Liberali e liberisti

19 Gennaio 2017

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Da Appelloalpopolo del 17-1-2017 (N.d.d.)

 

In Italia c’è una certa tendenza, dalla quale talvolta mi sono lasciato catturare anche io, ad attribuire al termine “liberale” significati non attestati o diffusi altrove: liberalismo come “concezione dell’uomo”, che farei risalire a Croce, secondo il quale il liberale era libero anche in prigione (ma Gramsci c’era in prigione e lui era antifascista a piede libero); liberalismo come concezione politica compatibile con il socialismo. Alludo al liberale che è (si dichiara) contraddittoriamente anche socialista: Pannella e Scalfari hanno rappresentato l’esito di questa tradizione, che si è rivelata puramente liberale. Ciò spiega la diffusione del termine liberismo, che ha la funzione di affermare che si potrebbe essere liberali ma non liberisti (Einaudi, l’idolo di fatto della seconda Repubblica, da vero liberale, lo negava). Invece, storicamente il liberalismo è stato compatibile con lo schiavismo e ha promosso e sostenuto il voto censitario e la prima globalizzazione, la quale generò emigrazioni a non finire. Il voto universale non censitario fu imposto ai liberali dal socialismo. Il liberalismo portò alla crisi del 1929 e infine ha promosso l’Unione europea e la seconda globalizzazione.

 

È opportuno accogliere la nozione ristretta ma storicamente fondata e diffusa del concetto di liberalismo ed elevare il concetto e la parola a nemici, perché non c’è liberalismo senza liberalismo economico. I sovranisti sono antiliberali e combattono il liberalismo. È un fatto che non può e non deve essere negato e che, anzi, andrà sempre più rivendicato. L’ordoliberalismo, invece, è soltanto una variante teorica del liberalismo; non bisogna rifiutare l’ordoliberalismo; bisogna rifiutare il liberalismo tout court.

 

Stefano D’Andrea

 

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