Non tempo libero ma tempo liberato

6 Maggio 2016

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Ora che è passato il Primo Maggio, con tutta la falsa e obsoleta retorica sul lavoro fatta dai mass media "embedded", possiamo anche noi permetterci di scrivere qualcosa. Il nostro silenzio non deve ingannare: abbiamo scelto di proposito di posticipare l'argomento, per far smaltire la sbornia fornita sia dalla informazione ufficiale che dalla controinformazione. A mente fredda si ragiona meglio, quindi ora è arrivato il nostro turno d' esprimere un'opinione a proposito. Tralasciando le menzogne ufficiali, vorremmo focalizzarci esclusivamente sulle critiche e sui rimedi letti in molti articoli di antagonisti, sparsi qua e là nel vasto oceano della Rete.

 

La prima impressione è che tutte le analisi abbiano azzeccato la diagnosi, restando però largamente vaghe, incerte, fumose, astratte sulla terapia da adottare. Demolire il mito del lavoro così come è nato dalla Rivoluzione Industriale, fare a pezzi l'attuale sistema di sviluppo economico e globalizzato ­giunto allo stadio finale del capitalismo assoluto e della reificazione totale ­è giustissimo, così come giusto è sottolineare quanto il Primo Maggio sia da considerare ormai una festa della schiavitù, non del lavoro. Tuttavia non basta, non serve a nulla spaccare il capello in quattro e analizzare sino al minimo dettaglio se non si ha, come contraltare, una formula alternativa: si rischia solo di scivolare nella pura accademia e nell' autoreferenzialità, isolandosi in una "turris eburnea" che diviene esiziale principalmente per chi ne è all'interno ancor più di chi ne sta al di fuori. Si leggono troppi concetti astratti, come "cooperativismo", "spiritualità del lavoro", "economia del dono", eccetera: queste sono solo vaghe teorie e parole che vogliono dire tutto o nulla, concetti che fanno un gran fumo ma cuociono ben poco arrosto. Siamo consapevoli che nessuno ha la soluzione in tasca, anche perché la Storia, con buona pace di Marx, non è materialista ma si basa su mille varianti impossibili da prevedere. La Storia non è una operazione di ingegneria, ma di matematica, aperta a mille varianti ed incognite, quindi forse ancor più che elaborate teorie servirebbe agire su punti fermi, su basi da prendere come riferimenti per cercare di costruire qualcosa.

 

Sicuramente noi dobbiamo guardare "oltre" il capitalismo, oltre la mondializzazione, oltre il liberismo sfrenato, essendo essi stessi concetti ormai irrimediabilmente tarati e con al proprio interno i germi della autodistruzione: non è questione di "se", ma di "quando" sarà. Per ripensare l'economia e il lavoro, a nostro avviso, si dovrebbe lavorare su taluni punti, tenendoli come faro guida:

 

1­ Anzitutto, eliminazione del concetto di lavoro, che a livello etimologico indica solo la bruta fatica, lo sforzo: labor, in latino, significa fatica, il lavoro è quello di una leva, di una macchina, di un pistone, non di una persona. Non lavoro, ma mestiere, un termine ormai caduto in disuso ma usato durante le epoche preindustriali, assieme ad "arte", che era garanzia di un'opera ben fatta, di ottima qualità, di un sapere gelosamente custodito e tramandato da maestro ad allievo. In una parola, riscoprire in termini ragionevoli e applicabili ai giorni nostri la qualità anziché la quantità, distruggere il concetto di obsolescenza programmata a favore di un prodotto ben fatto, che duri nel tempo, tagliando alla radice il consumo compulsivo ed indotto.

 

La tecnologia, fatalmente, distrugge più posti di lavoro di quelli che crea e non solo: rende le nuove professioni sempre più complesse, come studi e capacità. Non tutti hanno le capacità di svolgere professioni altamente complesse. Bisogna mettersi nella testa, volenti o nolenti, che un tasso alto di disoccupazione non sarà più congiunturale, ma strutturale. Tutto il rapporto uomo­tecnologia­lavoro dovrà essere rimesso in discussione e rivisto, piaccia o no.

 

Maggior tecnologia significa allo stesso tempo maggiore produzione di merci. Maggiore produzione di merci, significa maggiore consumo e maggiore consumo vuol dire esaurimento delle limitate risorse terrestri. Sarebbe interessante rivisitare il discorso delle quote di produzione delle vecchie economie socialiste, cercando di mantenere la produzione entro limiti ragionevoli.

 

Non più parlare di "tempo libero", che è l'altra faccia del "produci, consuma, crepa", in quanto finanzia la macchina industriale e dei consumi, ma di "tempo liberato", liberato cioè dai lacci dell'economia e del consumo. Dobbiamo riappropriarci del nostro tempo, la vera essenza della Vita, senza piegarlo alle logiche mercantili e sprecarlo in straordinari su straordinari solo allo scopo di pagare il mutuo o le rate dell'ultimo, effimero prodotto della Apple. D' altronde la riduzione dell' orario di lavoro, secondo una formula non più recente ma sempre attuale quale "lavorare meno, lavorare tutti", è sempre nell' agenda delle priorità da discutere e da fare.

 

Abbiamo elencato quattro concetti base, ma logicamente potrebbero essere molti di più. Il nostro auspicio è che da questo pungolo, da questo stimolo, forse anche provocazione ­ma ben vengano, le provocazioni, quando sono costruttive e non distruttive ­ possano nascere nuove idee, possa nascere un dibattito che lungi dal criticare e destrutturare un sistema ormai screditato da chi legge queste righe, miri al contrario a piantare i primi capisaldi di una lontana economia finalmente disintossicata dalla putredine mefitica del capitalismo assoluto e terminale, vero Moloch sul cui altare tutto viene sacrificato. Si è lanciato il sasso, senza ritrarre la mano: ben vengano le riflessioni, gli spunti, le diagnosi.

 

Simone Torresani

 

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