Tradizionalismo
di Marco Francesco De Marco
 
14 febbraio 2009
 

 
La conoscenza è il centro di ogni forma di potere. Ogni civiltà della storia, e certamente anche delle epoche preistoriche, si è sempre basata su una organizzazione piramidale che vedeva al proprio vertice uomini dotati di comprensione del mondo manifesto e di quello invisibile. L’ateismo era sconosciuto agli antichi dei cinque continenti, ed il Sacro ordinava ogni momento dell’esistenza. Il contatto personale o collettivo con il sovramondo, il mondo invisibile ma reale, scandiva le stagioni della vita di ogni uomo, dalla nascita alla morte. Nel mondo indoeuropeo delle origini, prima che le migrazioni portassero all’allontanamento dalla patria primordiale, il contatto col divino era centrale ed essenziale allo svolgimento di ogni funzione pubblica e privata. Le lingue delle popolazioni di origina indeuropea conservarono a lungo, e fino ai giorni nostri, il significato di questa unione tra la terra ad il cielo. Rito significa connessione, contatto, unione (latino “ritus”, sanscrito “rtà”). A lungo le popolazioni che presero vie diverse, e si diressero a migliaia di chilometri lontane tra loro, conservarono identità di costumi e di lingua rispetto ad un lontano passato comune, interrotto ormai da diverse migliaia di anni.
Impressiona il conservatorismo degli indoeuropei di ogni latitudine, d'altronde George Dumezil definisce appunto i romani antichi “conservatori” in materia religiosa. Al latino Pater corrisponde il sanscrito Pitar, al latino Ignis (fuoco) corrisponde il sanscrito Agni. Questa invariabilità semantica e linguistica trova corrispondenza anche nei riti e nelle cerimonie. Basti citare il rito dell’equus october, celebrato al Campo di Marte alle Idi di ottobre, dove si sacrificava il cavallo più veloce di tutte le legioni. Questa cerimonia centrale del calendario romano trova identica descrizione nei testi sacri induisti e i sacerdoti maggiori dei due popoli, lontani diecimila chilometri e diecimila anni dalla separazione migratoria, si chiamarono Flamines e Brahamanes conservando l’evidente somiglianza con l’antica definizione di lingua iperborea Bhlagmen. Questi pochi esempi, per sostenere che per gli antichi il segreto della conoscenza, del potere, quale attributo di origine celeste finalizzato a mediare i rapporti tra la dimensione invisibile e quella terrena, era custodito soprattutto nell’invariabilità dei riti, delle parole magiche e rituali, nella perenne identicità delle formule e di quelle che poi furono definite “parole di passo”. A questa idea dell’esistenza avrebbero aderito tutte le popolazioni del cosmo, secondo la teoria della tradizione unica. Le differenze segnavano le diversità espressive ed attitudinali.
Ogni razza o popolo ha una diversa composizione di elementi; ad una maggiore presenza di fuoco corrispondeva la preminenza dell’elemento marziale e guerriero, all’aria una propensione alla meditazione ed alla ascesi, e così via. La perennità, l’immutabilità, la inalterata ed inalterabile identità formale e sostanziale dei riti costituiva per gli antichi la garanzia della sopravvivenza del Kosmos e l’allontanamento del Kaos, da tenere a bada con una rigorosa attenzione liturgica e cerimoniale.
Nei secoli, prima attraverso le religioni rivelate e mosaiche, poi attraverso le filosofie profane, ed infine attraverso le ideologie, il mondo tradizionale lasciò il passo a quello moderno attraverso formule chiamate progresso, evoluzione, emancipazione. Tutti coloro i quali furono costretti ad interrompere le antiche usanze, ed a tagliare i ponti con il mondo invisibile dei Padri, vissero da allora un’esistenza menomata e solo parzialmente risarcita da significati spirituali secolarizzati nelle religioni dominanti, quasi sempre di derivazione e sopravvivenza pagana ed arcaica. Dal tempo dello spegnimento del Fuoco di Vesta a Roma, o dalle conversioni forzate dei Sassoni da parte di Carlo Magno, fino agli ultimi pagani dell’anno mille in Scandinavia, gli uomini d’occidente arrancano e sopravvivono attraverso un’esistenza confusa fatta di deliri ed aneliti disordinati. Ogni forma di progresso, sempre più razionale e fredda, fino a diventare ideologia della tecnica e poi biotecnica, non portando in sé l’ordine del Kosmos è foriera di Kaos, disordine interiore, individuale e collettivo.
