Una guerra illuminante

28 Febbraio 2016

Image

 

 

Da Appelloalpopolo del 25-2-2016 (N.d.d.)

 

Per me tutto cominciò – o ricominciò – con la criminale aggressione alla Serbia. Da quell’episodio inizia la mia rinascita politica e credo anche che soltanto da quel momento cominciai a tirar fuori il cervello dal barattolino nel quale qualcuno lo aveva collocato sott’olio. Questi i ricordi e le confessioni:

il disprezzo per D’Alema, che si reca ad Aviano ad assistere alla partenza dei bombardieri statunitensi;

la scoperta che l’Europa non esisteva e non voleva esistere, perché tanti e popolosi Stati europei chiamavano gli USA per venire in Europa a bombardare uno stato di 8 milioni di abitanti: “se proprio la guerra si deve fare, dobbiamo avere il coraggio di farla noi“, dicevo alterato ma inascoltato e suscitando lo stupore di tutti i cervelli fritti, che mi stavano attorno, guerrafondai o pacitonti che fossero;

l’abbandono di “La Repubblica”, sulla quale Eugenio Scalfari e Umberto Eco sostenevano la “guerra giusta”. In particolare Umberto Eco argomentava, vergognosamente, con criptica ipocrisia – “C’è un male terribile a cui opporsi (la pulizia etnica): è l’intervento bellico lecito o no? Si deve fare una guerra per impedire una ingiustizia? Secondo giustizia sì. E secondo carità? Ancora una volta si ripropone il problema della scommessa: se con una violenza minima avrò impedito una ingiustizia enorme, avrò agito secondo carità, come fa il poliziotto che spara al pazzo assassino per salvare la vita a molti innocenti” – e con stratosferica stupidità: “Se qualcuno per esempio dicesse che tutti i guai della Serbia derivano dalla dittatura di Milosevic, e che se i servizi segreti occidentali riuscissero a uccidere Milosevic tutto si risolverebbe in un giorno, questo qualcuno criticherebbe la guerra come strumento utile per risolvere il problema del Kosovo, ma non sarebbe pro-Milosevic. D’accordo? Perché nessuno adotta questa posizione? Per due ragioni. Una, che i servizi segreti di tutto il mondo sono per definizione inefficienti, non sono stati capaci di fare ammazzare né Castro né Saddam ed è vergognoso che si consideri ancora giusto sperperare per essi pubblico denaro…“;

lo squallore del moralista Veltroni e del minus habens sottosegretario Ranieri, secondo i quali dovevamo fare la guerra “per i bambini Kosovari“;

le modalità della guerra – 70 giorni di bombardamenti, senza invasione di terra e senza concedere all’avversario l’onore delle armi -, un plotone d’esecuzione, una operazione da boia, la guerra come semplice sevizia scientificamente attuata, modalità che mi spinsero a sperare che Milosevic avesse una atomichetta da far esplodere a Washington: lo confesso e non me ne vergogno, a 29 anni, dinanzi a un crimine di tali proporzioni, ci può stare; tutti voi che non notaste le cose che notai io dovreste vergognarvi ma in realtà avevate il cervello fritto o sott’olio, come me, ed io ebbi soltanto la fortuna di avere un Maestro che in quei giorni, stupendosi per la mia iniziale stoltezza da lettore di La Repubblica, mi stimolò a riflettere;

la scoperta di Danilo Zolo, che l’anno successivo pubblicò Chi dice umanità (per me meglio del successivo Cosmopolis) e l’abbandono di Bobbio, a lungo letto, che aveva invece sostenuto la “guerra giusta”.

Insomma, quella guerra mi fece cambiare cultura, posizioni politiche e quotidiano; mi fece scoprire che esisteva il partito unico atlantista e che l’Unione europea politicamente non era nulla  e non voleva essere nulla; mi convinse che gli Stati Uniti dovessero essere distrutti e che prima ancora dovesse essere distrutta la sinistra italiana: da allora, infatti, pur non avendo mai votato Berlusconi (nel 2001 cominciò il mio astensionismo), cessai di essere antiberlusconiano, perché ero divenuto tanto antiberlusconiano, quanto anti-antiberlusconiano. Quella guerra mi fece anche scoprire il valore del “nazionalismo resistenziale”, che poi chiamai patriottismo.

 

Stefano D’Andrea

 

 

 

Commenti
NuovoCerca
Solo gli utenti registrati possono inviare commenti!