Empatia in giuste dosi

3 Febbraio 2019 

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C'è una maestra di matematica, molto attenta a insegnare ai bambini il linguaggio completo per indicare i numeri (frazione composta, numero primo, ecc.), che organizza verifiche con 100 domande, anche intriganti, che non sparge tutti nove e dieci, ma differenzia le valutazioni, come hanno fatto per secoli i maestri di tutti i tempi, che induce gli alunni, durante certi pomeriggi, credo un pomeriggio a settimana, a dedicare anche due ore a calcoli esercizi e problemi. La maestra ideale, insomma, verrebbe da pensare.

 

E invece no, sembra che non sia "sufficientemente empatica" (come se si trattasse di una virtù tale che maggiore è l'empatia e maggiore è il valore della maestra); sembra che sia troppo attenta "al linguaggio e alle regole astratte" e che "incut(a) timore", sicché qualche bambino piange quando deve andare a scuola il giorno della verifica. Ora secondo voi, data una maestra severa, se il bambino piange quando deve andare a scuola il giorno della verifica, la colpa è della maestra o dei genitori, che si fanno sentire dai figli quando sostengono che la maestra non è empatica e insegna regole astratte e ai quali manca ormai l'a b c del genitore, perché non sanno cosa devono dire ai figli: "caro figlio, non sei il centro del mondo, la maestra deve insegnare verificare e valutare, non ti deve comprendere; devi cominciare a scoprire che la vita non è una gara con gli altri ma una gara con te stesso, sicché se l'altra volta hai avuto 6, devi aspirare soltanto a prendere 6 e 1/2 e magari la volta successiva 7 e comunque devi sapere che, se ci si impegna, è sempre possibile cadere, per esempio prendere 5 e rialzarsi, prendendo 8; non sono gli adulti che devono comprendere te, ma tu che devi impegnarti e dimostrare di essere capace di comprendere gli adulti: gli adulti ti devono consigliare, indirizzare, vietare, spiegare, educare, formare e tu li devi seguire".

 

Che belli erano i tempi nei quali un idraulico o un avvocato, un agente di commercio o una casalinga, un'infermiera o un dottore non erano così presuntuosi da sapere come si fa un mestiere diverso dal loro e da scambiare la propria debolezza, cedevolezza, incapacità di severità, mancanza di fermezza e di autorevolezza per la pretesa somma virtù - la mitica empatia - che tutti, a loro dire, dovrebbero avere al massimo. Per insegnare, serve soltanto quella dose di empatia necessaria per avere autorevolezza e possibilmente grande autorevolezza (la giusta misura, dunque).  Purtroppo oggi, con genitori tossici di empatia, che si fanno di empatia dieci volte al giorno, credendo che più si è empatici (ossia comprensivi) e meglio sia, i maestri sono costretti ad averne un po' di più, perché l'emotività dei bambini risente della grave tossicodipendenza dei genitori che in qualche misura si trasmette anche ai bambini. Tra i compiti di un insegnante, dunque, c'è anche quello di abituare i bambini a dosi sempre meno massicce di empatia, fino a riportarli alla giusta misura.

 

Stefano D’Andrea

 

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