Chi privatizzò l'industria pubblica

2 Novembre 2019

 

Da Appelloalpopolo del 31-10-2019 (N.d.d.)

 

Annunziata: «Draghi si è caratterizzato in una prima fase come un grande privatizzatore, se si ricorda c’è stato anche tutto un…». Romano Prodi: «Erano obblighi europei! Erano obblighi europei. Scusi, a me che ero stato a costruire l’IRI, a risanarla, a metterla a posto, mi è stato dato il compito da Ciampi, che era un compito obbligatorio per tutti i nostri riferimenti europei, di privatizzare. Quindi si immagini se io ero così contento di disfare le cose che avevo costruito, ma bisognava farlo per rispondere alle regole generali di un mercato in cui noi eravamo. E questo non era sempre un compito gradevole ma l’abbiamo fatto come bisognava farlo». Fino a poco tempo fa, lui e il centrosinistra se ne prendevano il merito di aver smantellato l’IRI. Omettendone i motivi. Ora ammettono anche questo.

 

C’è un nesso non solo diretto, ma di causa/effetto tra Unione Europea, libero mercato e smantellamento dell’industria pubblica italiana. Era una condizione imposta dal “vincolo esterno”. Una condizione non negoziabile. Un po’ come le offerte che non si possono rifiutare…

 

Una pietra tombale, l’ennesima, su coloro che, ancora oggi, negano la palese matrice liberale, quindi antisociale, dell’Unione Europa. Ovviamente Prodi, uno dei protagonisti assoluti della peggior stagione politica della storia italiana, adesso l’ammette – l’esistenza e la ragion d’essere del vincolo esterno – nell’improbabile tentativo di ricostruirsi un’immagine. E infatti arriva anche a mentire spudoratamente affermando di aver costruito e risanato l’IRI. «Eseguivo soltanto gli ordini». Non mi sembra una linea difensiva originale… D’altronde la trasmissione era dedicata alla beatificazione di San Mario Draghi. Romano Prodi e Mario Draghi. Cioè i due che potremmo ritrovarci – in un futuro purtroppo non così improbabile come dovrebbe essere – rispettivamente Presidente della Repubblica e Presidente del Consiglio. Proprio due di quelli che, più di altri, consapevolmente e per i loro interessi, nell’ultimo trentennio hanno contribuito a ridurre il Paese in una condizione simile a quella di una colonia. Molto più di quanto non lo fosse già dalla fine della Seconda Guerra mondiale. Cedendo quasi tutta la sovranità che ci era rimasta. E con essa il lavoro, i salari dignitosi e, soprattutto, una società più giusta e in cui era possibile immaginare un futuro. Spesso anche un futuro migliore.

 

Gilberto Trombetta

 

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