Tempo di decidere

22 Febbraio 2017

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Da Rassegna di Arianna del 20-2-2017 (N.d.d.)

 

Il tempo in cui stiamo vivendo è un tempo gravido di decisioni da prendere. Tutta la vita umana è fatta di decisioni da prendere, anche se molte persone, sprofondate nella più totale inconsapevolezza, nemmeno se ne rendono conto, o, tutt’al più, s’immaginano che le decisioni consistano nel tipo di scuola da frequentare, nella scelta del compagno o della compagna giusti, nella professione da intraprendere: e non immaginano che le decisioni vere giacciono a un livello molto, ma molto più profondo, e che la posta realmente in gioco è molto, ma molto più alta di quel che essi non arrivino neanche a immaginare. Che poi le decisioni vengano prese davvero, è un altro paio di maniche: ma quelle tali persone non sanno o non comprendono che anche il fatto di non decidere è una scelta, e dunque, a suo modo, una decisione, sia pure paradossale e autodistruttiva: la decisione di non decidere nulla. Quando la nave, per esempio, sta andando alla cieca nella nebbia, e si naviga a vista per evitare il pericolo degli scogli, la vedetta che si fa un bel sonnellino ha deciso anch’ella, a suo modo; e il comandante che si fa una bella sbronza e piomba a letto tramortito dall’ubriachezza, anche lui ha preso, a suo modo, una decisione: quella di disertare dal proprio dovere e di sbarazzarsi dalle proprie responsabilità, decidendo di non fare nulla per la sicurezza di se stessi e della propria nave. Così pure, lo studente che ha rimediato quattro insufficienze nel primo scrutinio dell’anno scolastico, e non si mette a studiare quelle discipline, si avvia verso lo scrutinio finale con la prospettiva certa della bocciatura; non facendo nulla, ha deciso che decidano gli altri: ha scaricato sui professori la responsabilità di bocciarlo. Potremmo fare infiniti esempi dello stesso tipo; nel campo affettivo, potremmo parlare di quei matrimoni nei quali entrambi i coniugi, o almeno uno di essi, vedono chiaramente che, non facendo nulla, cioè non modificando in alcun modo il loro modo di relazionarsi l’uno all’altro, stanno lasciando che il loro matrimonio vada alla deriva, verso l’inevitabile naufragio: eppure non agiscono, non si muovono, vuoi perché troppo stanchi e sfiduciati, vuoi perché, in fondo, e al di là di quel che dicono e di come se la raccontano, il naufragio è proprio la soluzione che, in fondo, sperano e attendono, non avendo il coraggio di prendere il toro per le corna e di assumersi almeno la responsabilità di una rottura deliberata, non secondo il caso, ma in maniera autonoma e adulta.

 

Tutto ciò riguarda la psicologia individuale e fa parte delle normali dinamiche della vita di ciascun essere umano. Ma vi sono anche delle circostanze esterne, storiche, economiche, culturali, che rendono il fatto della decisione più o meno urgente, più o meno secondario, non in senso individuale, ma in senso collettivo. Coloro i quali appartengono a una squadra, a un gruppo, a una comunità, o a un partito, a una associazione, a una istituzione, o, ancora, a una confessione religiosa, a una chiesa, a una setta, si trovano coinvolti, in certi momenti storici, in un clima da decisione, perché le circostanze complessive pongono quella squadra, quel gruppo, quella associazione, eccetera, davanti a degli aut-aut, a dei passaggi decisivi, perfino drammatici, che non ammettono dilazioni, che non tollerano rinvii. E qui sorge il primo problema: perché non tutti possiedono la stoffa di colui che sa decidere; anzi, a dir la verità, sono in pochi, sono solo una piccola minoranza ad averla. Parliamoci chiaro: nonostante l’ideologia democratica si fondi sull’idea della uguale responsabilità politica di ciascun cittadino e sull’uguale diritto a godere di diritti e a sottostare a doveri, secondo la formula un uomo, un voto, la verità delle cose è ben diversa. Per essere capaci di prendere decisioni, ovviamente decisioni responsabili (non diciamo giuste, che sarebbe già un obiettivo ulteriore, e decisamente più sofisticato), bisogna avere la stoffa del leader. E quanti ce l’hanno? Secondo alcuni studi di psicologia, nella massa della popolazione spicca un 5% creativo, al quale appartengono i potenziali leader. Essere “creativi” significa farsi le domande giuste, pensare con la propria testa e saper vedere le cose sotto differenti prospettive: cosa assai rara. Ora, di questo 5% non tutti possiedono la stoffa del leader, anzi, solo una ulteriore, ristretta minoranza; senza contare che di esso fanno parte anche i leader negativi, potenziali dittatori, delinquenti, deviati, mentre a noi, per ovvie ragioni, interessano solo i potenziali leader postivi. In conclusione, è molto probabile che non più dell’1%, il 2% al massimo della popolazione, ma probabilmente assai meno, possieda le caratteristiche per esercitare la capacità di compiere scelte intelligenti e responsabili (non necessariamente “giuste”, ripetiamo, perché questo ha a che fare con l’etica, e sull’etica esistono diversi punti di vista, mentre sulla creatività e sull’autonomia delle persone, il punto di vista tende a esser condiviso). Pertanto, sfrondato qualunque discorso sulla libertà e sull’uguaglianza, da ogni facile retorica e dalle pie intenzioni, la nuda e cruda verità è che solo l’1% delle persone, a esser ottimisti, è capace di prendere delle vere decisioni, se per decisioni s’intende, come comunemente si intende, non scegliere a caso, ma seguire una linea di condotto motivata, coerente e diretta al raggiungimento di un fine ben preciso. Viceversa, il 99% delle persone non prende decisioni, ma crede di prenderle; in effetti, tutto quel che fanno costoro è di lasciare che le circostanze scelgano per loro, ad esempio nella forma di lasciarsi influenzare in maniera decisiva dall’esempio, o dal consiglio, o dalla minaccia, di qualcun altro. E basterebbe già questa conclusione per capire quanto menzogneri ed ipocriti siano tutti i discorsi, di qualsiasi genere, nei quali si dà per scontato che viviamo in democrazia, che la democrazia è la migliore delle forme di governo possibili, e che dobbiamo ritenerci veramente fortunati di vivere sotto le sue ali calde e protettrici.

