La Russia continua a essere Europa

18 Luglio 2022

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La guerra in Ucraina e le sanzioni occidentali avrebbero spinto la Russia verso l’Asia, separandola politicamente dall’Europa. Questa convinzione diffusa è discutibile.

Dietro le guerre e in generale dietro la politica degli Stati ci sono motivazioni ideologiche che in gran parte sono pretesti per veicolare politiche di potenza, ma l’ideologia ha pure una sua consistenza che deve essere valutata.

Per restare in Russia, è utile riandare allo scontro di un secolo fa tra Stalin e Trotzky. In parte fu una lotta feroce fra due capi che ambivano al potere supremo, ma non si deve ignorare la portata ideologica dello scontro. La visione di Trotzky, più vicina a quella che era stata di Marx, era internazionalista. La sua “rivoluzione ininterrotta” prevedeva che dall’URSS uscisse la scintilla che avrebbe innescato la rivoluzione mondiale. Il socialismo si sarebbe realizzato solo se avesse vinto nei Paesi sviluppati dell’Occidente, Germania, Gran Bretagna, Francia. Solo nel quadro di questa rivoluzione mondiale la Russia avrebbe potuto realizzare il socialismo. Stalin, consapevole che la rivoluzione era fallita in Occidente, contrappose a quello del rivale lo slogan “socialismo in un Paese solo”. In questa ottica, i partiti comunisti del resto del mondo avrebbero dovuto solidarizzare con l’URSS e subordinarsi alla sua politica di potenza.  L’ideale comunista era così piegato alle esigenze di un patriottismo, diventando strumento al servizio dell’Impero russo. Vinse Stalin, tiranno spietato ma più realista e più statista di Trotzky. Utilizzando strumentalmente l’ideale comunista e forte della vittoria sulla Germania, Stalin estese l’Impero russo fino a dimensioni mai toccate sotto gli zar.

Crollata l’URSS per le sue contraddizioni interne, sotto le pressioni economiche, tecnologiche e militari dell’Occidente, e per il tradimento di Gorbaciov ed Eltsin, la nuova Russia di Putin è provvisoriamente spinta a cercare sostegno nella Cina e in generale nel mondo asiatico, ma non ha affatto rinunciato a considerarsi parte dell’Occidente. Non a caso Putin si riferisce spesso al modello rappresentato da Pietro il Grande, lo zar che occidentalizzò la Russia. Né ha rinunciato a utilizzare l’ideologia come strumento di governo e pretesto di proiezione verso l’esterno.

Putin non ha affatto rispolverato l’ideale comunista, come qualcuno immagina vaneggiando. I valori di cui si fa propugnatore sono quelli antichi, in qualche modo “eterni”. Dio, Patria, Famiglia (ben inteso la famiglia formata da un uomo, una donna e i loro figli). Puro conservatorismo. Non a caso Putin è apprezzato da una certa destra occidentale. Il presupposto è che l’Occidente sia precipitato in una decadenza irreversibile. Disorientato, infiacchito, con una gioventù senza ideali, improntato a un cosmopolitismo che apre le frontiere a devastanti invasioni da tutti i continenti; in crisi demografica ma con i media asserviti a poteri sovranazionali che alimentano incessantemente l’orgoglio gay, la delirante ideologia LGBTQ+++ che nega fondamento biologico ai generi, moltiplicandoli; la confusione fra arte e intrattenimento; lo scivolamento dal giusto concetto di uguaglianza di dignità e di diritti fra tutti gli umani alla confusione dei ruoli, per cui i genitori e gli insegnanti diventano amici di figli e alunni; in politica “uno vale uno” per cui la selezione delle élite non funziona più, finendo col premiare i mediocri, gli arrivisti, i telegenici, producendo il personale politico più incapace che il mondo abbia mai conosciuto. In definitiva, una frana di civiltà, una crisi epocale.

Già Mussolini e Hitler si rappresentarono un Occidente spregevole, in putrida decadenza. Fecero un calcolo sbagliato e lo pagarono caro. Putin, non diversamente, vede a Ovest un processo di dissoluzione dalle cui macerie si uscirà solo ripristinando i valori veri, quelli antichi di Dio, Patria e Famiglia. Allora la Russia tornerà a essere un faro, guida di una nuova Europa e non potenza asiatica estranea. Non è detto che il calcolo di Putin sia sbagliato come sbagliato fu quello di Mussolini e Hitler. Oggi la decadenza occidentale è ancora più reale e più evidente. Il dubbio è che anche nel popolo russo la dissoluzione abbia affondato le sue radici e che i valori tradizionali, vitali solo nella mente del Capo e della sua cerchia, siano profondamente intaccati anche in quelle pianure. Resta il fatto che dietro quello che sembra puro avventurismo bellico, c’è nel gruppo dirigente russo una visione strategica a largo respiro.

La guerra non è fra Russia e Ucraina. La guerra è fra Russia e NATO, fra Russia e UE, fra Russia e USA. Per questo si sta combattendo una battaglia decisiva. Se la Russia perdesse, mostrandosi debole, il regime putiniano sarebbe rovesciato, tornerebbero personaggi asserviti come furono Eltsin e Gorbaciov; la Cina, già accerchiata dal mare per la cintura di arcipelaghi controllati dalla flotta americana, sarebbe presa in una morsa anche dal lato continentale, dovendo rinunciare alle sue ambizioni di primato. Se invece collassassero le forze armate ucraine, la NATO subirebbe la seconda umiliazione in un anno, dopo la fuga precipitosa dall’Afghanistan; l’UE finirebbe per dissolversi; gli USA, già in preda a una guerra civile serpeggiante, si ripiegherebbero sui loro problemi.

Ecco perché in Ucraina si sta combattendo una guerra mondiale. Dall’esito di quella guerra uscirà un mondo molto diverso da quello che conosciamo. È in corso un braccio di ferro mortale. O collassa la Russia e con essa il disegno tradizionalista e neoconservatore, o collassa la civiltà occidentale. Putin è convinto che la civiltà occidentale sia in piena dissoluzione. Per questo ha azzardato la guerra mettendo in discussione sé stesso e il suo Paese. La Russia è e si sente parte di una civiltà occidentale che vuole restaurare nel nome dei valori antichi. La questione è tutta interna a ciò che chiamiamo “Occidente”. La Russia non ha voltato le spalle all’Europa.

Luciano Fuschini  

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