Moneta e lavoro

3 Novembre 2016

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Da Appelloalpopolo del 17-9-2016 (N.d.d.)

 

Nell’infinita letteratura volta a dimostrare l’assoluta incompatibilità tra moneta privata e funzionamento dello Stato sovrano, alcune teorie spiegano come un sistema economico possa, in un’economia aperta, sostenere la libera emissione di moneta nazionale in assenza di vincoli reali; tali vincoli tuttavia esistono e sono di natura esogena afferenti all’equilibrio di conto corrente. Come più volte discusso, la creazione di moneta può essere realizzata in modi diversi ognuno dei quali provoca specifici effetti non trascurabili sulla struttura dell’economia reale che ne adotta l’uso. Come è noto, i paesi dell’Eurozona hanno adottato l’uso di una moneta a corso legale esclusivo (monopolio monetario), denominata Euro, emessa da un Società per Azioni di natura interamente privata, partecipata dal sistema creditizio di diversi paesi, uno dei quali la controlla senza averla introdotta nel proprio sistema (GB). La gestione di tale valuta, non essendo destinata a regolare squilibri di natura reale ma unicamente a tutelare interessi privati di natura finanziaria, è totalmente indipendente dalle decisioni di politica economica dei governi dei paesi adottanti. Questa sua struttura, puramente di natura finanziaria, è stata studiata e imposta dal potere finanziario internazionale per forgiare una valuta finalizzata unicamente alla propria tutela. I paesi adottanti l’Euro, per approvvigionare il proprio sistema dei pagamenti devono necessariamente acquistare tale valuta dalla Banca Centrale Europea pagando il prezzo di questa “moneta merce” nella misura del suo valore facciale aggravato dall’interesse passivo. Per capirci meglio: gli stati che adottano l’Euro sono costretti a comprare la loro moneta da una fabbrica, la BCE, che gliela vende come qualsiasi altro prodotto reale che deve essere parimenti pagato.

 

Tenendo presente che la produzione della moneta ha un costo praticamente pari a zero per il produttore, ora cerchiamo di capire quale sarebbe il costo di produzione di una moneta fabbricata in casa da un qualsiasi Stato utilizzatore. Se apriamo il cassetto dei ricordi ci viene subito in mente che l’Italia fabbricava la propria moneta in proprio, la Lira, affidando il compito a un Ente Pubblico (di proprietà di tutti i cittadini Italiani) chiamato Banca d’Italia. La Banca d’Italia, vendeva in esclusiva le Lire allo Stato Italiano esattamente come l’Euro ora viene venduto dalla BCE ma con delle notevoli differenze. La Banca d’Italia fabbricava Lire nella quantità, al prezzo e nei tempi che il suo committente, il Ministero del Tesoro le imponeva. La Banca d’Italia era di proprietà del Ministero del Tesoro, e quindi lo Stato Italiano (i cittadini Italiani), che possedendo la fabbrica della propria moneta era anche proprietario del suo valore complessivo e dei derivanti utili; lo Stato era quindi contemporaneamente proprietario e debitore dell’intero bilancio della Banca d’Italia. Sperando che questo sia chiaro una volta per tutte e di non dover più tornare sull’argomento, andiamo oltre.

 

A un certo punto della storia la Lira fu privatizzata e ricadde nella struttura della “moneta merce”, attraverso la privatizzazione del sistema bancario nazionale a sua volta proprietario della fabbrica della Lira, la Banca d’Italia; benché già in precedenza, per effetto di alcune scellerate decisioni politiche, il ministero del Tesoro avesse rinunciato alla guida della politica monetaria. La trasformazione della Lira in moneta merce trasformò ufficialmente la proprietà dei crediti a bilancio della Banca d’Italia in debito verso un’istituzione privata, trasformando parte del famoso debito pubblico da “credito dei cittadini verso se stessi” in “debito dei cittadini verso una azienda privata”. Tutto questo senza alcuna contropartita reale se non l’esiguo incasso derivante dalla privatizzazione degli istituti di credito fino ad allora subordinati al diritto pubblico. Mio nonno avrebbe detto che fu una indecente “furbata” dei “soliti noti” ma avrebbe sbagliato; io preferisco definirlo in un modo che qui non posso riferire al fine di evitare inutili querele (ma avete già capito), il tutto agevolato dalla comprensibile ignoranza diffusa sul tema.

 

Dopo questa lunga premessa, qualcuno ovviamente si porrà la domanda: ma allora se uno Stato può creare moneta a proprio piacimento potremmo essere tutti miliardari seduti sulla riva del mare a sorseggiare tequila? La premessa è sbagliata. Uno Stato non può creare moneta a proprio piacimento né regalare la stessa ai propri cittadini per un motivo molto semplice: è possibile creare moneta sovrana allo scoperto quando ad essa è legato il pagamento di un bene o un servizio aggiuntivo (futuro) da creare all’interno e con le risorse reali, beni e lavoro del suo sistema economico. (Consiglio al lettore di andare avanti nella lettura prima di trarre conclusioni).

