Democrazia svuotata
4 gennaio 2009
 

 
La democrazia rappresentativa è in una crisi che alcuni paragonano a quella della fine degli anni Venti. Rispetto ad allora, più che della credibilità del parlamentarismo, si dubita della rappresentabilità del popolo. Cosiddetta governance e ascesa del populismo ci fanno interrogare sul senso di una parola sempre usata con sempre meno rigore: democrazia.
Sono ormai rari gli uomini di sinistra che, come Karl Marx, colgano nella democrazia la trovata della borghesia per disarmare e ammansire il proletariato; e sono ormai rari gli uomini di destra che - come i controrivoluzionari – vedano nella democrazia la “legge del numero” e il “regno degli incompetenti” (ma senza suggerire come sostituirla). Salvo eccezioni, a scontrarsi non sono più fautori e avversari della democrazia, ma fautori che la pensano diversamente.
La democrazia non mira alla verità. E’ solo il regime che pone la legittimità politica nel potere sovrano del popolo. Ciò ne implica uno. In senso politico un popolo si definisce come una comunità di cittadini dotati politicamente delle stesse capacità e legati da una regola comune all’interno di uno spazio pubblico.
Fondata sul popolo, la democrazia è anche il regime che fa partecipare ogni cittadino alla vita pubblica, perché tutti possano occuparsi degli affari comuni. Di più: essa non proclama solo la sovranità del popolo, ma vuol mettere il popolo al potere, permettergli d’esercitarlo. L’homo democraticus non è un individuo, ma un cittadino. La democrazia greca fu subito democrazia di cittadini, cioè democrazia comunitaria, non società d’individui, cioè di singoli. Individualismo e democrazia sono, da questo punto di vista, in origine incompatibili. La democrazia esige uno spazio pubblico di deliberazione e decisione, che è anche d’educazione comunitaria per l’uomo, considerato naturalmente politico e sociale. Quando si dice che la democrazia permette ai più di partecipare agli affari pubblici, va ricordato che, in ogni società, i più includono una maggioranza d’individui delle classi popolari. Una politica davvero democratica va considerata, se non quella che privilegia gli interessi dei più poveri, un “correttivo al potere del denaro” (Costanzo Preve). Ma più la democrazia viene imposta, più viene snaturata, tant’è vero che il “popolo sovrano” per primo se n’allontana. In Francia, l’astensione e il votosanzione sono mezzi per esprimere l’insoddisfazione sul funzionamento della democrazia. Dopo di che, il voto protestatario ha ceduto il posto al voto di disturbo, per bloccare il sistema. Il politologo Dominique Reynié la chiama “dissidenza elettorale”, vasto schieramento di scontenti e delusi. Alle presidenziali francesi del 2002, la dissidenza riuniva già il 51 per cento degli iscritti al voto, contro il 19,4 per cento nel 1974; essa ha raggiunto il 55,8 per cento alle legislative seguenti. Nelle presidenziali del 2007, la partecipazione è molto risalita, poi è crollata ancora. Alla dissidenza elettorale aderiscono soprattutto le classi popolari, dunque inesistenza civica e invisibilità elettorale sono tipiche degli ambienti ai quali la democrazia aveva dato il diritto “sovrano”
di parlare. Sempre in Francia la convergenza al centro dei programmi dei maggiori partiti politici ha avuto per conseguenza ieri l’ascesa del nazionalpopulismo (fenomeno Le Pen), oggi il ritorno d’influenza dell’estrema sinistra antagonista. Mentre in Italia l’estrema sinistra antagonista è finita fuori dal Parlamento .
Ovunque s’assiste - simultaneamente e da anni, ma stavolta a partire dall’alto - allo snaturamento della democrazia, di cui la Nuova Classe politico-mediatica, per salvare i suoi privilegi, intende restringere al massino la portata. Jacques Rancière ha parlato di “nuovo odio della democrazia”, riassumibile così: “La sola democrazia buona è quella che frena la catastrofe della civilità democratica”. Idea dominante: non abusare della democrazia, salvo uscire dallo stato di cose presente.
Si snatura la democrazia facendo dimenticare che essa è una forma di regime politico, prima che una forma di società. Si snatura la democrazia presentando come intrinsecamente democratici tratti di società - come la ricerca d’una crescita illimitata di beni e merci - inerenti invece alla logica dell’economia capitalista: “democratizzare” significherebbe produrre e vendere a ceti sempre più larghi prodotti dal forte valore aggiunto. Si snatura la democrazia favorendo condizioni per il caos istituzionalizzato, reso sacro come solo ordine possibile, come esito di una necessità storica davanti alla quale ognuno, per “realismo” (“Il buon senso delle canaglie”, lo chiamava Bernanos), dovrebbe piegarsi... L’ideale della governance, il modo di rendere non democratica la società democratica senza affrontare la democrazia: senza sopprimerla formalmente, si lavora a un sistema di governo senza popolo. Se del caso, contro.
Praticata ormai a ogni livello, la governance vuol dire subordinare la politica all’economia, grazie alla “società civile” trasformata in puro mercato. Per dirla con Guy Hermet, essa sembra “il modo d’arginare la sovranità popolare”. Privata di contenuto, la democrazia diviene democrazia di mercato, spoliticizzata, neutralizzata, affidata agli esperti, sottratta ai cittadini. La governance aspira a una società mondiale unica, votata all’eternità – perché anche la temporalità viene reificata. Spoliticizzare, neutralizzare la politica, significa che le poste in gioco sarebbero in luoghi che non sono luoghi, eliminando ogni ostacolo al l’ambizione di non aver limiti della forma-capitale. Per Jean Baudrillard, “la grande trovata del capitale è aver reso tutto feudo dell’economia”, subordinando al capitalismo liberale tutta la società.
Questa non è una nuova teoria cospirazionista sui “padroni del mondo”. La governance è solo conseguenza di un’evoluzione sistemica delle società che è in corso da decenni. Criticare la governance non significa considerare il popolo come se, “buono per natura”, venisse poi alienato e corrotto dai cattivi. Il popolo non è senza difetti. Con Machiavelli e Spinoza si può però pensare che fondamentalmente i difetti del volgare non si distinguano da quelli dei principi – e nella storia sono state soprattutto le élite a tradire. Come scrisse Simone Weil, “il vero spirito del 1789 non è pensare che una cosa sia giusta perche voluta dal popolo, ma pensare che talora la volontà del popolo, più che un’altra, sia conforme al giusto”.
Della Repubblica di Weimar si diceva che fosse una democrazia senza democratici. Oggi siamo in società oligarchiche, senza democrazia, dove tutti si dicono democratici.

