Wandervogel

2 Maggio 2021

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Togliamo dal sito" AppenniniWeb" questo bel pezzo di G.Diamanti, riportato anche da altri blog e rassegne stampa: https://www.ariannaeditrice.it/articoli/sul-naturale-desiderio-di-camminare-verso-la-primavera. Articoli come questi, che sono condivisibili totalmente in ogni singola parola, non dovrebbero neppur essere commentati: meriterebbero solo delle chiose, delle estensioni ed è quello che noi andremo a fare.

Il "genio radicato nella nostra anima", che per le genti appenniniche e peninsulari si sublimò nei secoli precedenti a Roma antica nelle pratiche delle "primavere sacre", è in realtà connaturato non solo a quelle antiche popolazioni ma come ben sappiamo è parte ontologica dell'essere umano. L'uomo è viaggiatore, è pellegrino, è vagabondo, la stessa civiltà si sviluppa e si rafforza pari passo con la costruzione di strade, l'uomo insomma è sempre in viaggio anche quando in apparenza lo vediamo fermo o stanziale. "Lo chiamano cammino, lo chiamano trekking (..) in realtà è vagabondaggio" spiega molto bene Diamanti. Aggiungiamo noi che negli ultimi cent' anni o poco più il genio del vagabondaggio si accese in un movimento che ebbe un grande influsso nell' Europa specie di area germanica e continentale prima della Grande Guerra: i "Wandervogel", gli "uccelli migratori", fondati verso il 1896 nel liceo del quartiere berlinese di Steglitz e presto dilagato in tutta la Germania. I Wandervogel furono forse la prima grande ribellione di massa alle sirene ingannatrici della Modernità e infatti si svilupparono nella Germania borghese, autoritaria e ingessata di Guglielmo II, un Paese che dopo il 1870 vide una ascesa esponenziale della civiltà industriale e meccanica tanto da raggiungere ben presto e poi sorpassare quella che fu definita "l'officina del mondo", la Gran Bretagna.

Certamente nel 1908 la stessa Gran Bretagna, con sir Baden Powell e i suoi "scout" formò un movimento solo all' apparenza simile a quello germanico, in realtà invece ben diverso. Laddove lo "scoutismo" era inquadrato comunque in un'etica dei doveri del cittadino di uno Stato borghese (seppur nel rapporto con la Natura), il Wandervogel era un Ribelle. "Il Wandervogel" scrisse Guido Knopp "rifuggiva il rumore cittadinesco della civiltà industriale e borghese per ritornare alla campagna, al bosco, alla natura, al comunitarismo intorno a un fuoco, girando per sentieri, boschi, villaggi, risuonando antiche ballate e canti popolari con l'armonica sulle labbra..." (si vedano i capitoli del saggio di Knopp sull' educazione nella Germania prenazista e nazista in "Figli di Hitler"). Nel vagabondare del Wandervogel, continuò Knopp,"si sublimarono tutte le inquietudini di una generazione". Un grande studioso italiano dei Wandervogel, Nicola Cospito, ci dice come in essi albergasse "una diversa metafisica dell'esistenza" in antitesi a quella epoca in cui secondo Thomas Mann e Max Weber si passò la linea rossa tra la "Kultur", intesa come tradizione, cultura, che nell' accezione del Tonnies -uno dei padri della sociologia- è associata a una comunità come organismo vivente, a quella che invece sarà la "Zivilisation", ossia il passaggio a una Modernità ideologica e dove la comunità organica lascia il posto a una società meccanica e riduzionista, a tutto discapito della concezione olistica.

La generazione dei Wandervogel , forgiata tragicamente sui campi della Mosa, di Verdun, di Passchandaele, dello Chemin des Dames, della Linea Siegfried e delle Argonne, nel 1918 -19 ebbe un  tremendo bagno di disillusione che la portò a radicarsi su posizioni sempre più legate al nazionalismo, le sue associazioni ebbero caratteri quasi paramilitari e va detto, purtroppo, che furono loro a inventare il famigerato saluto "Sieg Heil". Nondimeno il Nazismo, da regime totalitario puro quale era, sciolse "uccelli migratori" e "scout". Rinacquero dopo la Seconda Guerra Mondiale, ma l'aura del passato era del tutto spenta.

Veniamo a noi. Se aprile è il mese del risveglio delle camminate, maggio è l'archetipo della Vita, dei colori tenui e multiformi di una gentile primavera. Tempi, civiltà e circostanze possono essere diversi, ma la fiamma del genio sempre guizza: laddove gli Italici fecero le "Primavere Sacre", i tedeschi inquieti di Guglielmo II gli "uccelli migratori", gli attuali appenninici le camminate sui sentieri, chiunque di noi, solo o in compagnia, ha il diritto di muoversi in uno suo vagabondaggio personale, sotto il bel cielo maggiolino. Non siano d' ostacolo la mancanza di una vasta rete associativa come quella dei liceali di Guglielmo II (e le vaste foreste di Germania) oppure la mancanza di una catena montuosa per chi non ha la ventura di vivere in Appennino: per cercare, per vagabondare ,per ritrovare e ritrovarsi, sono sufficienti anche viottoli campestri, boschetti e filari di pioppi costeggiati da canali per chi vive in Valpadana, i dintorni ancora rurali per chi vive in qualche metropoli, le piantagioni campestri di ulivi e i vigneti per pugliesi e siciliani, gli amplissimi  e solitari spazi isolani per i sardi. La scoperta è ovunque: ecco, laggiù quello scorcio che mai si era visto; in fondo, quel santuario piccolo e antico perso nei campi; quella masseria abbandonata, coi muretti a secco; quello scorrere lento e monotono d'un canale ove si riflette il verde delle foglie...ogni angolo porta a meditazioni, riflessioni, echi del passato, rigenerazione nel Tutto... Usciamo dal carcere! Vagabondiamo, per ritrovarci. Lasciamo a chi ancora è fesso e ci crede i discorsi vuoti, tediosi, inutili e oziosi di un fantomatico "Recovery Plan" che non servirà a un cazzo; lasciamo chiusi in casa quei fessi che ancora credono alle carte cromatiche delle Regioni e si appassionano al "toto-colori" (a quando le scommesse nelle agenzie autorizzate?), lasciamo soli quelli che per paura di morire rinunciano a vivere. Viviamo, tonifichiamoci al sole vitale di maggio, facciamo vagabondaggio dentro e fuori da noi stessi.

Simone Torresani

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