Scontro di inciviltà

3 Dicembre 2015

 

Quando accadono fatti come quelli recenti di Parigi, la prima reazione è sempre la più sentimentale, e allo stesso tempo “di pancia”: l'aggressività che si genera dalla rabbia e dalla paura è psicologicamente comprensibile visto l’orrore in questione, però sarebbe sicuramente un errore reagire lasciandovisi guidare acriticamente. A sentir parlare di orrore e morte, fenomeni quotidiani in tanti altri paesi, arabi e non, si è abituati, ma non lo si è quando certe barbarie si verificano nel nostro mondo occidentale europeo. La maggior parte dei cittadini europei non ha mai vissuto una guerra, né tantomeno questo terrorismo. Ciò ha determinato la convinzione che in Occidente la possibilità che si verifichino questi fatti sia talmente remota da risultare pressoché impossibile, grazie alla sicurezza apportata dall'azione sincronica del Diritto, delle Forze dell’ordine, dell’Intelligence, dell’Onu, della Nato. Se questa certezza ha vacillato dal 2001 con l’attacco alle Torri gemelle (si era ancora in quella che per gli europei è la lontana America), con quest’ultimo attacco è diventato evidente che non si è al sicuro più da nessuna parte; la guerra che noi facciamo a casa degli altri si è prevedibilmente spostata a casa nostra, nella forma del terrorismo. 

Essendo estraneo all'esperienza europea, il fenomeno del terrorismo internazionale di matrice fondamentalista ha provocato, nell'immediato, reazioni dure, mosse dalla paura e dalla rabbia. Tuttavia è necessario riprendersi dallo shock iniziale, e, con calma, sforzarsi di comprendere in modo oggettivo cosa sta avvenendo, quali siano davvero i termini di tale fenomeno in maniera molto schietta ma non semplicistica. Ora, da molti ambienti politici e giornalistici abbiamo sentito blaterare di “scontro di civiltà”, tra una pretesa “civiltà occidentale” e una sedicente “islamica”. Questo scontro giustificherebbe azioni militari in grande stile, drastiche misure di controllo esercitate anche a detrimento delle normali leggi sulla privacy, azioni cultural-sociali volte, secondo i casi, all’integrazione più o meno forzata dei cittadini di fede mussulmana sul nostro territorio, fino a contemplare misure più drastiche come quella del rimpatrio generalizzato, e una sorta di rivendicazione dei nostri valori occidentali, sempre razzisticamente considerati i migliori. Bene, noi pensiamo che non sia in atto nessuno “scontro di civiltà” tra mondo occidentale e mondo mussulmano. In prima battuta perché la radice del terrorismo dell’Isis è innanzitutto una guerra interna all’Islam, e in secondo luogo perché nessuno dei due presunti attori dello scontro è una “civiltà”: è abbastanza facile capire che l’auto-proclamato Califfo non rappresenta l’Islam ma solo se stesso, i suoi accoliti e le sue barbarie. Più difficile per noi renderci conto che la nostra Europa e la nostra cultura occidentale non esistono; sono barbarie anch’esse (siam colpevoli anche noi di numerosi atti di sangue), e non certo per colpa dell’Islam. L’Occidente ha distrutto da sé la sua civiltà partendo dagli eccessi illuministi, dall’imposizione del capitalismo & industrialismo, rinunciando ad avere valori forti condivisi in nome di una libertà male intesa, che sfocia nel peggior relativismo morale e nella peggior società multietnica. Multietnismo che, come dimostrano Francia e Belgio, è solo ghettizzazione e auto-ghettizzazione. Abbiamo condotto una guerra contro noi stessi, verso ogni residuo comunitario, solidaristico, organico, religioso, di etica condivisa che non sia solo lo scatolone vuoto della democrazia, dove si muove il cittadino tipico della modernità: l’individuo atomico, sradicato, e che sradica. Anche la cultura occidentale di cui tanto ci vantiamo è ridotta a poca cosa: sono stati dimenticati i classici, la sua storia, l’importanza del pensiero riflessivo e teoretico che ci accompagnano dall’antica Grecia, insieme con ogni moto spirituale. Ci si è uniformati al diktat economicista ed illuminista del pensiero strumentale, allo status del consumatore imbevuto di parole straniere, intriso di molti e molto buoni sentimenti di facciata e di assai poche pulsioni vitali autentiche, sostituite da dosi d’infantilismo svirilizzante. Con questo intendiamo sostenere fermamente che non esiste più una supposta cultura occidentale, ma un’inciviltà del consumo senza nessuna morale condivisa, senza legami comunitari, senza nessuna radice culturale e spirituale comune. Il nostro primo pensiero è sicuramente che, in queste condizioni, di sacrificarsi per questa presunta guerra di civiltà non ne vale assolutamente la pena. Rischiare, per permettere che l’Occidente continui a perseverare nel suo sgretolamento, sarebbe solo rimandarne la caduta che è ormai in atto, e di cui il terrorismo come fattore destabilizzante è solo l’ultimo ingrediente, frutto degli errori geopolitici commessi da noi stessi e dalla nostra mollezza. Detto questo, non si può certo pensare, però, di farci aggredire impunemente come agnellini da questi assassini, che sono anch’essi una forma dell’inciviltà contemporanea in grandguignolesca pompa magna para-spirituale. Che fare? Noi diciamo: l’Occidente faccia la fine che merita, ma non permettiamo certo che questi agenti del caos possano far del male a noi come persone, ai nostri cari, e ai nostri beni essenziali. Ripartiamo da quanto ci ricorda Ernst Jünger: “Lunghi periodi di pace favoriscono la convinzione che l'inviolabilità del domicilio si fondi sulla Costituzione, che di essa si farebbe garante. In realtà l'inviolabilità del domicilio si fonda sul capofamiglia che, attorniato dai suoi figli, si presenta sulla porta di casa brandendo la scure”. Brandiamo la scure solo quando la minaccia fisica è reale, ma non muoviamo un dito perché la società “produci, consuma crepa” continui a sussistere.

 

Alberto Cossu

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