Profitti privati e socializzazione delle perdite

29 Aprile 2018

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Da Appelloalpopolo del 23-4-2018 (N.d.d.)

 

Come durante la crisi bancaria tra il 2008 e il 2011 dovuta al debito privato, anche in questo caso ci troviamo di fronte ad un fallimento di tipo imprenditoriale che coinvolge stavolta l’ex azienda di stato ENEL chiamata ora Servizio Nazionale Elettrico. Se accettiamo infatti il principio della concorrenza come ci viene predicato ormai da decenni, tali aziende dovrebbero semplicemente andare incontro ad un inevitabile rischio di fallimento a prescindere dal tipo di difficoltà riscontrata, e lasciare che il mercato poi provveda a sostituirle con soggetti economici più efficienti. Così avviene quando ad esempio clienti insolventi lasciano in panne liberi professionisti, artigiani e PMI, vuoi perché la domanda interna è calata; oppure a causa dei ritardi di pagamento da parte della PA; oppure perché il consumo si rivolge verso mercati esteri più favorevoli. Trattandosi di soggetti privati, in tutti questi casi però agli imprenditori non viene mai concesso di distribuire le loro perdite in maniera aggregata. Viceversa, quando sopraggiunge per loro il momento di evitare il crack si aprono alcuni scenari piuttosto impervi che molti italiani si sono trovati ad affrontare spesso da dieci anni a questa parte: a) l’impresa può procrastinare lo stato di fallimento promulgando i prestiti bancari nell’attesa che, nel breve \ medio periodo, l’economia torni ad essere anti-ciclica. Eppure, come abbiamo visto, la domanda interna è asfittica ormai dal 2008 e non accenna minimamente a risalire; b) l’altra opzione può consistere nelle delocalizzazioni. Non si tratta però di una scelta alla portata di tutti in quanto coinvolge quelle imprese che si trovano ancora nella condizione di poter investire col fine di trasferire impianti e strutture altrove. Di solito tuttavia molti imprenditori si accorgono che la situazione è precipitata dopo che hanno già impiegato tutti i loro risparmi per resistere alla crisi; oppure sono aziende di dimensione modesta, e perciò molto difficilmente riescono a percorrere questa strada. Artigiani e liberi professionisti sono ovviamente esclusi a priori da questa possibilità; c) altri sperano infine che la propria azienda indebitata venga rilevata da altre imprese (spesso di provenienza estera) in modo da essere assunti dai nuovi proprietari come dipendenti, accettando in cambio licenziamenti e un peggioramento generalizzato delle condizioni di lavoro. Dunque, qualora liberi professionisti, artigiani e imprese, non fossero in grado di accedere a nessuna di queste opzioni, la chiusura dell’azienda sarebbe inevitabile, e con essa verranno meno ogni volta anche i loro gettiti fiscali.

 

Ovvio che questo non può essere lo scenario dell’ENEL, azienda di importanza strategica nazionale. La gestione dell’energia elettrica fa parte di quei famosi assets che furono saggiamente nazionalizzati durante la ricostruzione nell’immediato dopo guerra, proprio perché in nessun caso si poteva rischiare che divenissero l’oggetto arbitrario di un fallimento da parte del mercato. Insolvenza o meno, un paese industrialmente avanzato non può permettersi di rimanere privo di energie, materie prime, servizi essenziali, banche. E, come è accaduto a suo tempo per MPS, nel caso dei prestiti non ripagati, l’ammanco delle bollette dovrebbe essere compensato quanto meno da una spesa elargita dallo Stato. Al contrario, la decisione del Tar, non solo va contro un’insensata aprioristica preclusione dell’intervento pubblico, ma anche contro i principi di efficienza e meritocrazia. Infatti, nella necessità di far rispettare le regole della concorrenza europea, il Tar legittima lo scoperto di bilancio di un’azienda privata come si trattasse di un’impresa pubblica mediante la socializzazione delle perdite. Come sappiamo, anche nel 2011 Monti recuperò 4 miliardi di euro con una manovra finanziaria ‘lacrime e sangue’ che aveva drenato i risparmi dei cittadini italiani per salvare MPS dalla mancata restituzione del credito che aveva concesso ai propri clienti nonostante gli errori d’investimento che tale azienda aveva commesso. Quindi, adesso come allora, un’impresa inefficiente ha potuto scaricare i suoi problemi su dei contribuenti sani.

 

Si tratta di un’ingiustizia sociale oltre che economica: 1. Innanzitutto, così facendo si danneggia il risparmio del settore privato (di famiglie e di imprese) il quale, viceversa, dovrebbe essere tutelato dall’articolo 47 della Costituzione; 2. In secondo luogo, banche commerciali, insieme ad un certo tipo di impresa privata vengono avvantaggiati rispetto agli altri soggetti economici. Ovvero, assistiamo all’incredibile paradosso per cui un’impresa consegua profitti privati quando l’economia è a suo favore, sottraendo i suoi introiti alla collettività (es: riguardo le decisioni sugli investimenti e la sottrazione dei ricavi alla pubblica utilità); mentre, durante le fasi di crisi, gli viene permesso di socializzare le perdite come si trattasse a tutti gli effetti di un’impresa pubblica. Così facendo si dà luogo ad una divisione in classi sociali in conflitto fra loro che con la restaurazione liberale degli anni ’80 non è mai venuta meno. Anzi, si è ampiamente divaricata favorendo, come in questo caso, una illegittima posizione di rendita di cui beneficia un soggetto privato parassitario.

 

Dunque, o si accetta il fatto banale quanto scontato che un asset strategico debba necessariamente realizzare deficit di spesa al fine di garantire un servizio d’interesse sistemico, e perciò rinazionalizziamo ENEL. Ma in questo modo dobbiamo anche metterci nell’ordine delle idee che dobbiamo abbandonare i vincoli di bilancio europei mediante il recupero di un’autonomia di finanziamento da parte del Tesoro verso le imprese pubbliche che, mediante il monopolio sull’emissione di nuova valuta, non vada a scapito né del risparmio delle famiglie né di quello delle imprese; oppure dovremmo continuare a legittimare aziende private truffa come Servizio Nazionale Elettrico la quale, per mantenere una posizione di rendita, deve mandare puntualmente in crisi il tessuto sociale e produttivo dell’intero paese.

 

Jacopo D’Alessio

 

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