Inadeguatezza del Mose

16 Novembre 2019

 

Da Appellolpopolo del 14-11-2019 (N.d.d.)

 

La disastrosa alta marea di Venezia è l’occasione per molti di ribadire come il Mose sia stata un’occasione di malaffare e ruberie. Questo è vero, ma il problema è in realtà più profondo. Il Mose è paradigmatico di un approccio violento e semplicistico alla gestione dei rapporti tra uomo e ambiente. All’epoca del dibattito sulla necessità del Mose si erano levate anche altre voci, ispirate da una visione più ampia del funzionamento di un sistema complesso e delicato come la laguna. Voci che suggerivano un approccio al problema basato non su una grande opera il cui funzionamento appariva peraltro non scontato e la cui efficacia sarebbe stata comunque parziale, ma su interventi diffusi, volti a regolare il regime di immissione ed emissione delle acque. Queste voci furono tacitate, perché il progresso non si poteva fermare, e il progresso era quantificato non dalla comprensione dei fenomeni ma dalle tonnellate di cemento e di acciaio da impiegare. I risultati li vediamo, e devono servirci da monito sul fatto che la realtà è complessa, la natura anche, e le migliori soluzioni sono quelle sistemiche basate sui piccoli interventi. Le quali, lungi dall’essere meno avanzate, lo sono di più, perché richiedono una più approfondita comprensione dei fenomeni. Può essere interessante riportare un estratto di un articolo del 2003 di Eduardo Salzano, intitolato “La laguna di Venezia e gli interventi proposti”: Gli errori di fondo del sistema Mose

 

Al di là delle critiche specifiche mi sembra che al sistema progettato si debbano muovere due critiche di fondo. In primo luogo, esso è centrato su uno solo degli obiettivi che devono essere perseguiti: la riduzione degli effetti sui centri abitati delle alte maree eccezionali. Pur tralasciando il fatto che neppure questo obiettivo sembra raggiungibile con attendibili garanzie di successo (nonostante il costo elevatissimo, e per una parte rilevante neppure determinato), esso considera del tutto marginali tutti gli altri danni subiti dall’ecosistema lagunare, non interviene su di essi ed anzi in buona misura li accentua. Così, ad esempio, invece di prevedere la riduzione dei fondali dei canali principali che adducono le acque marine, ciò che di per sé limiterebbe drasticamente gli effetti delle alte maree, se ne prevede addirittura l’approfondimento e l’ampliamento della sezione rispetto a quelle attuali. E per di più tali trasformazioni sarebbero irreversibili, poiché realizzate con gigantesche cementificazioni. Ciò significa, oltre tutto, che a tutti gli altri interventi necessari per ripristinare l’equilibrio dell’ecosistema lagunare (dalla vivificazione delle zone di laguna interna alla riapertura delle valli da pesca, alla manutenzione della rete canalizia minore al reimpianto della vegetazione degradata ecc.) vengono destinate risorse del tutto marginali e insufficienti, senza alcuna garanzia di continuità e sistematicità nell’azione. In secondo luogo, questo stesso obiettivo è perseguito attraverso tecniche che definire dure e pesanti è perfino riduttivo. Tecniche, comunque, ben lontane da quei criteri di “gradualità, sperimentalità, reversibilità” che la Serenissima Repubblica di Venezia aveva perseguito per secoli, che la cultura nazionale aveva finalmente compreso essere le parole chiave per la sopravvivenza della laguna, e che lo stesso Parlamento italiano aveva inserito nel corpus legislativo. Che cosa di graduale, sperimentale e, soprattutto, reversibile vi sia nel sistema proposto è impossibile comprendere. Una soluzione semplicistica, meccanicistica, tecnicistica, rigida, parziale là dove la realtà e la storia pretenderebbero una soluzione complessa, sistemica, flessibile, governabile: l’unica adeguata al corpo vivo della laguna, riduttivamente assimilato dai promotori del Mose a un vascone dotato di tre rubinetti.

 

Emilio Martines

 

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