"Vittoria di merda"

11 dicembre 2007

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Abbiamo aspettato più d’una settimana per commentare l’esito del referendum sulla nuova Costituzione venezuelana di domenica 2 dicembre. Lo abbiamo fatto volutamente, per stare a sentire tutte le tendenziose idiozie accumulatesi sui nostri media “democratici” (ad orologeria).
Il presidente Hugo Chavez ha perso di misura: il 49% dei votanti ha votato per la riforma da lui proposta, il 51% l’ha bocciata. L’orchestra dei commentatori occidentali ha suonato all’unisono il peana del responso democratico, della volontà popolare. Infatti: è andata così. Ma fino al giorno prima il Venezuela chavista era uno Stato avviato alla dittatura, con l’ex colonnello dal basco rosso dipinto come un caudillo autoritario e populista. Delle due l’una: o la stampa dei Paesi “democratici” e “liberali” (fra cui l’Italia) mente con questo ritrattino di comodo modellato su misura per demonizzare un Paese sovrano, oppure la consultazione è stata tutta una bufala. E ci parebbe davvero strano che in un “regime” chi è al governo perda, e per di più d’un soffio.
E’ la propaganda spacciata per informazione. Quella per cui il voto trionfale per Putin in Russia deve essere una macchinazione senza valore, mentre quello sudamericano dev’essere la vittoria della democrazia (occidentale, of course). Due pesi e due misure: se il risultato è gradito alle nostre oligarchie politico-economiche, è un buon risultato; se non lo è, va condannato. Propaganda, solo propaganda.
La riforma costituzionale per consolidare la “Revolucìon” della Repubblica Bolivariana di Venezuela prevedeva i seguenti punti: l’eliminazione del limite di due mandati per la rieleggibilità del presidente, con l’estensione della carica da sei a sette anni; la creazione di consigli regionali decentrati; abbassamento dell’età del voto da 18 a 16 anni; il passaggio del controllo della politica monetaria dalla Banca Centrale al presidente, cioè allo Stato; il conferimento all’esecutivo del potere di espropriare la proprietà privata per assicurare il fabbisogno alimentare della popolazione e il divieto di grandi assembramenti proprietari in campo agricolo; riduzione dell’orario della giornata lavorativa da otto a sei ore; introduzione dell’assistenza sociale ai lavoratori che regolarizzeranno la loro posizione (il lavoro in nero è una realtà che riguarda la metà della popolazione attiva nel Paese); istituzionalizzazione di programmi di assistenza sociali con fondi provenienti dalla vendita del greggio. Tutto nel nome del “socialismo bolivariano” delle camicie rosse chaviste.
Un programma nettamente antiliberista e in controtendenza rispetto al modello globale di democrazia in mano alle lobby imprenditoriali e alla finanza internazionale, come si vede. Di qui l’ostilità dell’Occidente. Un programma che, almeno riguardo alla riconquista della sovranità sulla moneta, all’orario di lavoro ridotto e all’apertura alle autonomie regionali (non sulla rieleggibilità, ma è affare dei venezuelani, non nostro!), ci sentiamo di appoggiare in pieno.
Il guaio di Chavez è che osa sfidare gli Usa, la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale. La sua arroganza sta nell’aver promosso un Banco do Sur, un istituto internazionale di credito a cui ha aderito quasi tutti gli Stati dell’America del Sud, allo scopo di dare impulso a un’economia continentale sempre più indipendente dal sistema finanziario occidentale. Il suo peccato è stato quello di aver distribuito 24 milioni di libretti in cui si spiega la Costituzione, mentre qui da noi in Italia non la conoscono neppure i politici. Il suo marchio d’infamia è di voler rivoluzionare il proprio Paese dopo essere stato rieletto per due volte con un grande consenso popolare, con giornali e tv che lo criticano liberamente. La sua colpa è quella di intestardirsi a dare al Venezuela un’identità libera dal dogma della globalizzazione e della modernità unica e totalitaria.
Perciò ha ragione Hugo: quella dei suoi avversari – quegli stessi che gli rinfacciano il fallito golpe del 1992 per poi tentarlo loro dieci anni dopo, e che vorrebbero il ritorno a un Venezuela dove il petrolio è in mano a compagnie private complici degli Usa, dove la sanità pubblica è un miraggio e dove le minoranze etniche sono prive di ogni diritto – è stata una “vittoria di merda”. Mentre il Venezuela di Chavez è tutto in queste sue parole: “Il paese era al collasso. Ho evitato un bagno di sangue, mi sono arreso, ho fatto un anno di carcere, sono stato espulso dall’esercito. Ma ho dato una scossa e il paese ha risposto nelle elezioni del 1998. Non ha pagato invece chi ha fatto il golpe nel 2002. L’ex presidente della Confindustria assieme alla Centrale dei sindacati, che tutto era tranne un sindacato dei lavoratori. La nostra Repubblica bolivariana è uscita dalle urne. Una maggioranza schiacciante. E’ l’oligarchia che non accetta questa realtà democratica. La rivoluzione socialista e bolivariana dà fastidio a molti. E’ l’alternativa al neoliberalismo che ha dominato gli ultimi vent’anni. E’ la dimostrazione che esiste un’alternativa, più umana, meno crudele”.

Alessio Mannino

Commenti
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Taxi no Global (Registered) 12-12-2007 09:49

I camionisti voglio un mercato regolamentato..ma propio tutti odiano questo dogma selvaggio...

simone.org (Registered) 12-12-2007 21:50

proprio la libertà di stampa difesa da Chavez non gli ha giovato, credo che una parte minima, ma decisiva, dell'elettorato, sia stata deviata proprio dalla campagna filoccidentale, particolarmente pesantu sull'abilizione del limite ai due mandati presidenziali.
Ma Chavez è nel giusto e la gente lo ppercepisce sulla propria pelle grazie a una vita migliore rispetto al passato: adelante!
www.simoneinarcadia.altervista.org
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