rozzo e fanatico contadino yemenita o afghano, reclutato dalle multinazionali del terrore, non altrettanto si può dire se chi compie atti di atrocità affatto gratuiti è un ‘civilissimo’ marine dell’esercito USA. Anzi, aggiungerei che se il primo uccide per un ideale – per quanto capovolto e degenerato esso possa essere – il secondo lo fa ‘per sport’.

Sì, avete letto bene, ho scritto proprio ‘per sport’, perché è così che Jeremy Morlock, 23 anni, ha descritto pochi giorni fa le proprie azioni omicide davanti ad un tribunale militare. Jeremy, infatti, ha confessato di aver partecipato all’omicidio di tre afgani inermi e di essere parte di un ‘team kill’ che uccideva deliberatamente civili afghani disarmati per puro divertimento, ‘per sport’. “Il piano era quello di uccidere delle persone, signore”, ha detto al giudice militare di Fort Lea, vicino a Seattle, spiegando come lui e almeno altri quattro suoi commilitoni della brigata Stryker simulassero – dopo aver ucciso a piacimento dei civili inermi – delle situazioni di combattimento, per poter giustificare i massacri.

Una serie di confessioni videoregistrate sono state anche trasmesse in televisione, qui negli USA, e hanno naturalmente provocato reazioni sdegnate ma soprattutto stupefatte. Eh sì, stupefatte, sorprese, incredule, perché qui a pensar male dei propri soldati si fa peccato mortale, segno che non si è ‘patrioti’, il massimo della vergogna per un americano… E dire che l’opinione pubblica si era appena riavuta dagli strascichi legali e mediatici di Abu Ghraib in Iraq, che aveva costituito un vero e proprio shock per la nazione. Ci si era appena voluti convincere che quella era stata solo una deplorevole eccezione. Delle mele marce tra i ‘nostri eroici ragazzi’, che rischiano la vita per portare la democrazia nel mondo. We support our troops, noi siamo vicini ai nostri soldati, recita l’onnipresente etichetta sulle macchine, sulle aiuole davanti alle villette a schiera, sulle porte di casa.

Invece siamo di nuovo in ballo e questa volta il ballo sembra piuttosto inquietante, tanto che questa settimana la rivista tedesca Der Spiegel ha pubblicato tre foto – solo tre dato che le altre erano impubblicabili -  che mostrano dei soldati, tra cui Morlock, in posa sul cadavere di un ragazzo afgano, come un trofeo di caccia. Non solo, alcuni soldati si sono presi - e conservate come souvenir - parti del corpo delle loro vittime, tra cui un teschio. Sì certo, dopo la pubblicazione delle foto, l’esercito americano ha dovuto fare una dichiarazione in cui chiedeva scusa alle famiglie dei morti. “Le foto sono ripugnanti in quanto esseri umani, e in contrasto con le norme e con i valori dell’esercito degli Stati Uniti”, recita la nota.

Morlock, un po’ per salvarsi il fondoschiena e un po’ forse perché si è reso conto dell’enormità del suo caso, ha tirato dentro un suo superiore, il sergente Calvin Gibbs. A suo dire gli omicidi – che hanno avuto luogo tra gennaio e maggio dello scorso anno - furono istigati da Gibbs. Nella sua deposizione ha descritto accuratamente come venivano realizzati i piani di caccia all’uomo ‘per sport’; dopo aver individuato gli obiettivi civili, questi venivano assassinati e poi si costruiva la scenografia per giustificare la loro morte come se si trattasse di un attacco di insorti. Morlock racconta alla corte di quando sparò a una vittima, mentre il sergente Gibbs gli aveva lanciato una granata. “Prendiamo di mira un ragazzo e Gibbs fa un commento, tipo - ehi, ragazzi lo vogliamo accoppare o no questo?” così Morlock nella confessione.

E ancora, nel corso di un pattugliamento in un villaggio a Kandahar, Morlock si trova dietro un muretto e chiama Holmes. È una giornata fredda - racconta Holmes - ma l’altro suda copiosamente. Vede con la coda dell'occhio Morlock giocherellare con qualcosa. “Sospettavo che fosse una granata, ma speravo fosse la sua radio” aggiunge Holmes.

Ma di granata si trattava. Morlock la tira verso un ragazzo - in piedi dall’altra parte del muro - nonostante il giovane fosse evidentemente disarmato e non rappresentasse minaccia alcuna, - dice Holmes. Poi, gli ordina di sparare. “Ho guardato il ragazzo. Se ne stava lì come un cervo abbagliato dai fari”, ha aggiunto Holmes al giudice con voce chiara e ferma. “Ho sparato da sei a otto colpi verso il giovane, e ora sono pentito”.

 Finita la prodezza Holmes e Morlock si scattano una foto-ricordo in stile safari, mentre tengono sollevata la testa della vittima. I nostri ‘bravi ragazzi’ della base Lewis-McChord, a sud di Seattle, furono arrestati l’anno scorso in Afghanistan, dopo che saltò fuori l’assassinio di tre civili ‘per sport’, ma solo oggi c'è una ammissione di responsabilità.

Holmes, di soli 21 anni, è stato inizialmente accusato di associazione a delinquere, omicidio premeditato e altre imputazioni. Si è dichiarato colpevole di un solo omicidio e del possesso di un osso del dito dalla sua vittima. Morlock ha ammesso la partecipazione a tre omicidi e rischia una condanna ad almeno 24 anni, ma – essendo reo confesso – è possibile che esca di galera dopo soli sette anni.

Ma questa è solo la punta dell’iceberg; giovani sui quali vengono applicate tecniche di controllo mentale per combattere guerre senza ideali che macellano altri giovani la cui sola colpa è trovarsi nel posto sbagliato nel momento sbagliato, come avviene ormai da decenni.

E l’estremo Occidente, con la sua arroganza e la pretesa di una nobile missione da compiere ne risponderà davanti alla Storia.

 

Piero Cammerinesi

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