Democrazia locale

2 gennaio 2008

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Il 15 e il 16 ottobre scorsi si è tenuta a Valencia la Conferenza interministeriale del Consiglio d'Europa, in cui i ministri europei responsabili delle politiche locali hanno discusso di temi quali il ruolo dei cittadini nella vita locale e i recenti sviluppi dell'autonomia regionale.
Il Consiglio d'Europa ha quindi lanciato la Settimana Europea della Democrazia Locale, che mira a promuovere la partecipazione dei cittadini in tutta Europa. L'appuntamento si rinnoverà ogni anno in occasione dell'anniversario della Carta europea dell'autonomia locale, firmata il 15 ottobre 1985, che costituisce un modello per le riforme legislative nelle nuove democrazie, e da cui discende la Carta europea delle Lingue Regionali o minoritarie del 1992.
Da tutto questo si potrebbe concludere che l'Unione Europea ci tiene a salvaguardare le identità locali del Continente: il problema è che l'identità locale in un mondo globalizzato non ha senso, e proclamare il "glocale" come fanno alcuni finisce per ridurre l'identità locale alla salvaguardia dei prodotti tipici e all'insegnamento nelle scuole di dialetti che nessuno parla più. Stesso discorso per l'"autonomia locale", che diventa un adattamento della legislazione alle esigenze locali ma soprattutto la possibilità di gestire il denaro locale a vantaggio degli investimenti e delle infrastrutture del posto. E questo per un motivo molto semplice: globalizzazione e localismo non sono conciliabili.
Certamente sono stati fatti passi avanti verso la tutela delle autonomie locali (Catalogna, Paesi Baschi, Scozia, Galles ecc) ma arrivano in un momento in cui tutto questo perde di senso: la tutela della lingua locale per esempio viene quasi sempre annullata dall'invadenza televisiva delle lingue nazionali, e le leggi locali sono solo insignificanti adattamenti di decisioni che vengono prese nei governi nazionali e, sempre più spesso, trasnazionali (UE, WTO, FMI ecc).
E' bene quindi chiarire un punto, onde non cadere in equivoci: la realtà locale, come concetto, non è una nazione più piccola. La nazione, qualsiasi essa sia, non è altro che un piccolo attore della globalizzazione economica, e spezzare la nazione in tante realtà para-nazionali più piccole lascia inalterato il problema, in quanto non elimina i componenti della globalizzazione.
E questo per due motivi fondamentali: innanzitutto la realtà locale può essere anche molto più piccola della macro-regione; inoltre detta realtà deve potere agire in un contesto che non ne minacci l'identità culturale, quindi un'Europa che non abbia come obiettivo primario quello di competere economicamente con altre realtà, ma che miri solamente ad avere la forza economica e militare sufficiente a difendersi dalle altre potenze mondiali (in primis gli Usa) sia in termini culturali che economici e territoriali.
E' fondamentale quindi accettare che nessuna comunità locale può essere decisa dall'esterno o dall'alto: ogni realtà territoriale che abbia la volontà e le capacità per rendersi autonoma deve poter essere libera di farlo, e deve essere l'autorità europea a dovere avanzare motivazioni valide perchè questo eventualmente non possa accadere. L'autorità centrale deve solo garantire le condizioni esterne affinchè questo possa avvenire, al fine di creare un'Europa che somigli più a una federazione di polis che a un anonimo impero finanziario.
E alla base di ciò deve stare il principio secondo cui la politica, per ciò che concerne i suoi abitanti, deve essere decisa da loro stessi e non delegata ad altri: una democrazia diretta quindi che si serva di strumenti quali assemblee o referendum, affinchè su tutto ciò che concerne il cittadino, egli debba avere sempre l'ultima parola. Essa però non può essere usata per prendere decisioni nè che mirino a un qualsiasi sviluppo economico (in particolar modo industriale) nè in qualche modo aggressive verso altre comunità: in questo senso dovrà vigilare l'autorità centrale.
E' bene precisare che la democrazia diretta è tanto più valida quanto più l'ambito è piccolo, perchè più esso si allarga meno è controllabile dal basso e più sono facili derive di ogni tipo.
Nessuna forma quindi di verità tecno-scientifica dovrà essere calata dall'alto: nessuno potrà imporre agli abitanti di una comunità valori e leggi, come curarsi e come educare i propri figli, come costruire le case e come vivere; o addirittura che una certa comunità decida di chiudersi e di non fare entrare più nessuno.
Un'Europa che miri realmente alla salvaguardia del proprio straordinario patrimonio culturale, non solo come diversità ma soprattutto come vitalità e sensibilità individuali uniche al mondo, deve innanzitutto sostituire alla vuota corsa al profitto un'economia che sia al servizio dell'uomo, in modo che egli ritorni a ricercare la felicità nella serena accettazione della vita piuttosto che in una corsa ossessiva al denaro.

Massimiliano Viviani

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