Un plebiscito

6 Dicembre 2016

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Dopo una snervante e martellante campagna durata parecchi mesi, finalmente il fatidico 4 dicembre, data del Referendum sull' accettazione o meno delle modifiche alla Costituzione, è arrivato e passato. Hanno vinto con una schiacciante maggioranza i "No", in ben 17 regioni su 20 (solo Trentino, Emilia-Romagna e Toscana, le ultime due regioni "di sinistra" e serbatoi elettorali storici del PD per eccellenza hanno votato a favore della riforma Renzi-Boschi) e nonostante i "Sì" abbiano prevalso tra i nostri connazionali residenti all' estero, non sono riusciti minimamente a spostare l' ago della bilancia: la conta finale,  impietosa, non solo ha visto una affluenza massiccia alle urne dopo anni in cui l' astensionismo stava iniziando a farla da padrone ma la "forchetta", cioè la differenza tra le percentuali dei due schieramenti è stata di ben 18 punti a vantaggio dei vincitori. Praticamente quello che una volta si sarebbe chiamato un plebiscito. Riguardo le dimissioni di Renzi, dovute in quanto aveva trasformato la contesa in un referendum personalizzato pro o contro la sua persona, è ancora presto per stabilire se saranno irrevocabili oppure se il Capo dello Stato dopo un giro di consultazioni deciderà per un "Renzi-bis" o per le elezioni anticipate oppure -Dio ce ne scampi- un governo tecnico.

 

Le domande che vogliamo porci, al momento, sono le seguenti: il voto italiano del 4 dicembre può essere collegato, seguendo un filo ideale, alla Brexit e all' elezione di Trump? Avrà conseguenze o rimbalzi sui prossimi appuntamenti elettolari europei, in primis le presidenziali francesi della primavera 2017? E che conclusioni possiamo trarne? In definitiva: pure in Italia siamo arrivati al voto antisistemico?

 

La vittoria schiacciante del "No" ha seguito in un solco ideale i responsi elettorali di giugno in Gran Bretagna e di novembre negli Stati Uniti, ma è errato parlare in Italia di un voto inteso a punire un certo establishment, una certa oligarchia transnazionale finanziaria, una certa "internazionale del capitale" e le lobbies assieme ai loro camerieri politici. Quello italiano è stato sostanzialmente un voto conservatore, non un voto ribelle: la maggior parte del 59% di chi ha detto "No" lo ha fatto non tanto per punire un Renzi e un governo legati mani e piedi alle centrali delle oligarchie finanziarie mondialiste quanto perché il nostro fiorentino aveva osato attentare a quello che, forse, è rimasto l'unico mito in grado di cementare la barcollante Repubblica Italiana: la Costituzione del 1 gennaio 1948. Basta dare un'occhiata allo schieramento trasversale ed eterogeneo del No per rendersene conto: vecchi comunisti e sinistra nostalgica del tempo che fu, i "Cobas", quindi il Movimento 5Stelle, Forza Italia, Fratelli d' Italia, la Lega Nord salviniana, addirittura una minoranza del PD. Anche come "classi sociali", ammesso che oggi abbia ancora senso parlarne (e infatti non ne ha, ma ci tocca..) si passa dal pensionato, allo studente, all' operaio del sindacato di base, al libero professionista, all' artigiano o imprenditore, al laureato cosmopolita che crede ancora alla favola di Babbo Natale (la Costituzione più bella del mondo, largamente mai utilizzata) e al leghista che pensa, bontà sua, di poter spostare le lancette dell' orologio agli anni Novanta pre-globalizzazione, eccetera eccetera. Certamente l'italiano medio ha smesso di credere a Renzi dato che ad annunci roboanti corrispondono, da mille giorni a questa parte, realtà quotidiane sconcertanti e del tutto scollegate dalla propaganda. Ma il nocciolo della questione ci dice che l'italiano medio, da conservatore, è affezionato ad un testo costituzionale che seppur ormai superato, inattuabile, obsoleto, smentito dai fatti, dalla realtà internazionale (pensiamo alle guerre d' aggressione mascherate da guerre umanitarie, in barba all' articolo 11) è ancora visto come un totem, un tabù, un mito fondante, l'unico mito che ancora tiene in piedi una Repubblica scollacciata e sfibrata: chi tocca la Carta, muore.

 

Da ribelli e reazionari non dovremmo gioire o far salti per un trionfo del conservatorismo e della conservazione, tuttavia ci consola e ci infonde fiducia un fatto non indifferente: anche gli italiani hanno capito che non si possono cambiare le regole del gioco a gioco in corso, ossia la cosa che le oligarchie mondialiste stanno facendo almeno da Seattle 1999, anche se il tutto è partito da prima. Seppure quindi in una ottica da conservatori, gli italiani stanno iniziando a capire che qualcuno "sta barando" e sta barando grosso e che tocca tornare a riprendere in mano il proprio destino, per filarsi la propria Storia, senza pelosi trucchi od ingerenze varie. E stanno capendo che questo barare si nasconde dietro linguaggi subdoli e ingannevoli, quali il "ce lo chiede l'Europa" o peggio ancora "ce lo chiedono i Mercati" e stanno, finalmente, iniziando a scrollarsi di dosso gli scadenti prodotti confezionati da una informazione addomesticata che ormai pare non far più presa nemmeno nello Stivale... E il solo fatto che Piazza Affari abbia chiuso stabile senza tutti quegli sconquassi finanziari e terremoti di mercato pronosticati dai Soloni di turno, la dice lunga. Non sappiamo quanto influirà il voto del 4 dicembre nei prossimi cimenti elettorali europei, noi speriamo solo che il solco aperto con la Brexit continui a procedere spedito. Insomma, abbiamo diversi elementi per considerarci soddisfatti del risultato del 4 dicembre: si son fatti passi avanti, rispetto al torpore passato.

 

Simone Torresani

 

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