Romanzi storici

23 Aprile 2015

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È notizia appena uscita che gli italiani -meglio quegli italiani che ancora si prendono la briga di leggere- hanno un debole per il romanzo storico, in primis quelli ambientati in epoca romana: secondo i dati delle edizioni Newton Compton, che hanno tra i loro scrittori di punta alcuni specialisti del genere, quali Scarrow e Genovese, oltre il 10% del catalogo riguarda proprio le storie ambientate nel passato, ricche di azione, battaglie, colpi di scena.

I dati di vendite del genere storico sono quindi in aumento, molti autori fanno il pieno e si debbono effettuare ristampe.

Secondo i responsabili marketing di Newton Compton l' impennata di un genere come quello storico, che negli ultimi tempi si era offuscato, dipende da vari fattori, quali "l' alto tasso di testosterone che si sente ad ogni pagina nelle scene d' azione e di guerra(..) e un rifugiarsi degli italiani, specie in questi momenti difficili e incerti, nella riscoperta e nell' orgoglio delle proprie radici".

Come membri di Movimento Zero e come Giornale prendiamo positivamente questi dati: la riscoperta delle proprie origini nel mare magnum della retorica globale , della frase dolciastra "essere cittadini del mondo", della destrutturazione dei popoli sino alla "reductio ad unum" altro non può che far piacere e in questo momento le buone notizie sono le benvenute.

Ci piacerebbe, però, che i signori scrittori tra una scena ad alto tasso di testosterone e l' altra, tra uno scontro di legionari e l' altro, indugiassero un pochino nella descrizione del modello di vita classico, non solo per completare l' affresco ma anche per evitare di svilire il tutto a folklore letterario.

È giusto che il lettore conosca, impari, sappia immergersi nell' atmosfera classica anche dal punto di vista culturale e spirituale: ciò lo indurrebbe, forse, a fare paragoni tra il nostro e il loro modello, paragoni che suonerebbero impietosi .

Capirebbe che in epoca classica greco-romana il lavoro fine a sé stesso, allo scopo di "produrre-consumare-crepare" non era per nulla un valore: Seneca ebbe a scrivere che " non vi è nulla di interessante nel fabbro chino sull' incudine(...) perché il vero sapere si trova su un livello superiore";  di Socrate, uno dei grandi del pensiero umano ancor studiato dopo due millenni e mezzo, si racconta che un caldo giorno d'estate camminando appena fuori Atene vide un gruppo di magnifici e ombrosi platani, si sedette all' ombra, nell' erba e perso nella silente contemplazione della natura esclamasse "in mezzo a questi bellissimi platini, all' ombra e nell' erba fresca, mi sento il più felice degli uomini".

Imparerebbe che in quel modello di vita era disprezzato lo sforzo bruto a vantaggio dell' ozio creativo, l' amore per lo studio e la conoscenza, il senso della misura e dell' armonia (anche a vantaggio dell' ambiente), equilibrio, sobrietà e saggezza: non è vero che i classici non avessero tecnologie per sviluppare rivoluzioni industriali, risulta anzi la costruzione di rudimentali macchine a vapore in età ellenistica, ma semplicemente l'economia occupava un gradino bassissimo della scala di valori, perciò della tecnologia non sapevano che farsene, a parte lo scopo bellico.

Erano anzi convinti che, dopo l' exploit tecnologico dei Mesopotamici, il più fosse già stato inventato. Macchinari, tecnica, produttività, ampliamento dei commerci e ricerca di "nuovi mercati" erano tutte concezioni incompatibile col mondo classico greco-romano.

Società statica?

Eppure produsse qualcosa come monumenti e trattati d' architettura che sfidano i millenni, il Diritto romano, un gusto sublime per l' estetica (anche nelle arti) e innumerevoli filosofi, pensatori e scrittori la cui fama ha superato indenne i secoli, gettando le basi per due periodi chiamati Umanesimo e Rinascimento, una decina  di secoli dopo il tramonto di Roma.

Sarebbe bello inserire tali concetti tra una pagina e l'altra dei romanzi: scrittori, se ci siete battete un colpo!

Simone Torresani

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