Il disagio di chi indossa una divisa

!4 Ottobre 2019

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È notizia fresca che nel foggiano un agente di polizia penitenziaria ha ucciso moglie e figli, quindi ha chiamato i carabinieri e si è suicidato. Soltanto pochissime ore prima, nel piacentino, un altro uomo in divisa la ha fatta finita: stavolta in silenzio, senza coinvolgere nessuno, sparandosi con l'arma di servizio. Gli ultimi dati di "Cerchio Blu", una associazione che studia e cerca di prevenire il fenomeno, risalgono a maggio scorso e sono allarmanti: in poco più di un lustro contiamo 252 suicidi tra i vari rami delle forze dell'ordine con un tasso suicidario pari a 9,8 per 100.000. Nella popolazione civile il tasso è la metà: 5 ogni 100.000. Inseriamo pure altri numeri impietosi: sempre nel 2019 sono ormai fuori controllo le aggressioni, i ferimenti, gli agguati contro agenti, carabinieri, finanzieri e pure vigili del fuoco: in media otto casi al giorno, numeri che fanno impallidire quelli avvenuti quarant' anni fa durante gli "anni di piombo". Se impressiona che il 47% di tali atti sono commessi da stranieri, non assolve gli italiani il rimanente 53% degli episodi. Da sempre contrario alla politica del "tutti dentro", da sempre favorevole a politiche migratorie molto severe, debbo dire che non sono costoro l'unica causa del degrado in corso.

Concludiamo la prima parte di questa riflessione dicendo che neppure nel resto d' Europa se la passano bene: in Francia siamo (ultimi dati: 27 luglio) a 46 suicidi (circa mille nell' ultimo ventennio!), in Svezia gli agenti non si ammazzano ma semplicemente se la squagliano -i casi di dimissioni sono in aumento esponenziale- in Spagna addirittura si scopre che sono le Canarie(!!) la regione col numero di suicidi maggiori per chi indossa la divisa e in Inghilterra non siamo a questa emergenza, ma il malcontento è profondo.

Le analisi del fenomeno sono le solite: lavoro stressante, faticoso, pericoloso, cui si aggiungono le normali preoccupazioni della vita quotidiana e alla fine il coperchio salta. Servirebbero più sportelli di psicologi, centri d' ascolto, eccetera. Non dico non sia vero, ma a mio avviso è un quadro generico e largamente incompleto. Mancano tasselli importanti. Quasi nessuno dice che i continui, incessanti, stravolgimenti e mutamenti sociali e antropologici che hanno rivoltato la società negli ultimi decenni, il nostro modo di vivere, si sono riverberati logicamente pure su chi è preposto a tutelare l' ordine e quasi nessuno fa notare che, stante le politiche neoliberiste, turbocapitaliste, le "austerità", i tagli, le forbici sociali in continuo allargamento, lo screditamento di una politica asservita alle élites tecnocratiche e finanziarie hanno portato lo Stato ad essere percepito come alieno, ostile ed estraneo a una larghissima fetta delle classi sociali.

Le divise sono rimaste le uniche a rappresentare uno Stato che a sua volta non rappresenta più nessuno. Sono ormai tra due fuochi, tra uno Stato che li tutela solo a parole ma in realtà li abbandona e una società ormai esacerbata, mutata, stravolta, rancorosa, ostile, insofferente, che si sente non protetta, non sicura, non tutelata in nessun settore, che deve fare i conti con degrado e tagli, con disoccupazione e aumento di microcriminalità, con tasse e salari ormai insufficienti e che vede -purtroppo, ma va detto- nella divisa un difensore di uno status quo ormai intollerabile e nello Stato un nemico, l'agente delle tasse e delle imposte. Per dirla in soldoni: vi è ormai non una separazione, ma un divorzio aspro tra lo "stato reale" e lo "stato legale" del Paese e le polizie ne pagano il conto salato. Uniamoci le cause dette in precedenza, i tagli al servizio, la mancanza di un adeguato turn over, le frustrazioni professionali, forse anche rapporti meno umani tra inferiori e superiori: un tempo vi era la figura del burbero ma paterno maresciallo, che ai rimproveri dispensava consigli di vita e davvero teneva ai "suoi" uomini, elemento vitale e insostituibile, oggi è tutto più tecnico, asettico, gerarchizzato, freddo, distante. Uomini e donne chiamati ormai a fare tutto: l'infermiere per un individuo destinato a TSO, lo psicologo per chi vuole gettarsi dal terzo piano, uomini e donne alle prese con una delinquenza e un degrado al cui confronto i "briganti" tardo-ottocenteschi e i "balordi" degli anni Cinquanta e Sessanta erano fior di galantuomini. Una società irriconoscibile e mutata antropologicamente che si riverbera nei rapporti familiari: anche l' agente ha moglie e figlio a carico e sono finiti i tempi in cui i familiari del Cesare in divisa erano al di sopra d' ogni sospetto. Il poliziotto e la poliziotta debbono fare i conti anch' essi con figli senza arte né parte, che magari si sballano, che chiedono soldi e maturano solo problemi, aggiungendo nuove ambasce oltre a quelle di un sistema che li abbandona, di una società sempre più ostile (tre mesi fa a Roma una donna ha picchiato un agente che la aveva fermata per essere passata col rosso!) e di nuove forme di micro e macro delinquenza sempre più aggressive e sempre meno intimidite da un agente. Ve n' è a sufficienza per comprendere i gesti insani che ogni due per tre vedono queste persone come protagonisti.

A mio avviso, in conclusione, sono due le considerazioni. La prima è che aumentare gli "sportelli di ascolto" non servirebbe a nulla, perché dopo i dieci minuti di sfogo la merda rimane comunque. Alla prevenzione, in medicina come nel suicidio, credo ben poco: credo più nella cura. La seconda conclusione è che purtroppo tali fattacci tenderanno ad aumentare, non a diminuire, quel che vediamo è solo la punta dell'iceberg. Le soluzioni occuperebbero troppe pagine per essere scritte, ma in un riassunto estremo: lo Stato dovrebbe riprendere a fare il vero Stato, tanto per iniziare e poi andando giù e giù a cascata sugli aspetti economici, sociali, sulle politiche migratorie e quant'altro. Nell' attesa di riscontri che non arrivano, continuiamo a seguire, impotenti, queste tragedie.

Simone Torresani

 

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