L'Europa cristiana fu e non è

19 Aprile 2019

 

Da Vvox del 16-4-2019 (N.d.d.)

 

Perché ci fa tanta impressione l’agonia di fiamme in cui è incenerita la cattedrale parigina di Notre-Dame? Perché è un simbolo, si dice giustamente. Ma un simbolo può avere più d’un significato. Per tutti, o almeno si spera, il più immediato ed elementare è l’importanza ferita di un monumento di così antica gloria e bellezza. Una meta per ammiratori dal mondo intero. Per i religiosi, ma anche per quei laici non ottusamente materialisti, è una delle chiese più famose e prestigiose della cristianità, con una storia millenaria svettante goticamente verso l’Alto, in uno slancio religioso che il poeta Heine, malinconicamente, non ravvedeva più nella modernità assassina di qualunque Dio trascendente. Ad un occhio più prosaico ma non per questo meno acuto, la prova che la Repubblique non ha saputo salvaguardare un bene suo e dell’umanità per criminale negligenza, di cui le lacrime di coccodrillo del presidente Emmanuel Macron, con la sua idea di colletta nazionale, sono la controprova più lampante e ipocrita.

 

Fa umana tristezza, d’altro canto, assistere alla fregola guerrafondaia dei crociati immaginari che fin dalle prime ore avevano già stabilito che l’incendio non solo è doloso (il che, intendiamoci, potrebbe essere, come potrebbe essere invece uno scandaloso incidente del cantiere di riparazione della guglia principale), ma è pure terroristico, e magari di matrice islamica. Non avendo alcun elemento per sostenerlo, trattasi di classicissimo wishful thinking: si vede quel che si desidera vedere – cosa capitata anche a un’altra Repubblica, il quotidiano nostrano, che pur di buttarla in caciara anti-sovranista ha scriteriatamente dato la notizia come equivalesse alla «Waterloo dell’idea di nazione». Si pensa male non tanto perché a pensar male ci si azzecca, come diceva il gobbo (non quello di Notre-Dame, quello di Roma); ma perché si vuole pensar male. Perché così costoro, che muoiono dalla voglia che terrorismo ci sia, possono suonar le trombe di guerra e legittimare la tesi per cui c’è un’identità europea da difendere, un tramonto dell’Occidente da fermare – scambiando il Passato con l’Eterno… Che questa identità ci sia stata, nessun dubbio. Che ci sia oggi, o meglio che sia resistita alla morte di tutti gli dei – eccetto il dio denaro – dovrebbe essere quanto meno posto al dubitativo. Quel che di vitale esiste dell’Europa cristiana, di quel Medioevo di cui Nostra Signora di Parigi è, o meglio ormai era, una maestosa eredità, è patrimonio di una minoranza, quella minoranza di fedeli che mirabilmente ieri si è radunata per pregare. Capiamoci bene: il nostro non vuol essere un giudizio, ma la constatazione di un fatto.

 

Più in profondità, forse il motivo di tanto stupore e angoscia sta nel significato rimosso di una simile tragedia. Che è il tragico, appunto. Siamo assuefatti, noi ipermoderni, a veder scorrere incessantemente immagini mediatiche che ci rendono una realtà multiforme, ribollente, ansiogena, a volte divertente, altre volte violenta, ma nell’insieme monotona e prevedibile. Piatta. Poi ecco che un evento del tutto inimmaginabile, che esce dai canoni cinici dei “soliti” conflitti o disgrazie di cui sono piene le cronache, un imprevisto assoluto e terrificante, ecco che una rottura avviene nell’ordine del nostro quotidiano disordine. E ci riporta alla barbarica realtà secondo cui tutto, ma veramente tutto, può avere una fine.

 

Alessio Mannino

 

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