Disumani
9 febbraio 2009
 
 
Su casi come quello di Luana Englaro, lo confesso, faccio molta fatica ad avere una posizione precisa. Guardo con interesse, e anche un pizzico d’invidia, a tutti coloro che su simili vicende, così come su altre questioni cosiddette etiche, manifestano opinioni estremamente nette, frutto di convinzioni radicali. Io tutte queste certezze non le ho: se sia giusto o meno porre fine alla vita di chi è ridotto ad un vegetale da quasi 20 anni, credo sia un dilemma angoscioso al quale non riesco che dare risposte contraddittorie.
Tuttavia tutta questa vicenda, anche senza entrare nel suo merito più profondo, suggerisce a mio avviso non poche riflessioni e suscita altrettanti timori, per non dire orrori. Più il dibattito sul destino di Eluana Englaro si è acceso, più media, politici, Chiesa, gente comune si sono rincorsi in una discussione senza soste e senza fine, più ho sentito dentro di me crescere un’istintiva insofferenza. E non parlo solo di quella generata dal ripugnante meccanismo mediatico di spettacolarizzare tutto e tutti, ad esempio violando ripetutamente l’intimità e la sofferenza di persone come il padre di Eluana. No, ho sentito subito che c’era dell’altro dietro il mio crescente disagio, che si manifestava uguale a prescindere dal fatto di assistere a interventi favorevoli o contrari alla sentenza che ha decretato il “diritto” di Eluana a morire. Dopo un po’ sono riuscito a focalizzare la fonte del mio malessere interiore: era la netta sensazione di assistere ad uno spettacolo disumano. Non so, lo ripeto, se sia giusto togliere l’alimentazione ad una persona in coma irreversibile da così tanto tempo. Ma avverto come profondamente aberrante che su una simile questione si interroghino e decidano dei giudici piuttosto che dei medici o altri “tecnici” considerati quali novelli sacerdoti detentori delle chiavi di misteri come la Vita e la Morte. Percepisco qualcosa di orrendamente contro natura in tutto ciò, respiro quel clima asettico e inumanamente freddo che deve avvertire un moribondo sul letto di una camera di ospedale tra l’odore di disinfettante e la visione di quei colori verdastri tenui e senz’anima. Nella nostra società ipertecnologizzata e dove tutto è oggetto di delega, il destino dei nostri simili è lasciato ad una cerchia di “esperti” chiamati a pronunciarsi sulla base di cifre, bollettini medici, diagrammi, statistiche. Persino uno dei momenti culminanti dell’esistenza, ovvero la sua fine, è sottratta alla nostra sfera di intimità e fatta rientrare nell’ambito di chi vanta maggiori competenze specifiche, come se la vita e la morte non fossero in fondo anch’essi che fenomeni scientifici da studiare e sezionare alla luce del diritto o della medicina.
Lungi da me esprimere un giudizio sulle scelte del padre di Eluana Englaro: non voglio anch’io far parte del codazzo di tanti importuni suggeritori o censori. Però la sua scelta mi sembra rientrare in questa fiera della disumanità: non parlo della volontà di far morire la figlia, ma della decisione di ricorrere ad un Tribunale perché ciò possa avvenire. Che un gesto di simile portata si debba esprimere attraverso le carte dei legali mi fa rabbrividire. Dov’è l’Uomo in tutto questo?

Andrea Marcon
Commenti
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Pucciarelli (IP:84.223.159.203) 10-02-2009 17:11

Non so cos'avrei fatto se fossi stato nei panni di Beppino Englaro. Non ho neppure certezze riguardo all'irreversibilità della condizione di Eluana o alla sua presunta totale assenza di coscienza e consapevolezza. Mi trovo così stranamente a condividere in larga parte quanto espresso dai tre articoli qui pubblicati, nonostante essi giungano a conclusioni divergenti tra loro nel merito. Però a mio giudizio non è stato dato , almeno nei pezzi di Marcon e De Marco, risalto ad un aspetto- a mio giudizio - cruciale della vicenda : è stato poco evidenziato il fatto che la condizione vegetativa della donna fosse la diretta conseguenza dell'applicazione in campo medico di teconologie più o meno sofisticate. Quarant'anni fa non sarebbe stato possibile il verificarsi di un caso Englaro, senza sondini , materassi con sistemi di protezione anti-decubito, e chissa cos'altro. Credo che anche lo stato vegetativo di Eluana fosse il frutto scellerato della deriva scientista e materialista in atto , e che purtoppo , tra le mura di una moderna clinica , rimanga poco spazio per il sogno e per l'impossibile.
Giovanni Marini (Registered) 11-02-2009 00:00

Concordo con questi interventi. Sia lo stato vegetativo persistente, ma anche lo stato di morte cerebrale sono condizioni cliniche che un tempo erano del tutto sconosciute. Le persone che per sfortuna vengono a trovarsi in queste circostanze un tempo sarebbero morte nel giro di ore o giorni. Sono i casi per così dire di fallimento della medicina. Morire in una rianimazione poi secondo me è tra le cose peggiori soprattutto perchè si muore soli. I parenti non hanno la possibilità né il potere legale di portare via il congiunto quando le cose si avviano ad un irreversibile esito infausto; solo il malato, se in grado di intendere e volere può chiedere di essere dimesso e si capirà che in rianimazione ben pochi sono in grado di intendere e volere, soprattutto se si è, come quasi sempre succede intubati, shockati, sedati, collegati a monitor, perforati da cateteri, ecc. Le visite dei parenti sono poi limitate a pochi minuti al giorno. I medici finiscono così per essere gli unici arbitri di queste vite e se ne devono assumere la responsabilità. La scarsa o nulla comunicazione tra medici e familiari, i frequenti esiti infausti (la mortalità nelle rianimazioni è ovviamente altissima) alimentano poi tutto un contenzioso di rivendicazioni risarcitorie. Per non parlare di coloro che immobili ma coscienti trascorrono prima di essere dimessi 7-15 giorni, un mese o più in ambienti dove non esiste il giorno e la notte, dove c'è in continuazione passaggio di personale, ricoveri, trasporti, urgenze, allarmi, chiacchiere, grida, angoscianti silenzi riempiti dal rumore dei monitors in azione, dove è quasi impossibile esprimere un bisogno, un disagio, una vergogna, dove l'intimità è assente e il proprio corpo passivamente lavato, rivoltato, pulito da feci, bucato, nutrito. Ma accanto a questo non dobbiamo dimenticare la maggior parte di quelli che vengono restituiti guariti (o più o meno guariti) alle loro famiglie e che sarebbero morti senza le rianimazioni. Di fronte alla vicenda di Eluana siamo smarriti, disorientati, non comprendiamo, e se ci schieriamo è solo perchè questa sporca politica è riuscita ancora una volta a condizionarci. Perchè un padre deve arrivare a sopprimere sua figlia? Questa è una cosa enorme. E non possiamo comprendere perchè l'Etica che ha avuto millenni per sviluppare il suo pensiero in una società sostanzialmente statica si trova oggi spiazzata nell'interpretare condizioni del tutto impreviste presentate dal progresso scientifico. Per quella che siamo stati indotti a credere sia la civiltà più evoluta paghiamo un prezzo molto, talvolta troppo elevato per vivere.
h2otonic (Registered) 11-02-2009 21:42

Non sarei riuscito ad attendere tanti anni, non avrei coinvolto estranei,sopratutto se istituzionali, e giunto alla certezza che nulla sarebbe stato come prima, sarei intervenuto personalmente assumendomi il grave compito impostomi dal destino. Forse.
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