Il flop delle privatizzazioni

10 Settembre 2018

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Da Appelloalpopolo del 7-9-2018 (N.d.d.)

 

Alcuni amici mi hanno urbanamente rimproverato di aver preso posizione a favore della rinazionalizzazione di molte industrie italiane, senza ricordare come si sia pervenuti al grande piano di privatizzazioni degli anni ’90. Essi dicono che si è pervenuti alle privatizzazioni perché si trattava in gran parte di enti pubblici in perdita, e perché, come dimostrato dalla stagione di Tangentopoli, la classe dirigente pubblica si era dimostrata inaffidabile e predatoria. Per quanto molto ci sarebbe da dire su cosa significhi ‘essere in perdita’ per un’azienda di Stato, diamo forfettariamente per buoni questi argomenti. Queste privatizzazioni, ricordiamolo, hanno coinvolto una parte vastissima dell’economia italiana. Sono state trasformate da aziende di Stato a Società per Azioni: IRI (tra cui Credito Italiano), ENI (tra cui Nuovo Pignone, Agip e Snam), INA, ENEL, Ferrovie dello Stato, l’Azienda autonoma dei monopoli di Stato, la STET (Telecom), l’ANAS, ecc.

 

Tra gli enti culturali sono diventati fondazioni private tutti i teatri italiani, La Biennale di Venezia, e una miriade di centri culturali, spesso di grande tradizione: la Giunta centrale per gli studi storici, le Deputazioni e società di storia patria, l’Istituto italiano di numismatica, l’Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, l’Istituto storico italiano per l’età moderna e contemporanea, l’Istituto italiano per la storia antica, l’Istituto per la storia del Risorgimento italiano, l’Ente per le ville vesuviane, la Fondazione “Il Vittoriale degli Italiani”, l’Ente “Casa di Oriani”, il Centro nazionale di studi leopardiani, l’Istituto di studi filosofici “Enrico Castelli”, l’Istituto italiano per la storia della musica, l’Istituto italiano di studi germanici, l’Istituto nazionale di studi verdiani, il Centro nazionale di studi manzoniani, l’Ente “Casa Buonarroti”, l’Ente “Domus Galileana”, l’Istituto “Domus mazziniana”, il Centro nazionale di studi alfieriani, l’Istituto nazionale di studi sul Rinascimento, l’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia, l’Istituto nazionale di archeologia e storia dell’arte, il Centro internazionale di studi di architettura “Andrea Palladio”, l’Istituto internazionale di studi giuridici, il Centro italiano di studi sull’alto medioevo, l’Erbario tropicale di Firenze, l’Ente nazionale della cinofilia italiana, ecc.

 

Ora, come sancito dalla Corte dei Conti il 10 febbraio 2010 le privatizzazioni sono state ‘censurabili’ da innumerevoli punti di vista, o, per dirla in linguaggio meno compassato, sono state un flop sia dal punto di vista delle entrate, che non hanno alleviato significativamente il debito pubblico, sia sul piano del recupero dell’efficienza, che dove è avvenuta è avvenuta a scapito degli utenti, con aggravi delle tariffe di energia, autostrade, banche, ecc. ben al di sopra dei livelli di altri paesi europei. Ebbene, se c’è una lezione, una lezione DURISSIMA, che dobbiamo trarre dalla storia delle privatizzazioni italiane è la seguente. Non esistono ‘scorciatoie verso la virtù’. Pensare di rendere uno Stato efficiente ed onesto con la dismissione a privati di aziende pubbliche è una sciocchezza senza speranza, perché uno Stato inefficiente e corrotto, nella misura in cui sia tale, non sarà in grado di svolgere l’indispensabile lavoro di monitoraggio dei privati (come abbiamo visto plasticamente nel caso di Autostrade). Parimenti, pensare di rendere efficiente uno Stato claudicante ponendolo sotto il vincolo esterno dei ‘mercati’ o di un organismo sovranazionale come la UE è ancora più sconsolatamente stupido: una classe dirigente pubblica inadeguata renderà semplicemente il paese vittima delle capacità predatorie di classi dirigenti estere più efficienti e spregiudicate. Non esistono scorciatoie verso la virtù: la ‘salvezza’ non può venire mai né dal ‘privato’, né dal ‘sovranazionale’. Uno Stato si salva solo se e quando le sue classi dirigenti, e i suoi cittadini tutti, leggono il proprio contributo di Fatica quotidiana (labor) alla luce di qualcosa di così desueto e imbarazzantemente retorico, come l’Amor di Patria e il Senso dello Stato. Se questo non c’è, se non sei capace di percepire e concepire un ‘noi’ da salvare e verso cui avere dei doveri, allora tanto vale che tu lo sappia: non ti salverà proprio nessuno.

 

Andrea Zhok

 

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