L'automazione non č temibile

28 Settembre 2017

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Da Comedonchisciotte del 18-9-2017 (N.d.d.)

 

L’automazione della produzione crea una sfida per l’umanità: cosa fare con quelli “lasciati indietro” dal progresso? Nelle serie tv, come Leftovers, il tema viene affrontato più o meno sempre allo stesso modo: l’Armageddon si sta avvicinando e Dio porta a sé i privilegiati per salvarli dai futuri orrori. Ma cosa succede se tentiamo di leggere il fenomeno dal punto di vista di un economista? È un caso che solo coloro che non sono stati in grado di aderire al flusso di migrazioni e sono dovuti rimanere nei propri poveri paesi siano i nostri “lasciati alle spalle”? Si dovrebbe evitare qualsiasi romanticizzazione semplicistica del tema migranti. Alcuni europei di sinistra dicono che i rifugiati sono un proletariato nomade e possono diventare nucleo di un nuovo soggetto rivoluzionario – una cosa senza senso. Il proletariato, per Marx, era costituito da lavoratori sfruttati, tenuti a bada da lavoro e creazione di ricchezza. Dato che oggi il precariato è la nuova forma di proletariato, il paradosso dei rifugiati è che vengono per diventare proletari. Il problema è che, non avendo posto alcuno nell’edificio sociale dei paesi in cui vanno, sono ben lungi dall’essere proletariato nel senso marxiano. Non sarebbe più appropriato dire che sono la parte più ambiziosa della propria popolazione? Sono questi che vogliono salire sulla scala sociale, i veri proletari sono quelli che rimangono nel proprio paese (non accolti da Dio). La tendenza del capitalismo globale è quindi quella di “lasciare indietro” l’80% di noi.

 

Un secolo fa, Vilfredo Pareto fu il primo a descrivere la cosiddetta regola 80/20 della vita (non solo) sociale: l’80% del terreno è di proprietà del 20% delle persone, l’80% dei profitti è prodotto dal 20% dei dipendenti, l’80% delle decisioni vengono fatte durante il 20% del tempo di riunione, l’80% dei collegamenti web rimandano a meno del 20% delle pagine web, e così via. Come alcuni analisti ed economisti sociali hanno suggerito, l’esplosione di oggi della produttività economica ci pone di fronte all’estremo di questa regola: l’economia globale emergente tende verso uno stato in cui solo il 20% della forza lavoro può fare tutti i lavori necessari, cosicché l’80% della gente è sostanzialmente inutile e potenzialmente disoccupato. Quando questa logica raggiunge il suo estremo, non sarebbe ragionevole portarla alla sua auto-negazione? Il sistema che rende l’80% delle persone irrilevanti e prive di alcun uso, non è esso stesso irrilevante ed inutile? Il problema, pertanto, non è tanto che sta emergendo un nuovo proletariato globale, ma un altro: miliardi di persone semplicemente sono non necessarie e tutte le fabbriche del mondo non potrebbero assorbirle. Una volta Toni Negri diede un’intervista: passeggiando per la periferia di Mestre, la telecamera lo colse mentre oltrepassava una fila di lavoratori che si trovava davanti ad una fabbrica di tessuti destinata a chiudere; indicò verso i lavoratori e disse: “Guardali! Non sanno di essere già morti!”. Per Negri, questi lavoratori protestavano per tutto ciò che c’è di sbagliato nel socialismo sindacale, che si concentra sulla sicurezza del lavoro aziendale. Un socialismo reso obsoleto dalle dinamiche del capitalismo “postmoderno”, con la sua egemonia del lavoro intellettuale. Piuttosto che ritenere questo nuovo “spirito del capitalismo” una minaccia, come fa la tradizionale democrazia sociale, essa dovrebbe invece accettarlo, distinguendo in essa le dinamiche del lavoro intellettuale e della sua interazione sociale non gerarchica e non centralizzata, tipiche del comunismo. Se seguiamo questa logica fino in fondo, non possiamo che essere d’accordo con una cinica battuta neoliberista: oggi il compito principale dei sindacati dovrebbe essere quello di rieducare i lavoratori per adattarli alla nuova economia digitalizzata. Che dire tuttavia della visione opposta? Il nuovo capitalismo rende superflua una percentuale sempre più grande di lavoratori (secondo alcune stime, a lungo termine, il capitalismo di oggi avrebbe bisogno idealmente di un mero 20% della forza lavoro disponibile). E quindi, che dire allora di riunire tutti i “morti viventi” del capitalismo globale, tutti quelli lasciati indietro dal progresso neocapitalista, quelli resi obsoleti e quelli che non sono in grado di adattarsi alle nuove condizioni? La scommessa, ovviamente, è che si possa indurre un corto circuito tra questi avanzi della storia e l’aspetto più progressista della storia. La scelta vera è pertanto questa: dovremmo continuare a prenderci cura di chi è rimasto indietro o dovremmo affrontare il compito molto più difficile di cambiare il sistema globale che li lascia indietro? Senza un tale cambiamento, la nostra situazione sarà sempre insolubile. Ad esempio, si consideri l’automazione della produzione che – molte persone temono – ridurrà radicalmente la necessità dei lavoratori facendo quindi esplodere la disoccupazione. Perché temere questa prospettiva? Non apre le porte ad una nuova società in cui lavoreremo tutti e meno? Che società è quella in cui le buone notizie vengono automaticamente trasformate in cattive?

 

 Slavoj Žižek (traduzione a cura di HMG)

 

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