Gli Stones a Cuba

1 Aprile 2016

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Il recentissimo concerto dei Rolling Stones a L' Avana, dopo ben 52 anni di ostracismo, ha piantato un altro chiodo nella bara del regime castrista-comunista a Cuba. Questo chiodo è di un peso assai notevole, in quanto un regime può benissimo sopravvivere ad aperture diplomatiche, generici accordi, vaghe promesse, ma quando gli usi ed i costumi di un mondo considerato sino a prima ostile, decadente, rivale, del tutto diverso, iniziano a penetrare nei suoi confini e a far presa sugli abitanti, allora questo è il conto alla rovescia verso la fine.

 

Al di là dello sdoganamento dei Rolling Stones e dei valori da essi rappresentati -valori non da poco, che hanno permeato e ancora permeano gli ultimi decenni della nostra decadenza esponenziale- il regime castrista ormai si sta svuotando di ogni contenuto e sopravvive solo in virtù dei suoi fondatori: parafrasando una antifona cattolica, a Cuba in Castro il comunismo è creato e tutto sussiste in lui. I fratelli Castro ormai sono il solo piedistallo che supporta tutta l'impalcatura nata nel lontano 1959, sono divenuti il Francesco Giuseppe d' Asburgo dei Caraibi (il monarca asburgico, negli ultimi anni, era il solo simbolo vivente a tenere unita un'Austria-Ungheria in decomposizione) e sarà molto difficile assistere, in un prossimo futuro, ad una versione del castrismo senza i Castro. Si inizierà con le riforme, si finirà come sempre in odore di neoliberismo trionfante, la pecorella smarrita che torna all' ovile dello zio Sam, le cui parole melliflue sono più subdole di quelle dei lupi delle favole. Per l'importanza non modesta che ha avuto negli ultimi 60 anni nella Storia del mondo e per il fatto che, seppur severi nel giudizio dell'ideologia comunista, Cuba era rimasto uno dei pochi Paesi non piegati al pensiero unico di un appiattimento dilagante, crediamo che tale regime meriti almeno una orazione funebre.

 

Il giudizio più equilibrato sul castrismo potrebbe essere riassunto nel fatto che fu una versione "sui generis" del comunismo e che all'inizio, nonostante la presenza di un Che Guevara, comunismo puro proprio non fu: non dimentichiamo che nei primi anni della sua guerriglia contro Batista, Castro non fu demonizzato dagli USA. Le cose cambiarono con le confische e le nazionalizzazioni che colpirono l’Impero nel 1960: da quella data, infatti, l'atteggiamento di Washington spinse Cuba definitivamente nelle braccia del blocco sovietico. Abbiamo detto che il castrismo fu una versione "sui generis" e non poteva essere altrimenti, anche solo per il fatto che si sviluppò in un Paese, in una temperie culturale, antropologica, sociale, totalmente diversa da quella europea od asiatica. Fu, se possiamo dire così, un "comunismo in salsa tropicale", quindi con un fondo leggero, festaiolo, costruito su misura per un popolo caraibico e latinoamericano: nei suoi 57 anni di Storia, il castrismo non conobbe mai le purghe infamanti e i processi-spettacolo con fiumi di sangue e di menzogne che si ebbero nell' URSS stalinista e nei paesi europei orientali nel secondo dopoguerra; non conobbe mai gli eccessi folli di un "Balzo in Avanti" o di una "Rivoluzione Culturale " della Cina maoista; il culto del capo, seppur presente, venne e viene visto principalmente come una forma di riconoscenza per il liberatore dal regime di Batista, senza mai sconfinare nel grottesco come avvenne con Ceausescu o Kim Il Sung; il Paese non divenne un regno eremita ma restò sempre aperto al mondo (al contrario dell' Albania di Hoxha); i deliri di un Pol Pot qui furono lontani anni-luce. Fra tutti i grandi leader comunisti, i fratelli Castro sono quelli con le mani meno sporche di sangue: vi furono processi sommari, liquidazioni, fucilazioni specie nei primi anni, ma non succedono cose simili da altre parti, dopo una guerra civile? Restano i demeriti quali, è vero, la repressione del dissenso, i prigionieri politici, i dissidenti, carceri speciali che non sono di certo hotel a quattro stelle ove vengono chiusi i reprobi in condizioni che non potremmo di certo dire umane. Ma vi sono stati anche i meriti, e non da poco: una campagna di alfabetizzazione riuscita in pieno; una sanità pubblica considerata dallo stesso OMS come la migliore dell'America Latina; nelle città cubane non esistono, sino a prova contraria, le favelas e il tasso di criminalità è a livelli del tutto tollerabili se paragonato con quelli di Honduras, Repubblica Dominicana ma anche dello stesso Nicaragua, che negli anni Ottanta ebbe una stagione comunista fallimentare sotto i sandinisti.

 

Il turista, a Cuba, può vedere segni di difficoltà economica e magari in certi casi di penuria, dovuta ad una situazione che si trascina dalla caduta dell'URSS, ma mai di miseria, abbrutimento o disgregazione sociale. Certo, esistono i "balseros" che affrontano il mare per fuggire a Miami, ma quelli scappano in nove casi e mezzo su dieci attirati dalla sirena del finto sogno americano, non possono assolutamente essere paragonati a "migranti economici" e chi lo fa è totalmente in cattiva fede. L'avanzata del pensiero unico imperante e del solo modello di sviluppo tollerato e possibile sta incrinando sino alle fondamenta anche questo ultimo bastione, che sino a ieri dimostrava che un altro modus vivendi -giusto o sbagliato che sia - economico, politico, sociale, può e deve, ha il diritto di esistere e di filarsi liberamente la propria storia, senza ingerenze altrui.

 

I cubani ieri applaudivano gli "Stones", ma crediamo che tra 10 o 15 anni quei concerti se li permetteranno solo i membri di una élite che farà fortuna con la caduta del castrismo, in combutta coi cubani di Miami e gli USA pronti a riprendersi i tempi d' oro di Batista, in cui erano padroni dell'isola. D'altronde, se siamo giunti a rimpiangere negli ultimi anni l'Unione Sovietica, che non era appetibile, perché non dovremmo rimpiangere il più umano Fidel Castro?

 

Simone Torresani

 

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