Senza figli

8 Ottobre 2016

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Spentisi, tra mille polemiche e anche sottili ironie, i riflettori sul "Fertility day" (l'ennesimo uso spregiudicato dell'inglese, da parte dell'esecutivo Renzi, dimostra un' altra volta la supinità italiana alla colonizzazione culturale anglosassone in atto) ci ha pensato Magdi Allam, con un articolo sul suo blog, a ri-avvivare la discussione. La tesi del giornalista e scrittore italo-egiziano è che la scusa della crisi economica sia appunto un alibi per tenere le culle vuote e non far figli, a differenza degli immigrati che nonostante gli scarsi mezzi sono assai più prolifici di noi. Dispiace vedere come una mente brillante quale è Allam possa cadere in asserzioni così semplicistiche e grossolane, non disdegnando di avvicinarsi sempre più alle idee manichee della fu Oriana Fallaci, la quale vedeva nella "politica del ventre" una delle mosse cardine del mondo musulmano per sopraffare, con la potenza del numero, il mondo cristiano od europeo. Scrivendo che la crisi economica è una scusa per non far figli, Allam dimostra di aver capito ben poco e del secolo in cui vive e dell'Occidente in cui ha scelto di vivere. Nell' articolo asserisce che "una volta" la natalità era più alta a prescindere dai mezzi disponibili senza però fare una analisi critica della società contemporanea postmoderna e di quelle dei nostri nonni e bisnonni.

 

È passata parecchia acqua sotto i ponti da quando la mortalità infantile era di 347 decessi ogni mille nati vivi entro i 5 anni di inizio XX secolo e i 3 decessi ogni mille registrati nel 2013; è passato tempo da quando i figli si passavano le scarpe di fratello in fratello e per Natale sgranavano gli occhi ad un'arancia come regalo, magari da dividere a fette coi fratelli. Senza tirare in ballo questi estremi, bisogna comunque capire che in una società ove tutto si monetizza e si calcola in denaro, anche i figli sono diventati una "merce"(bruttissimo da dire, ma vero) che ha un "costo". Si è calcolato che un figlio, dalla nascita ai 18 anni, considerando tutte le spese, per un reddito basso costa qualcosa come oltre 112.000 euro: lo dice una inchiesta fatta da Federconsumatori, quindi possiamo starne certi, e se il reddito è medio si arriva a 170.940 euro circa. Aggiungiamoci la carenza cronica di asili per l'infanzia o i loro costi elevati, una politica lavorativa che penalizza le donne madri -troppo spesso e volentieri contratti a tempo determinato non vengono rinnovati allorché la lavoratrice è gravida- inoltre per alcune tipologie di lavoro cala subito il diktat della scelta tra carriera e figli. Il cuore e la ragione direbbero di scegliere i figli alla vacuità di una carriera, ma che fare se il modello culturale dominante è tutto orientato verso la prima e se i secondi sono, appunto, dei costi non indifferenti quando già troppe coppie devono svenarsi e dissanguarsi per un mutuo, con scarsi e nulli aiuti da parte dello Stato, eccettuati i ridicoli e ciclici bonus bebè?

 

Chi li mantiene i figli, Allam? Chi soddisferà i loro bisogni indotti materiali a cui saranno indirizzati dal bombardamento del regime pubblicitario? Allam? Non è per nulla facile crescere i figli nell' attuale società postmoderna, in cui il bambino è cavia del mercato e del marketing sin dalla culla e che ben difficilmente si accontenterà di ricevere in dono una mela come nei libri di Charles Dickens. Infine, dovremmo smetterla di dire che tra i giovani italiani non esiste più voglia di maternità e paternità: uno studio dell' ISFOL (Istituto formazione professionale lavoro) commissionato, si badi bene, da una multinazionale che si occupa di alimenti per l' infanzia, ha dimostrato che per molte coppie -e per fortuna!- il lavoro è un mezzo di sostentamento, non un fine di vita e che la mancata nascita di figli oppure l' incremento stesso del nucleo familiare ove sia già presente almeno un bambino è una pura scelta dovuta al fattore economico o alla mancanza di asili o, nel caso in cui la donna abbia un lavoro, alla quasi impossibilità materiale di conciliare turni e orari coi ritmi e i tempi del bambino.

 

Lasciamo perdere gli immigrati, che vengono da ambienti, stili di vita e "formae mentis" totalmente aliene e diverse dalle nostre occidentali e concentriamoci meglio sui nostri fattori che impediscono un equilibrato bilancio della piramide demografica. Autentiche difficoltà materiali di denaro e mezzi, unite a una nuova mentalità tutta tesa alla decostruzione della famiglia e alla deresponsabilizzazione dell'individuo (essere padri o madri è la Responsabilità per eccellenza). Come si spiega che in certi decantati Paesi "modello", come Svezia o Paesi Bassi, col loro welfare così attento ai genitori (pardon, al "genitore 1 e genitore 2"...) la popolazione cresce, ma grazie ai Mohammed -il primo nome diffuso a Rotterdam- e non ai Lars e alle Ingrid? Dispiace criticare così un articolo del pur valido e bravo Magdi Allam, che non per altro ha il merito di non essere omologato alla vulgata del pensiero, ma è assurdo prendere sempre come termine di paragone gli immigrati oppure fare raffronti con le società del passato in modo acritico.

 

Il male interno, il male profondo e putrescente, è tutto nostro e solo noi dobbiamo avere la forza di uno spietato esame di coscienza allo specchio.

 

Simone Torresani

 

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