Archistar

15 Gennaio 2016 

Da Rassegna di Arianna del 10-1-2016 (N.d.d.)

 

Il «generale inverno» sta azzerando le velleità delle più famose archistar. Un po’ quello che successe, secondo la leggenda, a Napoleone in Russia: i bottoni delle uniformi della Grande Armata erano in stagno, lo stagno col gelo si trasforma in una polvere grigia, letteralmente 600mila uomini rimasero con le braghe calate.

E con le braghe calate si sono trovati in questi giorni i veneziani alle prese con le ardite discese del ponte di Santiago Calatrava in quel di piazzale Roma, diventato – causa abbassamento imprevisto della temperatura – una lastra di ghiaccio levigatissimo, buono come trampolino per il salto con gli sci. La calatravata, inaugurata nel 2008, è stata contestata fin dagli inizi, vuoi per i costi lievitati fino a 12 milioni (quasi il doppio del preventivo iniziale), vuoi per il peso smodato che tendeva a spostare gli argini sul Canal Grande, vuoi per i gradini in vetro trasparente scivolosi in ogni stagione, ma anche tanto fragili da non reggere il peso e gli urti dei trolley dei turisti, così che è già stata necessaria una sostanziosa e onerosa manutenzione.

E sia. Il ponte di Rialto resiste splendidamente da oltre 400 anni, anche sotto zero. Altri tempi, altri architetti. Il freddo non risparmia neppure la grandeur di Massimiliano Fuksas il cui progetto più ardimentoso, la Nuvola del Centro Congressi all’Eur di Roma, sta al pari con le piramidi egizie: disegnata nel 2000, in costruzione da 8 anni, costo 450 milioni di euro, forse sarà inaugurata nel 2017. In questi giorni, però, al centro delle polemiche è un suo edificio meno pomposo, sebbene altrettanto significativo per la funzione rivestita: la chiesa di San Paolo Apostolo a Foligno, un monolitico cubo in calcestruzzo armato, eretto nel 2009 come riparazione ai danni del terremoto umbro-marchigiano del 1997.

L’edificio, concepito come una scatola nella scatola di 30 metri di lunghezza e 26 di altezza, dal costo di tre milioni di euro, è di una tracotanza epocale, nonché fuori contesto rispetto al resto del territorio (ma proprio così voleva Fuksas). Viene da chiedersi se Dio possa abitare tanta bruttezza, certo è che i sacerdoti e i fedeli non hanno resistito al freddo intenso che vi regna, tanto che nel periodo di Natale la messa è stata celebrata nel salone parrocchiale attiguo e il trasferimento delle celebrazioni pare definitivo, almeno fino al disgelo. La questione ha un vago sapore teologico. Dante rappresenta il centro dell’Inferno come una ghiacciaia dove è imprigionato Satana. La Conferenza Episcopale Italiana non deve aver troppa confidenza con la Divina Commedia, tanto da approvare la chiesa di Fuksas che già nella forma ricorda un diabolico frigorifero. I parrocchiani si lamentano, infatti, che spesso dentro la navata sia addirittura più freddo di fuori, che le correnti d’aria gelida mettano a repentaglio la salute degli officianti e dei credenti. E non è prevista facile soluzione: «Il problema è stato affrontato, spiega don Giovanni Zampa, uno dei parroci, abbiamo chiamato diversi tecnici e fatto fare studi, ma bisognerebbe apportare modifiche strutturali per ottenere risultati soddisfacenti; purtroppo l’edificio ha dei vincoli estetici posti dal progettista che non ci consentono di intervenire». Amen.

Piuttosto che i caloriferi, muoiano i cristiani. Come dunque dar torto al re del cachemire di quelle zone, Brunello Cucinelli, uno che di caldo se ne intende, quando ha detto che sarebbe «felice di sponsorizzare il progetto di abbattimento della chiesa progettata da Fuksas». Al di là delle valutazioni estetiche, stupisce che non si badi alla funzionalità di quanto si va costruendo come se un ponte non dovesse servire a portare gente a piedi, magari con le valigie, da un argine all’altro, o come se una chiesa non fosse il luogo dove si celebrano messe o ci si inginocchia in preghiera. La fama delle archistar spesso non è legata ai risultati né alla resistenza degli edifici o alla loro fruibilità. Si veda il Maxxi di Roma, auto celebrazione in vita di Zaha Hadid, un museo dove è quasi impossibile allestire una mostra o appendere dei quadri: nel programma triennale 2016-18 degli investimenti per il patrimonio del Mibac, sono previsti 2 milioni di euro per la «manutenzione straordinaria per adeguamenti normativi» dell’edificio. Per ora non è dato sapere di più, ma ad appena cinque anni dall’inaugurazione un ritocchino depone a sfavore della solidità del progetto.

Angelo Crespi 

Commenti
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fosco2007@alice.it
lucianofuschini (Super Administrator) 15-01-2016 18:09

Riporto con piacere questo acuto commento di Lorenzo Merlo:
Investiti di autoreferenzialità, gli architetti (ma i designer fanno coppia) in questi ultimi decenni si sono lanciati verso lidi lontani dai quali erano salpati.

Seguendo rotte libere, slegate dalle esigenze dei molti, hanno creduto di essere superiori al servizio che erano chiamati a rendere. Il protagonismo era facile da cavalcare, solo in quel modo avrebbero potuto sentirsi finalmente appagati. Attraversati dal sentimento della gloria, non erano più secondi agli artisti. Il danno - culturale - era compiuto.

Le loro opere, intrise di intellettualismo farcito di vanità, come accade per i medici di oggi sempre meno felicemente rispettosi di quanto giurato ad Ippocrate, hanno affermato un%u2019idea di architettura via via più lontana dal registro funzionale. E l%u2019hanno fatto, ancor più grave, inconsapevolmente, convinti che dire razionale corrispondesse a funzionale appunto.

Superata questa fase lacerante hanno creduto fosse loro diritto variegare la riga orizzontale, sostituirla con una obliqua, svergolare finestre e plafoni.

Manie di distinguo, che senza incertezze, trattandosi di città, palazzi, quartieri, di dominio pubblico intendo dire, hanno partecipato a mio parere, più considerevolmente del finora sospettato, a destabilizzare quel residuo di identità, certezza, serenità che, nella relazione con la domus, l%u2019uomo percepisce, sulla quale si fonda e realizza la realtà.

L%u2019operazione, è stata fatta con il foulard al collo o con altre stravaganze leggere. Lo faceva la moda, l%u2019arte, il design, perché non avrebbero potuto farlo loro?

Ora molti paesaggi sono carichi del peso insopportabile della bruttezza, molti di questi, confinati in spazi dal quale l%u2019occhio non può fuggire. Valli e litorali sono lì a dare dimostrazione delle pene di queste righe.

Il valore dell%u2019arcano della domus non sarebbe stato sostituito dallo schizzo blasfemo pieno di guizzi, risatine, e pretese di verità se chi l%u2019ha disegnato non stesse scivolando felice nel gorgo pauroso dell%u2019edonismo.

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