 

A parte tutto ciò, e parlando sempre senza ipocrisia, non esistono sufficienti ragioni di scandalo quando si constata che la stragrande maggioranza delle persone è costituzionalmente incapace di assumere decisioni autentiche, cioè libere e responsabili; intendendo per libere, dotate non di una libertà apparente, né generica, intesa in senso meramente negativo (la libertà da qualcosa), ma la sola vera libertà, che è sempre libertà concreta e relativa, e soprattutto positiva (libertà per fare qualche cosa). Fin qui, dicevamo, nessuna ragione di scandalo: lo scandalo esiste solo per chi non sa o non vuole guardare in faccia la realtà delle cose. In effetti, in nessuna democrazia la totalità della popolazione, o anche solo la maggioranza, assume decisioni; è sempre una ristrettissima minoranza quella che decide, in un senso o nell’altro: gli altri, si limitano a farsi portare dalla corrente. Vivono con il pilota automatico inserito, e non solo per ciò che riguarda la dimensione politica in senso stretto, ma, in genere, per tutto ciò che attiene alla vita sociale, e anche alla vita individuale: relazioni, amicizie, amori, lavoro, tempo libero, eccetera. Scelgono, si fa per dire, fra ciò che trovano già bello e pronto; al di fuori di quello, non vanno, non sanno pensare, e, al limite, non vogliono pensare. Prendiamo il caso della salute: parrebbe una questione quanto mai personale, afferente la sfera delle libere scelte di ciascuno. Ma la verità è che la stragrande maggioranza non ha voglia di prendersi cura della propria salute: tiene comportamenti sbagliati per la propria salute, pur sapendo che sono tali; quando, poi, insorgono malesseri o vere e proprie patologie, va dal medico. Perfino in questo caso, tali persone non hanno voglia di prendere decisioni: preferiscono che a decidere sia il medico, al quale si affidano ciecamente. Lasciano a lui la decisione di come curarsi, e anche quella di farsi operare o no. Non si tratta, semplicemente, del riconoscimento della propria incompetenza medica; è qualcosa di molto più profondo: è pigrizia, indolenza, è fastidio nei confronti della necessità d’infornarsi e assumere decisioni, sia per quanto riguarda gli stili di vita che prevengono le malattie, sia per quanto riguarda le terapie da adottare, una volta insorta la malattia. Anche scegliere come curarsi comporta un certo grado di creatività, ossia di pensiero autonomo e svincolato da modelli prestabiliti: e ciò è faticoso per la maggior parte delle persone. Meglio lasciare il fastidio di simili pensieri, di simili responsabilità, agli specialisti. In questo modo, la stragrande maggioranza delle persone si auto-espropria della facoltà di decidere sulla questione più essenziale ed intima che vi sia: quella di gestire la propria salute. Il secondo problema è che, in questo momento storico, vi è una carenza, per non dire una vacanza, di centri decisionali. In altre parole, si direbbe che anche quel 5% creativo sia in sciopero, e che, al suo interno, anche quell’1% di potenziali leader abbia rinunciato a svolgere il proprio ruolo dirigente. Non ci sono più modelli da seguire, né istituzioni, e tanto meno persone, che si accollino la responsabilità di decidere: nemmeno per se stesse, figuriamoci per indicare la direzione agli altri. Ma, se è così, e noi crediamo che sia così, allora anche il rimanente 99% della popolazione è come paralizzato: non sa da che parte andare, non sa letteralmente che fare, perché gli è venuto a mancare qualunque cartello indicatore. Lo si vede a tutti i livelli: i genitori non sanno come educare i figli; le maestre e i professori non sanno come insegnare agli studenti; i sacerdoti e i religiosi non sanno come occuparsi delle anime e come annunciare il Vangelo: o meglio, ciascuno si regola a suo modo, ciascuno si fa la sua pedagogia, la sua didattica, il suo catechismo; quanto alle masse, si sbandano e si frammentano dietro a ciascuno di questi ex leader che vanno a casaccio, che annaspano di qua e di là, così, secondo gl’impulsi del momento. Eppure, la vita richiede di prendere decisioni; la vita non va in sciopero, non va in vacanza: le cose da fare, le decisioni da assumere, restano, anzi, si accumulano e ingigantiscono, quanto più a lungo vengono rinviate e dilazionate. La vita esige che gli uomini sappiamo scegliere, o almeno che si accodino ai leader capaci di scegliere. Ma se i leader hanno rinunciato a svolgere la loro funzione trainante, cosa accadrà? Gli inguaribili ottimisti diranno: ecco, questo sarà il momento in cui le persone si riscuoteranno dal torpore, e capiranno di non poter delegare in eterno a qualcun altro la facoltà di decidere; in breve: diverranno adulte, sotto lo stimolo della necessità. Noi non lo crediamo. È vero che la necessità è un potente stimolo alla maturazione, ma solo se esistono le pre-condizioni di base; se queste non vi sono, l’urgenza della necessità non fa altro che aggravare la paralisi e il corto circuito in cui si dibatte chi non ha mai saputo prendere una decisione in vita sua. Come farà il passeggero distratto, che non si è mai interessato a come funziona il governo di una nave, a sostituire il comandante, una volta scoperto che costui si è ubriacato e che il bastimento sta letteralmente andando alla deriva? Non ci si può improvvisare marinai, nemmeno quel poco che serve a calare in mare le scialuppe, ma nella maniera giusta, e dopo aver controllato che ci siano le provviste di emergenza.

