Aspettando Taricco

28 Luglio 2017

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Da Appelloalpopolo del 25-7-2017 (N.d.d.)

 

Dopo il referendum sull’uscita dall’Unione europea della Gran Bretagna e quello sulla riforma della seconda parte della nostra Costituzione, era prevedibile che sarebbe iniziata la stagione dell’attacco ai principi fondamentali della Costituzione; ultimo vero ostacolo all’integrale assoggettamento dell’Italia al liberalismo. In un articolo di Angelo Panebianco pubblicato sul “Corriere della sera” – “antico complice” dei capitalisti stranieri – si invoca la necessità di una modifica dei principi fondamentali della Costituzione. Ancora è fresca nella memoria l’oculata opera di preparazione dell’avvento di Mario Monti da parte della stampa nazionale perché sfugga il fine dell’editoriale. Sostiene, Panebianco, che la disputa sulla flat tax dovrebbe fornire lo spunto per rimettere in discussione la prima parte della Costituzione nella quale sono elencati i principi fondamentali del nostro modello costituzionale. L’articolo contiene un attacco a quelle “clausole di eternità”, come Haberle definiva le garanzie a tutela dell’identità dello Stato costituzionale – l’attacco alle quali legittima l’esercizio dell’ ‘ultimo’ dei diritti fondamentali del cittadino: il diritto di resistenza, che rimane integro rispetto a tutti gli altri diritti calpestati dal colpo di Stato avvenuto o in fieri.

 

È di alcuni giorni fa la notizia delle conclusioni rassegnate dall’Avvocato generale della Corte di Giustizia nell’ambito della questione pregiudiziale rimessa dalla Corte costituzionale alla Corte di Giustizia sul caso Taricco. La vicenda è complessa e qui non mette conto di esaminarla compiutamente ma si vuole solo fare presente che la questione si preannuncia di straordinaria importanza per gli sviluppi dei rapporti tra gli ordinamenti europeo e nazionale. Nel 2015 la Corte di Giustizia ha dichiarato che la disciplina degli atti interruttivi della prescrizione dei reati prevista dal codice penale italiano non offre adeguata tutela agli interessi finanziari dell’Unione in caso di frodi penalmente rilevanti relative all’IVA (l’imposta sul valore aggiunto è una forma di tassazione armonizzata e l’Unione Europea ha interesse al gettito riveniente da questa tassa per finanziare parte del proprio bilancio) e ha quindi ordinato ai giudici nazionali di disapplicare gli articoli 160 e 160 del codice penale italiano in quanto in contrasto con l’articolo 325 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea. L’esecuzione di questa sentenza nel nostro ordinamento pone questioni di non trascurabile momento, in quanto ottemperare al dictum della Corte di Giustizia vorrebbe dire applicare retroattivamente un trattamento penale più sfavorevole al reo, introdotto da una sentenza e non da una legge. Emerge con chiarezza il contrasto con i principi costituzionali di legalità della pena e dell’irretroattività della legge penale codificati dall’art. 25, comma 2, della Costituzione (nella nostra tradizione giuridica la prescrizione ha una connotazione sostanziale, non processuale, incidendo sulla punibilità del reo ma questo non è rilevante ai fini del nostro discorso). La Corte Costituzionale, investita della questione dalla Corte di Cassazione e dalla Corte d’Appello di Milano, ha rimesso la questione alla Corte di Giustizia per chiedere lumi sull’interpretazione da dare alla sentenza Taricco. Nell’ordinanza di rimessione la Corte Costituzionale ha chiaramente fatto presente che, nel caso in cui la Corte di Giustizia dovesse mantenere la propria interpretazione dell’articolo 325 TFUE in termini identici a quelli formulati nella sentenza Taricco, essa potrebbe dichiarare la legge nazionale di ratifica e di esecuzione del Trattato di Lisbona – nei limiti in cui essa ratifica e dà esecuzione all’articolo 325 TFUE – contraria ai principi supremi del suo ordinamento costituzionale, esimendo così i giudici nazionali dall’obbligo di conformarsi alla sentenza Taricco. Si tratta della prima volta in cui la Corte Costituzionale reagisce con fierezza all’ennesima manifestazione del “rispetto delle tradizioni costituzionali” altrui da parte delle Autorità europee minacciando espressamente l’applicazione dei “controlimiti” ossia i limiti alla prevalenza del diritto europeo sulla Costituzione. Qui non viene in rilevo la discutibile disciplina di diritto interno sugli atti interruttivi quanto il rispetto di fondamentali garanzie che la Costituzioni prevede e che l’Unione europea mette in discussione in un gigantesco processo di regresso economico sociale etico e politico, mascherato da progresso. Non crediamo che questa vicenda servirà a far comprendere meglio la reale natura del processo di integrazione in corso a chi ha da tempo pervicacemente scelto di credere alle “magnifiche sorti e progressive” dell’Unione europea. La capacità di fascinazione esercitata dal liberalismo basata sulla parola “libertà” in esso contenuta – un ottimo esempio di come il marketing sia sempre, inesorabilmente, una fregatura – non lascia scampo. Siamo in una fase nuova del processo di integrazione europea e, come sempre, la stampa indica in quale direzione tira il vento. Fa sorridere, in un contesto così violento e brutale, chi ancora si attarda nella ricerca dei modelli econometrici che dovrebbero dimostrare empiricamente quale sia il sistema migliore; chi vorrebbe scegliere tra Costituzione fondata sul lavoro e Trattati fondati sulla stabilità dei prezzi in base al sistema che garantisce la migliore allocazione delle risorse. Bisogna tollerare l’altrui opinione, anche quella di chi, dopo aver legittimato lo scempio dello Stato sociale dicendo di fare presto, vuole ora cambiare i principi fondamentali della nostra Costituzione. Ma già Marcuse ammoniva sul finire degli anni 60 del secolo scorso che la forma attuale della tolleranza non è altro che un mascheramento della repressione (alludo al noto saggio del filosofo tedesco “La forma attuale della tolleranza: un mascheramento della repressione”, inserito nel celebre libro “Critica della tolleranza” di Wolff, Moore e, appunto, Marcuse). In una situazione come quella attuale è chiaro che la tolleranza ha una precisa funzione repressiva, essa non è altro che un’ipocrita maschera “per coprire realtà politiche spaventose”. […]

 

Stefano Rosati

 

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