Alain De Benoist

da www.alaindebenoist.com

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Jung Zorndike (Registered) 05-01-2009 18:31

Le ombre della fine, se mai vi è stato un inizio, delle Democrazie sono oramai stagliate all'orizzonte: le cause sono molteplici e anche se non è possibile riassumerle in un tratto, quanto da lei detto sintetizza con straordinaria efficacia molte delle dinamiche che le regolano. Forse, questo è un mio personale parere, il regime democratico è sempre coinciso, in misura chiaramente variabile con le circostanze è con i tempi, con un %u201CGoverno dei Custodi%u201D. Ciò che differenzia l'odierno con il passato è che questa modalità di governo, chiamiamola pure %u201Cgovernance%u201D, è diventata più esplicita, non si nasconde, non cerca di dissimulare ciò che è, la sua volgarità, e gli obiettivi nefasti che si pone. Ma il tratto davvero caratteristico, il più preoccupante, ciò che non ha riscontri con il passato, sono le sue dimensioni: totalizzanti, globali. Globali, non a caso, essendo il %u201CGoverno dei Custodi%u201D principalmente orientato verso obiettivi dettati dal verbo economico-finanziario. Ed è proprio questo il punto. Questo gigantismo che oramai minaccia pericolosamente il pianeta stesso, la sua integrità, sembra essere invincibile. Invincibile, perché anche se un malessere via via crescente sembra montare tra gli uomini moderni, troppa frammentazione e troppe divisioni affliggono coloro che desiderano cambiare. E si assiste, impotenti, all'avanzare di tutto questo.
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