 

Ma non basta ancora. C’è un terzo problema, oggi. Chi dovrebbe prendere le decisioni non è solo latitante; pare che stia accadendo qualcosa di peggio, di assai più grave: cioè che i responsabili delle decisioni abbiano scelto, per qualche ragione che loro sanno molto bene, ma che il pubblico ignora e può, al massimo, tentar d’indovinare, di portare deliberatamente la nave verso gli scogli. In altre parole, le classi dirigenti paiono più che mai impegnate a condurre le comunità, i popoli, i fedeli del credo religioso, verso la distruzione. […] Non si tratta solo di sostituire i leader distratti, inefficienti e incapaci; si tratta di rimpiazzare dei traditori con dei nuovi dirigenti, che siano capaci ma che siano anche leali, cioè votati al bene comune e alla comune salvezza. Ora, si badi, non è detto che tali persone non esistano: sempre pescando all’interno di quel 5% creativo, forse ci sono, ma, sino ad ora, non sono state prese in considerazione, ad esempio perché troppo indipendenti nei loro orientamenti e nei loro giudizi, oppure perché non interessate agli intrighi e ai compromessi del potere. Ma la domanda è: se il 99% passivo e incapace di scelte, si rende conto che la nave sta andando dritta verso il disastro, come immaginare che troverà il coraggio di prendere una decisione così anticonformista, così coraggiosa, come quella di affidarsi a dei leader nuovi, sconosciuti, impopolari, perché non adusi alla demagogia e incuranti di piacere alla massa? Se fosse capace di prendere una decisione del genere, allora non sarebbe la maggioranza amorfa e abitudinaria, ma sarebbe divenuta simile, chi sa per quale miracolo, alla ristretta minoranza delle persone capaci di pensare e di decidere da se stesse. Da qualunque lato si consideri la cosa, pare che non esistano vie d’uscita. O meglio, la via d’uscita ci sarebbe, e cioè tornare al modello anteriore all’avvento della mentalità democratica: bisognerebbe che la massa si affidasse a chi sa prendere decisioni, e che, all’interno della minoranza creativa, chi si è venduto venisse prontamente sostituito da chi è rimasto integro. Ma come avverrà un simile cambio della guardia? Ci vorrebbe, appunto, un miracolo…

 

Francesco Lamendola

 

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