Ragazzi, tornate!

12 Settembre 2017

 

Da Rassegna di Arianna del 9-9-2017 (N.d.d.)

 

Ragazzi che lasciate l’Italia sempre più numerosi, non tornate. È il messaggio chiaro e forte che un osservatore attento come Ilvo Diamanti ha lanciato dalle colonne de la Repubblica ai giovani italiani emigrati all’estero o con l’intenzione di farlo. Un viatico “incoraggiante” per le scuole che riaprono, per le università che riprendono la loro attività, per il Paese. E un attestato di sfiducia, assai motivato, in chi lo guida, lo rappresenta, reso ancora più diretto perché Diamanti si rivolgeva anche ai propri figli andati all’estero. Lo stesso consiglio aveva dato tempo fa Angelo Panebianco dal Corriere della sera.

 

A vederla lucidamente, non c’è che dire, il consiglio è fondato e non puoi che condividerlo. Però, poi, a pensarci bene, ti vengono in mente due o tre cose e una premessa diversa. Proviamo a vederla da più punti di vista. Non solo con gli occhi dei ragazzi che partono, ma anche con quelli di chi resta: le famiglie, i coetanei, l’Italia che resta. Perché il messaggio è drammatico da quei punti di vista. Il sottinteso è mettetevi in salvo voi perché qui finisce male. La conseguenza diretta dell’appello è che andando via le energie migliori, giovani e qualificate, il paese sprofonda, va di male in peggio. Le famiglie perdono la loro proiezione nel futuro, si allenta o si spezza quel vincolo di reciproca premura tra le generazioni su cui reggono le società, non c’è rete, non c’è ricambio, c’è solo emorragia. I ragazzi che restano, poi, nel confronto appaiono come inetti, pigri, un po’ vili e frustrati, destinati a vivere una vita di scarto e di ripiego. Le città s’impoveriscono e s’intristiscono. E gli spazi vuoti vengono riempiti dai migranti; le famiglie si appoggiano ai badanti, i paesi perdono vitalità e legami comunitari, l’economia entra in un tunnel di declino. Non bastavano i divorzi e la denatalità: il divorzio dei figli dai genitori è perfino peggio. Al sud quasi tutte le famiglie sono state dimezzate da queste separazioni verticali. Il consiglio dato ai ragazzi di non tornare considera solo il loro interesse individuale, non si cura del resto, anzi va a scapito del resto: mors mea, vita tua. Possiamo capire la priorità assegnata alla loro vita e alla loro riuscita, ma teniamo a mente l’effetto devastante sul paese, su chi resta e sulle famiglie, a cui si aggiunge la vera e propria sostituzione di popolo, dei nostri figli coi migranti.

 

Torno ai ragazzi che sono partiti e dico innanzitutto una cosa. Non decidete a priori, in base a un pregiudizio, cosa farete in seguito. Può essere che sia meglio restare dove siete, cioè all’estero o ancora altrove, può essere che sia meglio tornare in Italia col patrimonio di esperienza e magari anche economico che avete accumulato, può essere che sia deludente o alienante vivere all’estero perché i vantaggi che vi dà non compensano le perdite che patite. Perché all’estero, spesso, si vive peggio che da noi, migliori servizi ma vita peggiore. Insomma non fate di quella scelta un partito preso, ogni caso è una storia a sé. A me i ragazzi che hanno il coraggio di partire, confrontarsi e cimentarsi col mondo, cercar fortuna fuori e vedersi riconosciuti nei loro meriti e nelle loro capacità qui disconosciuti, piacciono. Bravi. È bello partire, però – lasciatemelo dire – è più bello tornare. Ma non solo; nel primo caso fate una scelta meritoria dal profilo strettamente personale, nel secondo fate un passo in più, fate una scelta meritoria dal punto di vista sociale, famigliare, comunitario, etico. Tornare è difficile, e se non ci sono le condizioni pratiche sarebbe una follia, d’accordo. Ma provarci o almeno saggiare l’ipotesi, vedere se è possibile riconvertire qui quel che fate altrove, sarebbe una grande scommessa. Vi candidereste a diventare voi la classe dirigente del Paese.

 

Ai tempi di Totò valeva il detto “Ho fatto tre anni di militare a Cuneo”, oggi vale la norma ho fatto tre anni di Erasmus a Bruxelles (o altre esperienze e sedi). In subordine, nella società hi-tech in cui viviamo, tra smart working e lavori a distanza, è possibile anche configurare una doppia cittadinanza, mobile, metà all’estero e metà da noi. Come vedete, ho fatto un discorso a prescindere dalla politica, dove l’analisi di Diamanti non fa una piega. Fino a che il Paese è gestito in questo modo, non si può tornare. Se il paese riconoscesse i meriti e le capacità, se aiutasse chi scommette, se incoraggiasse in modo concreto le migliori intelligenze e competenze a tornare, facilitando accessi, ricerche, imprese, sarebbe tutt’altra cosa. Vero, chiediamolo a gran voce, per noi e per i nostri figli, impegniamoci e incalziamoli in questo senso. Ma nell’attesa, ma nel frattempo, torno a dire ai ragazzi partiti: fatevi le ossa dove siete, crescete, ma se foste voi tornanti a costituire un domani l’avanguardia di questa rivoluzione, se foste voi l’élite del cambiamento, insieme ai volenterosi rimasti qui? Qui risale un disperato ottimismo, per non morire prima di morire…Tornate, ragazzi, se vi va, tornate a rifare l’Italia.

 

Marcello Veneziani

 

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