I vantaggi del lavoro dematerializzato

2 Febbraio 2021

Image

 Iniziamo subito questo discorso con una spiegazione sulle parole (le parole sono importanti, disse Nanni Moretti, a ragione) e vediamo di capire cosa è la provincia, cosa è un'area metropolitana e cosa è una metropoli/megalopoli. Per area metropolitana noi definiamo tutta quella rete di città più o meno grandi ma intimamente interconnesse per lavoro, servizi, infrastrutture, trasporti, grandi centri commerciali e luoghi di divertimento di massa che gravitano intorno a un perno, ad un centro, ad una "metropoli" appunto -cioè "città madre", in greco antico; a differenza che la città sia più o meno popolata si parla di "megalopoli" ma nel complesso la sostanza non cambia per quanto concerne l'urbanistica. Tutto ciò che è al di fuori di una area metropolitana (a prescindere dalla grandezza dei registri anagrafici) è provincia e provinciale è l'aggettivo che lo definisce. La provincia è quindi per definizione meno abitata, più agricola, rurale, meno interconnessa, meno servita dai trasporti, lontana dai flussi del traffico e delle merci e dagli spazi ancora ben definiti che tendono ad aggregare e ad essere luoghi di un vissuto collettivo e condiviso, anziché "non luoghi". Ovviamente più il perno, il nucleo metropolitano è maggiormente abitato più cambiano i ritmi, gli stili di vita, la mentalità, la frenesia, le tendenze e quant' altro: più ristretto, piccolo e meno servita è la provincia, più la blandezza e la lentezza dei ritmi di vita tendono in generale a mantenersi. Sappiamo tutti che il modo materiale di vivere condiziona la nostra spiritualità e il nostro profondo, da qui la differenza ancora palese -nonostante una spietata globalizzazione livellatrice- tra chi è provinciale e chi è metropolitano. Fine della premessa e veniamo al sodo.

Lo stravolgimento delle nostre esistenze avvenuto negli ultimi 11 mesi ha messo in moto dinamiche ormai non più transitorie ma definitive, le quali sicuramente partiranno con una certa esitazione e lentezza ma che col tempo tenderanno ad accelerare esponenzialmente. Tra questi cambiamenti vi è il fenomeno dello smart working -destinato per i processi tecnologici a diventare normale- il quale sta portando ad un epifenomeno per nulla da sottovalutare: se col lavoro da casa sul pc la funzione della grande città come luogo aggregatore di uffici e aziende perde il suo senso, diventa allora inutile vivere all' interno di un agglomerato in cui, per inciso, i prezzi sono più alti che in provincia. Se io posso lavorare, con un wi-fi, da qualsiasi località del mondo e non devo essere presente fisicamente in ufficio, che senso ha restare a vivere in città ipertrofiche, stressanti, inquinate, alienanti e simili a gabbie umane? Il lavoro dematerializzato rende la grande città del tutto inutile.  Per il momento tutto ciò è  ancora in sordina, come rivoli d' acqua d'un ruscello, ma siccome dai piccoli fatti nascono grandi e gravi cose (effetto farfalla della Teoria del Caos) il fenomeno, nei prossimi anni, potrebbe esplodere: già qui nella mia realtà provinciale del profondo sud rurale e delle marine negli ultimi mesi ho assistito al trasferimento di diverse famiglie settentrionali, con figli compresi,  di persone che lavorano in smart working e che nei blandi ritmi di paese stanno riapprezzando uno stile di vita naturale compromesso e perduto. Vi garantisco che pure il sottoscritto tempo fa venne contattato da una coppia di romani in smart working per l'affitto di una delle mie proprietà. Mi vengono alla mente tutte le iniziative di alcuni piccoli borghi abbandonati che danno incentivi, tipo case da ristrutturare in vendita a prezzi simbolici, per attirare giovani e coppie.  Prima della pandemia questa lodevole iniziativa era frenata dall' handicap economico, con scarsa e nulla offerta lavorativa dei luoghi in questione ma ora, con questa prospettiva, cambia tutto a 360 gradi: un salario fisso senza obbligo di presenza, con una qualità di vita eccellente e costi minori è un incentivo troppo allettante per essere scartato. Ora più che mai è il momento di cavalcare l'onda da parte non tanto dei Comuni (mai attendere la politica...) quanto di associazioni, movimenti culturali e anche semplici cittadini. È solo nel quieto e ritmico spazio della provincia remota che noi potremo riprovare, seppur faticosamente, a cercare di ricostruire il senso di comunità, che è una delle ragioni della vita e uno dei nostri bisogni immateriali di gran lunga superiori ai "bisogni primari" descritti da Abramo Maslow (vedi la diatriba Maslow -Vittorio Frankl sui bisogni dell'uomo negli anni Sessanta).

Chiudo con una osservazione per chi mi legge: avrete notato che negli ultimi articoli sono diventato meno cupo e leggermente più aperto alla speranza. Tutto ciò non deriva da un ottimismo idiota alla "Candide" di Voltaire, ma da un sano realismo e analisi oggettiva ed empirica dei fatti che ci circondano. Per la ragione che da sempre divulgo, cioè che quando un sistema complesso e chiuso viene sottoposto a varianti nasce una entropia che porta, spesse volte, ad una eterogenesi dei fini. Ho la onestà intellettuale di scrivere che alcune cose troppo dure e drastiche scritte a novembre forse non le ripeterei; a mia scusante, il fatto che quando la Storia si scrive in "tempo reale" è difficile coglierne sempre gli eventi complessi in una realtà fluida. Non sarà una eterogenesi dei fini regalata, ci saranno macerie pesanti su cui ricostruire e vi sarà da soffrire, soffrire, soffrire e ancora soffrire, il pecorume dormirà e letargherà a lungo, ma neppure finiremo in quella atmosfera da "Ragnarokk", da "Crepuscolo degli Dei" di wagneriana memoria dove "i lupi mangeranno il sole e mangeranno la luna (...), il ponte di Bifrost crollerà (..) e moriranno uomini e dei". Esorto tutti quindi a restare vigili e ben nascosti nel Bosco, pronti a cogliere echi per le valli e sentori esterni. Altro, al momento, non si può ancora fare.

Simone Torresani

 

Commenti
NuovoCerca
Solo gli utenti registrati possono inviare commenti!