 

Non esistono pasti gratis. La creazione di moneta deve essere legata in valore facciale all’ammontare di valore reale prodotto in seno al suo sistema economico di emissione. Non esistono limiti alla creazione del denaro ma esistono limiti alla creazione del suo valore reale corrispondente che acquisisce, non al momento della emissione, ma nel momento in cui diviene remunerazione. Questi limiti si chiamano: piena occupazione e risorse acquistabili dall’estero in equilibrio di conto corrente. Ne consegue che non è nemmeno immaginabile azionare le proprie rotative per aumentare i consumi ma tale spesa deve essere diretta all’investimento in infrastrutture e mezzi di produzione tali da implementare la capacità produttiva nazionale e i livelli di produttività del sistema i quali a loro volta influenzeranno la domanda aggregata.

 

Probabilmente a qualcuno in questo momento torneranno in mente le industrie di Stato e il senso tecnico macroeconomico del vituperato (dalla classe “dirigente” liberoscambista) “intervento pubblico in economia”, dismesso in ottemperanza alla religione liberoscambista nordeuropea.Traendo le conclusioni, se la libera emissione di moneta è rivolta unicamente al consumo, essa si rivelerà insostenibile in quanto si disperderà illimitatamente nell’acquisto di beni esteri che graveranno inevitabilmente sul conto corrente nazionale (vincolo esterno). Il valore reale dei beni importati, se non compensato dalla creazione di valore interno da usare come ragione di scambio, andrà inevitabilmente a formare un debito insostenibile. Il caso Grecia è emblematico. Se campi a debito prima o poi gli esattori ti bussano alla porta.Se qualcuno ora si sta chiedendo se debba nascere prima l’uovo o la gallina, la risposta è l’uovo. La moneta nazionale (secondo il modello con banca centrale di proprietà statale e sistema del credito a prevalenza pubblica) va creata allo scoperto secondo opportuni obiettivi di sviluppo, perché senza l’esistenza di un mezzo di pagamento non può esserci la prospettiva di produzione reale; tale produzione reale consentirà al suo termine di definire la capacità di scambio del valore facciale della moneta, il suo potere d’acquisto e nel contempo le giuste ragioni di scambio verso l’estero.

 

Le conclusioni di questo breve ragionamento sono le seguenti. Non esiste limite alla creazione del lavoro (fino alla piena occupazione) con emissione di moneta allo scoperto se tale lavoro crea beni e servizi che internalizzano, oltre al lavoro, input di natura prevalentemente domestica. Se un paese intende sviluppare la piena occupazione deve dunque realizzare un mercato interno capace di crescere attraverso il più alto grado di diversificazione produttiva tale che vi sia nelle proprie produzioni prevalenza di input di provenienza nazionale. Non esiste alcuna ragione per cui uno Stato, dotato del controllo e della proprietà della moneta, non debba provvedere, laddove il mercato fallisce, alle basilari esigenze dei propri cittadini come la sanità, la messa in sicurezza del territorio, l’istruzione, l’edilizia popolare, la fornitura di acqua e quant’altro, tutte attività reali ad esclusivo contenuto di input interni. L’unico limite a ciò non è la disponibilità di moneta, che come abbiamo visto è funzione esclusivamente di decisioni politiche, ma di capacità produttiva del sistema e di disponibilità di forza lavoro che in questa fase economica globale abbonda. Chi impedisce tutto ciò, non solo priva i cittadini dei mezzi essenziali per la propria esistenza ma sta anche gravemente danneggiando, senza alcuna ragione tecnica, la ricchezza del paese, la sua capacità di crescita e i suoi livelli occupativi e di produttività. Da quanto detto si evince che finanche una politica pensionistica volta alla regolazione dei flussi di forza lavoro, che determinino i giusti equilibri nella turnazione generazionale, può essere regolata attraverso opportuni meccanismi di regolazione monetaria […]

 

Nicola Di Cesare

 

Commenti
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lucianofuschini (Super Administrator) 03-11-2016 09:27

Salve, pur non essendo totalmente contrario all'articolo in oggetto sono qui a puntualizzare che:

LA BANCA D'ITALIA NON E' MAI STATA UN ENTE PUBBLICO

ma una semplice S.p.A. incaricata di una funzione pubblica, il cui capitale azionario era di proprietà di una vasta molteplicità di aziende ed istituti credito (questi sì nella maggior parte di proprietà pubblica o controllati da enti pubblici o i cui consigli d'amministrazione erano di espressione strettamente partitica. Dopo la privatizzazione di Casse di Risparmio e Istituti di Credito di Interesse Nazionale e successive fusioni le cose sono un tantino cambiate e la Banca d'Italia non è che una fotocopia ridotta della BCE...
( commento di Atredozi)- ------------------------------------------------------------------------------
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