Clonazione, traffico di organi, riproduzione artificiale, alterazioni alimentari, avvelenamento dell’ambiente, distruzione di specie animali e vegetali, costruzione di megalopoli con venti milioni di abitanti, disboscamenti feroci, perdita delle tradizioni popolari, uso diffuso di droghe e forme di dipendenza da alcool o farmaci e psicofarmaci, allontanamento da ogni forma di sacralità, sono il naturale compimento di un percorso, che parte dall’approdo delle religioni monoteistiche in Europa. La despiritualizzazione del mondo manifesto, con la concentrazione di ogni significato spirituale soltanto attorno alle figure celesti ed agli eventi storico sacrali che ne caratterizzarono l’avvento, portò allo svuotamento dei significati simbolici e profondi che fino ad allora aveva avuto il mondo naturale, quale rappresentazione panteistica e multiforme di un mondo invisibile. La dimensione religiosa dogmatica e fideistica, sulla quale si attestarono le varie forme di cristianesimo, sopravvisse grazie al substrato arcaico di forme cultuali precedenti, alle quali si diede nuova forma. Basti pensare al solstizio d’Inverno, Natalis Solis Invicti, che diventa il giorno della nascita di Gesù, o i riti Januari trasformati nel miracolo di un santo forse mai esistito.
Non poteva durare a lungo la suggestione dogmatica cristiana, perché la visione fredda di una natura lontana e per certi versi nemica, insieme alla demonìa della conversione religiosa e la percezione delle altre civiltà come inferiori ed in alcuni casi animalesche, portava naturalmente a forme di positivismo e di percezione fredda dell’esistenza che furono i presupposti dell’illuminismo e di ogni altra forma di materialismo. L’unicità storica di questi eventi, così come descritti, sta nel fatto che sono accaduti diversamente da quanto è sempre avvenuto, dove ogni civiltà è sempre stata sostituita da un’altra. Attraverso l’occupazione militare, l’influenza culturale, la migrazione.
Quella che invece vediamo regolare le nostre esistenze, dopo il periodo ibrido costituito dal Medioevo, non è propriamente una civiltà, ma piuttosto una delimitazione spazio temporale volta al controllo delle coscienze, che non ha un obiettivo, una finalità, né per i singoli uomini, né per i popoli e gli Stati. Coloro i quali rappresentano i vertici delle istituzioni politiche, diversamente dal passato, appaiono subalterni e di secondo livello anche a chi non ha elevate cognizioni “dietrologiche”. Quella che domina la scena politica, culturale ed economica dal XVI secolo non è una civiltà, ma un piano di dominio che controlla e struttura la realtà secondo la necessità della maggior affermazione del dominio stesso e non secondo l’obiettivo di benessere e felicità personale e collettivo che le antiche civiltà ponevano al centro del loro intento.
Per questi motivi l’uomo moderno guarda con grande suggestione ad espressioni dell’antichità, seppur mediate dal mezzo tecnico cinematografico e mediatico, e quanto più il contesto è incontaminato e primordiale e portatore di un risguardo critico della modernità, maggiore è il fascino e la suggestione, basti pensare al mondo dei nativi americani o agli ultimi  samurai, molto ben illustrato nell’articolo di Ferdinando Menconi sulla Voce del Ribelle. E’ la commozione per un mondo perduto, non certo per un mondo mai esistito e fantasioso. Che si accompagna tristemente all’idea che non potrà più tornare; idea instillata nelle nostre cellule cerebrali da chi fonda il suo potere sulla nostra perdita di speranza, sulla collocazione della realizzazione compiuta e piena della nostra esistenza nel passato remoto, al fianco di miti e sogni che oggi appaiono, o vengono fatti apparire utopici, infantili, impossibili da realizzare.
Sotto il velo oscuro di questo mondo e delle sue devastazioni, per quanto difficile da immaginare, c’è la vita vera, lo splendore, la normalità. Che attende di essere nuovamente svelata e vissuta. Da Uomini finalmente tornati tali, immuni da controlli psichici ed ipnotici, tornati Signori di se stessi e della propria vita. Il potere con il quale i Signori Oscuri del Sistema riescono a controllare la realtà è fondato esattamente sulle stesse premesse che abbiamo citato per gli antichi indoeuropei. Con la differenza che loro non hanno dimenticato le tecniche evocative che danno agli uomini l’assistenza del mondo invisibile per il dominio terreno. Non sto parlando di una Razza o di un Popolo o di una Nazione. Il discorso della composizione di questo Ente che precede la realizzazione degli eventi, e dopo averli realizzati li domina, e molto più complesso e merita trattazione specifica che affronteremo in futuro.   

