Dentro la gabbia

17 Novembre 2015

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Le reazioni seguite agli eventi di Parigi hanno rafforzato una mia convinzione. Le decine dei più disparati commenti “orecchiati” su internet o in televisione non hanno fatto che confermarmi che la nostra non è una guerra tra ideali o più semplicemente tra idee. Su questo piano il confronto non esiste da tempo. Non solo perché noi l’abbiamo vinto: di più, non abbiamo avversario. Coloro che hanno attaccato i musulmani, invocato reazioni violente (come se fino ad oggi in Libia, Siria, Iraq, Afghanistan, etc. etc. gli eserciti occidentali avessero scherzato), rilanciato lo scontro di civiltà e via di idiozia in idiozia non possono essere seriamente definiti portatori di un pensiero. Può esistere un confronto/scontro dialettico con Karl Marx o Friedrich Hegel, non con Oriana Fallaci e Maurizio Belpietro.

Eppure i nostri avversari hanno vinto la guerra da molto tempo.

E il perché è semplice: perché hanno spostato il campo di battaglia dal piano delle idee a quello degli slogan, delle immagini, dei tweet. Dalla testa allo stomaco. Così, come più in generale, hanno creato un sistema che è forte non dei suoi principi teorici ma della generalizzata adesione spontanea e quasi inevitabile al modus vivendi omologato che impone.

Mentre un Alain De Benoist scrive sull’ISIS ed il mondo islamico articoli e saggi dal contenuto pressoché incontrovertibile, la grancassa mediatica che in 20 anni non ha speso due righe sulle centinaia di migliaia di vittime provocate dall’Occidente nei Paesi su citati, impone le stragi di Parigi come l’orrore allo stato puro, ci sommerge di immagini tragiche, di testimonianze drammatiche, di urla lancinanti. E nelle menti, ma forse sarebbe meglio dire nella pancia, imprime una sola realtà: questi sono i barbari che minacciano la nostra esistenza, guardate come sono brutti, sporchi e cattivi; tremate perché tra poco potrebbero arrivare nelle vostre case, ai vostri concerti, nei vostri stadi. Il mondo non è e non è mai stato a Baghdad, a Damasco o a Tripoli, da lì arrivano soltanto gli echi di una realtà di secondo piano: il mondo è tutto a Parigi. Mettete alla finestre i lumini di solidarietà al popolo francese, cantate la Marsigliese: c’è posto anche per voi e la vostra pietosa bontà nel grande spettacolo del giorno.

Certo, lo spazio per i commenti “alternativi” non manca. Se non nelle pagine dei grandi giornali o nei principali salotti televisivi, quantomeno nell’agorà virtuale di internet potete trovare le opinioni più variegate ed “alternative”. Le scrivono su Facebook e pensano così di contrastare il nemico. Pensano, pensiamo, che il punto sia informare correttamente, ricordare la storia, andare a fondo delle cause. O anche solo usare gli strumenti della modernità per esprimere slogan alternativi.

Senza accorgersi di agire da dentro la gabbia nel quale il nemico ci ha già rinchiuso. Perché nel momento in cui la realtà è diventata quella filtrata dalla televisione, quando il pensiero dominante non è quello creato da pensatori e intellettuali ma quello imposto con le pratiche quotidiane, le formulette di tre righe o meglio ancora le immagini veicolate dai media, la battaglia è già perduta. Quando non è il Pensiero a guidare le condotte e a decidere le sorti è del tutto inutile cercare di far pensare. Una volta degradato il mondo allo stato emotivo, per non dire bestiale, le leve che muovono l’agire non sono quelle che noi sedicenti ribelli continuiamo a voler muovere. Inondiamo pure Facebook di pillole di saggezza: è lo strumento in sé che le renderà innocui ingredienti del solito minestrone cucinato in altre stanze.

Andrea Marcon

    

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