Piazza No Global

30 ottobre 2007

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Cultura è mangiare. Cultura è quel prodotto tipico che solo quella terra dà. Cultura è quell’intrico di viuzze e stradine dei nostri magnifici centri cittadini, così gravidi di storia. Cultura è assaporare la bellezza e la conoscenza dei luoghi che abitiamo.
Difendere la propria cultura passa prima di tutto dal preservare il cuore pulsante che anima i borghi e le città di un’Italia ammirata nel mondo per il suo passato: i mercati tradizionali e i negozi locali. A Pistoia il nuovo regolamento comunale in discussione in questi giorni vuole che gli esercizi commerciali di Piazza della Sala (o del Mercato), centro della cittadina toscana, vendano prodotti esclusivamente del posto.
“Con la globalizzazione imperante tutto è a portata di tutti e viviamo una fase di grave appiattimento delle tradizioni. Rassegnarci a questo penso che non sia né saggio né positivo. Vorrei che la Sala diventasse una vera attrazione turistica, un luogo dove poter ricreare lo spirito di Pistoia del 1200”, ha dichiarato l’assessore al commercio Barbara Lucchesi. Ha ragione da vendere.
Non ci importa se magari ci sia lo zampino dei commercianti locali. Se l’interesse per uan volta si incontra con la riscoperta della propria storia, ben venga.
Non ci interessano gli isterismi di chi vede nel tentativo di ri-localizzazione un attacco alle attività di immigrati. Perché in questo caso non si vieta a questi ultimi di aprire una bottega. Per integrarsi, anzi, devono poter essere titolari di bar e negozi. Un vero no-global dovrebbe salvaguardare a spada tratta questi gioielli di tradizione: è il modo migliore per combattere il livellamento da McDonald’s che spazza via le unicità locali per far posto a un mondo tutto tristemente uguale.
Ma qui si intende solo ricreare un’autentica identità locale in un punto rappresentativo di una città antica. Dove esiste un mercato a cielo aperto che ha più di mille anni. Dove è scomparsa la Trattoria dell’Abbondanza, al cui posto è sorto uno spazio tutto plastica e luci fosforescenti.
“Non si può permettere una cosa del genere. La nostra tradizione viene prima di tutto”, ha detto un negoziante storico pistoiese. Già. Una domanda, però: se le tradizioni locali sono più importanti di tutto, perché non si dice anche a distruggerle con sistematica cura è quel demone dell’incasso che pare essere l’unica bussola della categoria dei bottegai? Bottegai, troppo spesso, di nome e di fatto.

Alessio Mannino

Commenti
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Poggesi (Registered) 31-10-2007 14:39

Ben detto, e sembra che iniziative come queste siano più facili nelle piccole città di provincia che nelle nostre città d'arte: nella mia Firenze, gran parte delle vie storiche del centro fanno mostra di reggiseni, mutande, cellulari ed altre amenità, a due passi dal Duomo e dai palazzi rinascimentali, come il Medici-Riccardi nella ex via Larga di Cosimo il Vecchio(linea 2 della Tramvia a parte). E'chiaro che le nostre amministrazioni preferiscono lucrare su un sempre più squallido turismo di massa (come sono lontani i tempi dell'"Italienische Reise" di Goethe..)piuttosto che prendere su di sè il fardello di una tradizione da custodire e rinnovare. Compito della cittadinanza davvero civile è vigilare sulla globalizzazione -e sulle istituzioni da essa guidate-e avere il coraggio di fare uso della proprie risorse. Basta delegare!
fabiolucidobalestrieri@hotmail
FabioSbrocchio (Registered) 31-10-2007 18:38

Fa piacere sapere di questa buona iniziativa.
Io penso che molti bottegai tengano veramente alla tradizione, ma ovviamente devono pensare anche a come far soldi se vogliono poter vivere in un sistema che comunque ancora non permette (e ancora non pensa di organizzarsi per..) una società della decrescita. in più sono bottegai e non contadini (i contadini per lo meno qualcosa da mangiare pure ce l'hanno senza aver bisogno per forza di denaro). Considerando che la concorrenza che subiscono è quella dei grandi imprenditori e dei loro centri commerciali, be, non penso possiamo accanirci su di loro: hanno una bottega, non una multinazionale. se non pensano al lucro nel loro piccolo, chi è che da loro da mangiare?
E comunque il loro lucro non si fonda sul disboscamento della foresta nera e dell'amazzonia o sulla devastazione di terreni ricchi di giacimenti di petrolio.
Sono macellai, falegnami, tappezzieri, fruttivendoli, ferramenta, meccanici ecc. ecc. non sono banchieri, finanzieri o industriali.
Penso che avranno pur diritto a pensare alla loro economia, quella locale che penso sappiamo gestire tra loro.
Il problema, come ha fatto notare Poggesi, sono più che altro le grandi città che a quanto pare non hanno alcuna intenzioni di ridimensionarsi e anzi, vanno sempre più in contro al mito del progresso, del multietnismo e dell'iperconsumismo, senza preoccuparsi minimamente delle loro tradizioni se non in, ormai, ipocrite ed insignificanti sfilate in maschera e notti bianche ricche di arte e cultura spicciola ad uso e consumo degli introiti dei mega-store cittadini.
il problema non sta certo nel mercato dei bottegai che rimane, bene o male, chiuso dai limiti del borgo e che non è così avido di denaro come si dice. ma poi: quanto denaro può mai girare in un mercato di borgo del genere? non a caso i giovani non vogliono fare i bottegai, vanno via dai borghi, smaniosi di vivere le città "cocainomani" dove guadagnare e spendere a ritmo di musica house e motori mercedes.
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