Il brutto avanza

17 Novembre 2017

 Image

 

Da Rassegna di Arianna del 15-11-2017 (N.d.d.)

 

«Noi faremo morire il desiderio: diffonderemo le sbornie, i pettegolezzi, le denunce; spargeremo una corruzione inaudita, spegneremo ogni genio nelle fasce. Tutto allo stesso denominatore, l’eguaglianza perfetta». Così si esprimeva Verchovenski tampinando Stavroghin, il quale pensava che il suo accompagnatore si fosse solo riempito di cognac, mentre nelle sue parole c’era un sincero e autentico alito di nichilismo. E i Demoni, non solo quelli di Dostoevskij, hanno perfettamente infettato la nostra società.

 

Il brutto avanza, pervade e metastatizza ogni espressione umana. Dall’imbrattamento dei muri al turpiloquio diffuso, dall’assenza di stile all’omologazione della devianza, ogni cosa riporta ad una prevaricazione dell’informe e dell’anomalo. Quando si fa notare a qualcuno – a molti – l’indecenza delle nostre città, di certi comportamenti e di talune condizioni individuali e sociali ci si sente rispondere: è solo una questione estetica. Già: solo una questione estetica. Peccato che è proprio sull’estetica che si fonda il senso stesso della vita. Il percorso esistenziale al quale il nichilismo ci ha abituati è l’antitesi etimologica e concettuale dell’estetica, cioè della percezione attraverso i sensi. È l’anestesia, l’an-aisthesis, l’insensibilità di fronte alla deformazione del suono, sia nella sua armonia che nel criterio quantitativo di esclusione del silenzio; alla contraffazione delle immagini e dei colori, in composizioni deformate e aberranti; alla scomunica dello stile, con la sciatteria e il disordine spacciati come spontaneità e anticonformismo. Il Brutto dilaga nella perversione dei piani regolatori, nella riduzione dell’uomo a strumento intercambiabile, nei rapporti interpersonali narcisistici e cinici, nella finanza usuraia ed estorsiva. E con il brutto avanza il Male, lo scadimento di ogni principio sostituito da piccole e untuose indecenze, con l’indifferenziazione di genere e il consenso informato delle trasgressioni, con l’ipocrisia dell’igienismo morale e con l’accettazione di subdoli peccati omologati. L’antico kalòs kai agathòs, il bello e il buono, nella sua accezione di valoroso, virtuoso, aristocratico, sapiente e saggio, quindi di una tensione all’eccellenza umana e ambientale, è stato sostituito dal giusto limite della mediocrità e dalla proletarizzazione delle voglie. Mentre i comportamenti individuali manifestano la negazione di ogni stile e di ogni specifica personalità, e tutti gli ambienti replicano uguali punti di degrado e di abbandono estetico, un’operazione anestetizzante e distorsiva confonde il pensiero critico in un fuorviante gioco di specchi. Ci troviamo di fronte ad un’unica strategia che punta alla rassegnazione diffusa e ad una euforica accettazione della realtà. Le tattiche che questa strategia mette in atto sono molteplici e diversificate: da un lato puntano ad offuscare e ad alterare i dati reali della bruttura, spacciandoli per banali condizioni di transitoria trascuratezza, dall’altro esaltano una realtà virtuale che esorcizza il Male, lo nega e lo banalizza. Philippe Muray parla di Società di Paccottiglia, dove la vita è ridotta ad apparenza, dove ogni verità è dissimulata in illusione ottica, dove ogni piacere rientra in una specie di malattia dei sensi, dove il decoro viene stigmatizzato a reperto retrogrado, dove la decenza è solo un orpello retrivo. Si dice che un espediente del diavolo per agire indisturbato è quello di far passare la notizia che non esiste. È questo il nichilismo attuale, del quale il Forestaro è la metafora jungheriana attualizzata. Il Grande Feticcio della bontà, del benessere, dell’accoglienza, della solidarietà, della bellezza, del migliore dei mondi possibili, si scontra con la realtà – quella sì vera e diabolica – della cattiveria, del disagio, della perversione, della viltà, dell’orrore e dell’incubo. Ogni profilassi è falsa e perdente come colui o coloro che la propongono. Al Forestaro, metafora di rovina, di illusionismo, di oscenità, di viltà, di paura, di passività e di confusione, ci si può opporre solo – paradossalmente – facendo leva sul nichilismo, su quella condizione estrema che, una volta raggiunta, determina il momento della decisione, del perseguimento del desiderio, dell’individuazione del nemico e della tensione all’Essere.

 

Forse, è un auspicio, solo la consapevolezza di essere assediati potrà determinare quel percorso in tre tappe esplicitato da Nietzsche come cammello, leone e fanciullo: trasformare, cioè, l’Io devo in Io voglio, e l’Io voglio in Io sono.

 

Adriano Segatori

 

Commenti
NuovoCerca
Solo gli utenti registrati possono inviare commenti!