Contro Israele |
11 gennaio 2009 Sono contro Israele perché è uno Stato nato da un’usurpazione, senza alcun buon diritto che sia stato quello deciso a tavolino da Stati Uniti, Gran Bretagna e i loro alleati all’indomani della Seconda Guerra Mondiale.
Sono contro Israele perché il genocidio da loro subìto dai nazisti non poteva ammettere, come sinistro risarcimento, l’oppressione cinquantennale di un altro popolo, quello palestinese. Sono contro Israele perché ammiro la cultura e la storia degli Ebrei, e non sopporto di vederla infangata dalla politica d’occupazione perpetrata dagli Israeliani in quest’ultimo mezzo secolo. Sono contro Israele perché sto, per istinto e principio, dalla parte del perdente, cioè dei palestinesi. Sono contro Israele perché la Striscia di Gaza è un’enclave dall’autonomia larvata e sotto perenne ricatto, in libertà vigilata e non effettiva, e perché appena gli israeliani chiudono i valichi di confine la vita della popolazione diventa invivibile, Hamas o non Hamas. Sono contro Israele perché i morti dell’una e dell’altra parte sono uguali, ma solo quando i palestinesi avranno un loro Stato non riterrò quelli provocati dai razzi Kassam più morti degli altri. Sono contro Israele perché sto con Hamas, che ha regolarmente vinto le ultime, democratiche elezioni palestinesi e oggi governa com’è suo diritto, godendo di un ampio consenso popolare dovuto alle sue organizzazioni sociali, assistenziali e non solo al presunto “terrorismo”, che tale non è perché combattere per riprendersi la propria terra, da che mondo è mondo, si chiama legittima resistenza. Sono contro Israele perché sono dalla parte di tutti coloro che non intendono piegarsi ai voleri del suo puparo americano, gli Usa. Sono contro Israele perché dopo aver fatto carta straccia di tutte le risoluzioni Onu, essersi arrogata la prerogativa della bomba atomica, aver impunemente schiavizzato un popolo, non può pretendere che noi si creda alla favoletta dell’unica democrazia in Medioriente, povera e indifesa contro i cattivi arabi alle porte. Sono contro Israele perché il conflitto con i palestinesi è fatto artatamente sopravvivere a sé stesso per poter tenere in scacco politico e morale i “fratelli arabi”, alcuni dei quali (Egitto, Giordania) si sono venduti da un pezzo alla munificenza americana. Sono contro Israele perché, semplicemente, faccio il tifo per una libera e indipendente Palestina. Alessio Mannino Il prezzo delle arance nel deserto Devo confessare questa vergogna: sono partigiano, perciò odio chi non parteggia, come diceva Gramsci. Sto con chi a Gaza resiste, punto. Non possiamo non dichiarare chiaramente la nostra posizione, che non cambia a seconda di come soffia il vento. In questi giorni il conformismo ha toccato l’apice, grazie alla moltitudine di commentatori proni alla logica del politically correct. Dichiararsi a favore degli assediati ma non di chi li difende, riconoscere il diritto a rivoler la propria terra ma negare quello di combattere per riprenderla, solidarizzare con Israele, condannare la sua violenza e giustificarne la risposta allo stesso tempo, appellarsi ai palestinesi affinché isolino gli estremisti sorvolando sul fatto che la maggior parte dei palestinesi si riconosce in essi... Gli unici coerenti sono coloro che da sempre urlano all’antisemitismo appena vedono una kefiah, poichè la loro idiozia è immutabile. Ed è bastata qualche bandiera bruciata da pochi individui per far dimenticare, a quelli che hanno sempre una parola inutile per tutto, il motivo delle proteste e poter strumentalizzare i fatti a loro piacere. Blablabla di leghisti sull’invasione dei “terroristi” arabi (anche se a bruciar bandiere spesso erano italiani, non importa...) , sacerdoti che accusano l’intolleranza islamica e chiedono, con cristiana tolleranza s’intende, di vietare altre manifestazioni di confessioni non gradite. In mezzo, una marea di posizioni tutte rigorosamente a metà del fosso (pur di non prenderla, la posizione, ovviamente). Un giornale locale offriva ai lettori una bucolica visione del deserto del Negev: “Quante vite hanno spezzato i razzi di Hamas in quel deserto che Israele ha saputo trasformare in un giardino di agrumi e rose”. Nel ’48 dal Negev, il novello stato israeliano deportò decine, forse centinaia di migliaia degli abitanti originari (che da allora in massima parte è ospite di campi profughi, sicuramente molti proprio nella scatola di sardine chiamata striscia di Gaza) e ne rubò la terra. Forse, anche se allora la frutticoltura non andava forte, la popolazione locale non se ne faceva un dramma e campava comunque facendosi i fatti propri in casa propria, magari era meglio così per tutti, nessuno veniva cacciato e nessuno conviveva con razzi svolazzanti. Ma chi se ne frega, e il panorama migliorato? Ora ci sono le arance, vuoi mettere? Alessandro Marmiroli
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