Una grande occasione

12 Maggio 2018

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Da Rassegna di Arianna del 10-5-2018 (N.d.d.)

 

La decisione sul Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA) doveva arrivare il 12 maggio ma dopo la particolare presentazione power point del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, durante la quale ha accusato l’Iran di aver sviluppato armi nucleari, la Casa Bianca ha deciso di anticipare di ben quattro giorni la sua presa di posizione. Trump ha confermato la volontà di far uscire il suo paese dall’accordo sul nucleare, considerato il successo del predecessore, Barack Obama. Contemporaneamente all’annuncio di Trump giungevano notizie di raid israeliani sulle alture del Golan e nell’area di al Keswah, nella campagna di Damasco, ufficialmente per colpire obiettivi legati al movimento di Hezbollah, il gruppo sciita libanese alleato di Damasco e Teheran e uscito recentemente vittorioso dalle elezioni libanesi. La tensione sale e per l’Iran non si mette bene. Complici i successi di Teheran nel conflitto siriano a danno di Stati Uniti, Israele e Arabia Saudita, ora l’Iran si trova tra due fuochi: da una parte gli Stati Uniti, che senza giri di parole in più occasioni attraverso i suoi funzionari hanno auspicato un cambio di regime, dall’altra Israele, che vedendo concretizzarsi il progetto di una Mezzaluna sciita in Medio Oriente sceglie l’approccio: “L’attacco è la miglior difesa”.

 

Nathalie Tocci, direttore Istituto Affari Internazionali (Iai), consigliere vicina all’Alto rappresentante dell’Ue Federica Mogherini, ha seguito il negoziato iraniano sul nucleare e in una intervista a La Repubblica conferma ancora una volta come l’Unione europea non abbia intenzione di rinunciare all’accordo: “Sarà una lotta contro il tempo. Un accordo sul nucleare senza gli Usa non sarà possibile nel lungo periodo. Nei prossimi mesi potrebbero esserci provvedimenti dell’Ue per mantenere viva l’intesa”. Una possibile soluzione a breve termine, secondo il direttore dello Iai, sarebbe quella di preparare un pacchetto di misure con l’Iran per contrastare gli effetti negativi dell’abbandono di Washington come, per esempio, linee di credito per aziende europee con la volontà di investire nel paese. In Europa non si è persa occasione per appoggiare l’accordo sul nucleare iraniano tanto che anche a Berlino – nonostante le prove di Netanyahu sullo sviluppo da parte iraniana di testate nucleari – hanno recentemente confermato di continuare a sostenere l’accordo firmato nel 2015 dai cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza Onu, ovvero Cina, Francia, Regno Unito, Russia e Stati Uniti (più la Germania). Secondo il direttore Iai Tocci per evitare che Teheran volti a sua volta le spalle all’accordo sul nucleare bisogna trattare con l’Iran in un’ottica di mutuo beneficio evitando, invece, le pressioni sempre più aggressive da parte di Stati Uniti e Israele; per tentare di non far “allontanare” il paese dell’Ayatollah c’è la necessità di provare a “coinvolgere l’Iran ai tavoli di discussione regionale e incentivare il lavoro multilaterale con Russia e Cina.”

 

In questa cornice Donald Trump ha inconsciamente fatto un grandissimo regalo all’Unione europea, sempre che questa ne colga il valore e non lo getti altrettanto inconsciamente. Perché Trump ha messo l’Europa tutta davanti a una scelta: “O con noi, o con l’Iran”. E, questa volta, i paesi membri dell’Ue hanno risposto quasi all’unisono: “Con l’Iran”. Raramente durante decisioni così rilevanti per gli equilibri del Medio Oriente l’Ue ha scelto di portare avanti politiche apertamente in contrapposizione a quelle suggerite dagli Stati Uniti, nostri storici alleati. Eppure questa volta i paesi europei hanno scelto di non accodarsi ciecamente ai dettami della Casa Bianca. Questa potrebbe essere una clamorosa occasione per ricalibrare la percezione europea degli Stati Uniti per poi volgere lo sguardo, con un occhio verso il futuro, sempre più a Oriente. Senza contare che l’auto-isolamento degli Stati Uniti è un assist potenzialmente molto importante per dare nuova vita a un progetto europeo che sembra sempre più fragile e bisognoso di una nuova identità (e unità). La speranza è che l’atteggiamento statunitense spinga i paesi europei a comprendere come ci sia la necessità di un’Unione europea forte, unita, e che allontani invece i cosiddetti “egoismi nazionali”, che non sono quelli dell’Ungheria di Viktor Orban, ma della Francia di Macron.

 

Guido Dell’Olmo

 

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