Anche la Palestina è omologata

15 Dicembre 2017

 

Da Comedonchisciotte del 12-12-2017 (N.d.d.)

 

È l’ultimo testo di Israël Shamir, e non è piaciuto ai lettori-commentatori di Unz.com. Li capisco, perché questo testo preciso e implacabile sottolinea un fatto inevitabile: la mondializzazione capitalista mangia tutto e ci rende simili a maiali, per citare il compianto matematico e polemista Gilles Chatelet. Il tifoso di calcio sostituisce il patriota, il turista il pellegrino, l’abbuffone il filosofo. Non ci saranno più bene e male, non ci saranno più pedine bianche e pedine nere (le pedine saranno di un unico colore, come nell’episodio del Prigioniero), ci sarà ciò che Bardèche chiamò la razza a prezzo unico. Attenzione, non bisogna prendere questo testo come una negazione della causa palestinese. La posta in gioco è peggiore. La disumanizzazione del capitalismo, della mondializzazione, causerà la fine di tutte le cause, salvo quella mercantile. Il divenire-mondo della merce, diceva Debord, è prima di tutto un divenire-merce del mondo. Ascoltiamo Israel :

 

«Non è mai andata meglio. Il salario minimo degli israeliani si aggira intorno ai 1500 dollari; in due anni è passato da 4000 shekel a 5300 shekel. L’inflazione non è aumentata, nonostante le più funeste previsioni. I poveri non sono più così poveri, anche se alcuni di loro non conoscono veramente la prosperità. I prezzi nella valuta locale sono stabili. Sulla scena internazionale, lo shekel è alto, altissimo (non si aspettano i record folgoranti del 2014), e il Tesoro si impegna a impedire che si alzi ancora. È per questo che i prezzi appaiono spesso troppo alti agli stranieri. Un sandwich, un modesto falafel, israeliano come palestinese, con una bevanda, costa circa 10 dollari, e a Tel Aviv vi verrà probabilmente preparato e servito da un rifugiato africano. Un pranzo costa circa 20 dollari, una buona cena molto di più, e devi prenotare con largo anticipo se vuoi trovare un tavolo. Questo succede nel lato israeliano. Nel lato palestinese, lo stesso pranzo vi costerà un po’ meno, circa 25 dollari. I ristoranti sono affollati, gli israeliani adorano il cibo e mangiano tutto il tempo, s’ingozzano continuamente.» L’apocalisse turistica è un appuntamento in una terra artefatta. Tutto per un selfie tombale:

 

«I turisti si riversano nella Terra santa come mai prima d’ora. Lo scorso ottobre, tutti gli hotel di Gerusalemme e Tel Aviv erano pieni; impossibile trovare una camera a meno di 200 dollari a notte, anche lontano dal centro A Betlemme come a Hebron, le persone che riempiono gli hotel sono i turisti in viaggio verso Gerusalemme. C’è la coda per entrare nei sepolcri più importanti, la chiesa della natività a Betlemme e il Santo sepolcro a Gerusalemme; fanno la coda per ore per venerare i luoghi in cui è nato e morto il Salvatore. I palestinesi lavorano a tutto questo. La costruzione sta esplodendo dappertutto in Cisgiordania. Nuove case crescono nel deserto. Villaggi fino a ieri ancora poveri come Imwas vicino a Betlemme e Taffuh vicino a Hebron sono diventati delle vere città con edifici a tre e quattro piani, molto simili a quelle che bramano gli israeliani.» È l’orrore immobiliare. La Terra Santa diventa una terra artefatta, come tutte le isole paradisiache trasformate in un condominio per trogloditi di cemento. «I cittadini israeliani non sono autorizzati dal governo israeliano a penetrare nei territori palestinesi. È un problema giuridico, se gli israeliani potessero vedere che i loro vicini vivono come loro all’occidentale, comprenderebbero subito che il muro non è più necessario, perché non c’è differenza tra i due lati, e sarebbe la fine del separatismo che gli ebrei imposero a se stessi.» Israël Shamir prova evidentemente molta nostalgia per la vecchia Palestina:

 

«Per quanto mi riguarda, non sono contento di questa convergenza. Adoravo la vecchia Palestina dalle case in pietra circondate dai vigneti, i contadini palestinesi sempre impegnati a prendersi cura dei loro ulivi e delle loro fonti. Punto. A Dura al-karia, un incantevole villaggio dalle fontane meravigliose, i campi sono abbandonati. I figli dei contadini lavorano sodo negli uffici governativi di Ramallah, e non intendono ritornare al lavoro dei campi. I pozzi non sono più apprezzati come l’unica fonte di vita, sono solo conservati come ricordo di un passato ormai andato. Il neocapitalismo ha demolito ciò che il sionismo non aveva potuto uccidere.» Il grande scrittore e il resistente palestinese Elias Sambar diceva che «il sionismo produce l’assenza». […] Lascio concludere il maestro, dato che è insuperabile:

 

«Ma è la realtà del XXI secolo. Lo stesso è accaduto in Provenza e in Toscana dall’altra parte del mare; mentre cose molto peggiori stavano succedendo nelle vicinanze, in Siria e in Irak. Le persone si sono abituate a questa nuova realtà, non restiamo che noi, i vecchi romantici, a lamentarcene.» La vera salvezza verrà dall’interno. Citiamo Bardèche:

 

«Le diverse nazioni stanno a poco a poco scomparendo … gli Stati non saranno altro che distretti amministrativi di un unico impero. E da una parte all’altra del mondo, in città perfettamente simili perché ricostruite dopo qualche bombardamento, vivrà sotto leggi simili una popolazione, razza di schiavi indefinibile e triste, senza genio, senza istinto, senza voce. Un uomo arido regnerà su un mondo igienico. Il frastuono dei pick-up sarà il simbolo di questa razza a prezzo unico. Marciapiedi mobili percorreranno le strade. Ogni mattina trasporteranno al loro lavoro da schiavi la lunga fila di uomini senza volto e li riporterà la sera. Eccola la terra promessa.»

 

 Nicolas Bonnal (traduzione a cura di VOLLMOND)

 

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