Violenza levatrice della storia

5 Novembre 2017

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Fummo i primi a domandare: rivoluzionari o quaquaraquà?  Agli ingenui sembrò "offensivo", sia perché un po' tutti hanno rimosso la naturalità e la necessità della disponibilità alla violenza e al martirio da parte di chi si collochi in posizione di rivoluzionario, sia perché chi "tifa", doppiamente ingenuo, vorrebbe che una rivoluzione riesca senza che chi la subisce reagisca alla rivoluzione e offende chi reagisce (bambinismo allo Stato puro).

 

Non sono passati molti giorni e sono ormai centinaia di migliaia i convinti, non soltanto che Puigdschettino sia un quaquaraquà ma che la violenza rivoluzionaria e il martirio dei rivoluzionari, nonché la violenza e il martirio controrivoluzionari, non sono né un male in sé né un bene in sé, bensì necessità logiche. Vedremo ancora violenza in Europa e ciò non è di per sé un male o un bene. Tutto dipende dalle ragioni della violenza e dai criteri che si adottano per valutarla. La violenza è levatrice della storia. Senza di essa non ci sarebbero state la rivoluzione francese, quella americana o quella russa o la resistenza afghana e irachena contro i sovietici e gli statunitensi o l'Unità d'Italia. E senza questi (ed altri) casi di violenza, le idee delle rivoluzioni francese, statunitense, d'ottobre, della resistenza afghana e irachena non si sarebbero diffuse e l'Italia non sarebbe esistita. Questi sono fatti dei quali si deve prendere atto, senza esaltare la violenza o rimuoverla, due atteggiamenti da disturbati mentali: esaltati pericolosi in un caso e pavidi moralisti destinati alla schiavitù nel secondo.

 

Stefano D’Andrea

 

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