Lo scandalo di scendere in piazza

2 Novembre 2020 

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 Da Rassegna di Arianna dell’1-11-2020 (N.d.d.)

Ieri sera, sono stato alla manifestazione regionale anti-lockdown. Composizione della piazza: ultras e tifosi delle varie curve. Questo può essere un problema? Di certo, non lo è per me. Che fra gli ultras ci siano persone che si definiscono fasciste è un dato, in un passaggio storico come questo, totalmente irrilevante.  Infatti, da un punto di vista esistenziale e ormai anche culturale, una persona nelle mie condizioni è normale possa sentire vicinanza con un sottoproletario che si definisce fascista, ma che vive la stessa condizione di estromesso dal reddito e dal lavoro a causa del lockdown. Con i tanti borghesi di sinistra economicamente garantiti, favorevoli alla società del distanziamento ed esprimenti disprezzo classista nei confronti di chi è rimasto disoccupato, la distanza è invece etica, culturale, incolmabile, totale. La condizione di classe, cioè, oggi come sempre determina la reale e profonda natura delle convergenze e delle distanze fra i soggetti. E rende relativo e di scarso interesse tutto il resto: anche ciò che nominalmente riconduce alle grandi tragedie del Novecento. Naturalmente, qui sto parlando solo ed esclusivamente dei singoli proletari e sottoproletari che si definiscono di destra. Con le organizzazioni neofasciste come Forza Nuova o Casa Pound, al contrario e per tutta una serie di ragioni politiche che ho lungamente spiegato in altri interventi, non ho intenzione di condividere alcuna piazza né oggi né in futuro.

Detto questo, chi si scandalizza per la presenza degli ultras nelle piazze, o è in malafede o non ha la minima idea di quale fase storica stiamo attraversando.  Il dissenso sociale si ritrova oggi deprivato di rappresentanza, in seguito al ridimensionamento e al cupio dissolvi delle organizzazioni dei lavoratori, dei partiti di massa a queste afferenti, delle associazioni di categoria e di tutto ciò che veniva chiamato "corpi intermedi". A tutto questo, viene oggi ad aggiungersi il fatto che tutta l'area politico-culturale che con partiti, sindacati, associazioni e movimenti di massa per oltre un secolo è stata preposta a organizzare il dissenso nelle piazze - ovvero la sinistra - risulta oggi assente.  Per tutta una serie di ragioni sociologiche, storiche e culturali, la sinistra è diventata un blocco sociale composto da piccolo-borghesi reazionari - per certi aspetti, una nuova "borghesia nera" - volto alla difesa dello stato di cose esistente e alla criminalizzazione del dissenso sociale. In una situazione tanto desertificata, il corpo sociale mette quindi in campo gli anticorpi di difesa che gli rimangono. La rete sociale dei tifosi da stadio, ebbene, si ritrova a essere uno di questi anticorpi.  È logico e inevitabile, quindi, che i disoccupati trovino convergenza con suddetta rete e la borghesia nera e benestante della sinistra, invece, invochi la repressione poliziesca. È logico e inevitabile perché, oggi come sempre, sono i rapporti materiali di classe e non le finte afferenze alle ideologie del XX secolo, a definire scelte e orientamenti di ciascuno.

Il venir meno delle organizzazioni e delle reti sociali della sinistra dalle piazze del dissenso sociale, implica però un enorme problema che consta del venir meno della memoria storica della gestione e dell'organizzazione strategica del dissenso. Nel corteo a cui ho partecipato ieri, mancava la banale comprensione di cosa possa rendere utile o meno una manifestazione.  A oggi, l'eventuale utilità di un corteo di protesta può risiedere in uno di queste tre possibili fattori: a) la rilevanza numerica; b) una forma comunicativa particolare e dirompente; c) lo scontro di piazza.

Ieri, nessuno di questi tre fattori era presente e, di conseguenza, tutto il corteo si è risolto in una passeggiata senza utilità. Oggi, intendere la politica come disciplina volta alla trasformazione dell'esistente, implica un ripensamento generale, tanto più che abbiamo assistito, con l'avvento della società del distanziamento, alla sparizione completa di tutte le forme precedenti dell'agire politico.  Dobbiamo cominciare a porci due domande sapendo che la risposta non è dietro l'angolo:

a) che cos'è la politica in una società che rende permanente il distanziamento dei corpi e che si fonda sul controllo tecnologico di ogni singolo aspetto della nuda vita?

b) che cos'è la politica nel momento in cui il distanziamento ha dissolto tutte le forme precedenti di mobilitazione e la maggior parte della società accoglie la sottomissione e il disciplinamento senza reagire?

Riccardo Paccosi

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