Marco Francesco De Marco  
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fosco2007@alice.it
lucianofuschini (IP:87.13.254.6) 15-02-2009 11:22

Il profondo rispetto che nutro per il valore di De Marco, testimoniato anche dallo spessore culturale di questo articolo, non mi esime dall'esprimere il mio dissenso. Il testo è improntato a uno spiritualismo esoterico di ascendenza evoliana non utilizzabile politicamente, se non verso derive pericolose. Torniamo sulla terra. Una giunta comunale delibera contro l'apertura di locali in cui si offrano cibi esotici. Come voterebbe un consigliere comunale simpatizzante di MZ? Come argomenterebbe il suo voto? Disserterebbe sullo schema ternario della cultura indoeuropea individuato da Dumézil? E' chiaro che concepiamo la tradizione in modo diverso. Io ne parlo come di una struttura formale, come tale persistente al di là delle contingenze storiche, fatta di radicamento nel territorio, spirito comunitario, rispetto dei ruoli e delle responsabilità, primato della sfera etica su quella economica; gli aspetti culturali che danno contenuto a questa struttura formale cambiano e risentono degli inevitabili apporti di altre civiltà. De Marco pensa che la Tradizione sia la spiritualità indoeuropea, sempre recuperabile perché resta sottesa alle varie forme culturali, anche alle religioni monoteistiche di impronta semitica. Comunque non temo di essere accusato di irenismo quando dico che bisogna sottolineare ciò che ci unisce. Condividiamo l'antimodernità e i suoi tre pilastri: anticapitalismo, anticolonialismo, antiprogressismo. Su queste negazioni si può costruire in positivo un qualche programma politico.
aragorn (IP:79.15.249.41) 15-02-2009 12:32

La coincidenza della pubblicazione dei nostri due articoli ha tratto in inganno Luciano Fuschini. Io aveva già mandato in redazione questo pezzo e non sapevo che sarebbe apparso il suo sulla questione immigrazione. Peraltro, "Tradizionalismo", doveva uscire nella rubrica approfondimenti. Quando abbiamo letto la nota di Luciano che diceva che l'argomento centrale del suo articolo era la tradizione, ho pensato di cogliere l'occasione e pubblicarlo sul Blog. Alla luce di questa spiegazione appare inutile l'invito a riportarmi sulla Terra ed a parlare di cose pratiche, chiarito che non era una risposta alla questione di Lucca o a qualsiasi altro fatto contingente, e la prendo come una battuta l'ipotesi che volessi rispondere con la teoria della tripartizione di Dumezil ad un provvedimento di una giunta comunale. Fugati i dubbi sulla deriva "irreale" va precisato che questo patrimonio di conoscene ed eredità, che non sono mie personali, ma sono di tutti, sono un patrimonio della civiltà occidentale "vera". Luciano Fuschini dovrebbe riflettere sul fatto che ci scrive in una lingua indoeuropea, che porta un nome indoeuropeo, che vive in una terra abitata da millenni da indoeuropei e che la gran parte delle sue tradizioni di famiglia e della sua gente sono appunto indoeuropee. Questa mia attenzione è coerente con il localismo culturale e politico proposto da MZ. La parola indoeuropeo disturba perchè è stata utilizzata in maniera deviata e propagandistica, ma questo non riguarda me ed i miei studi, nè tantomeno quelli di Eliade, Mommsen, Latte, Dumezil, che ben ci hanno spiegato chi siamo e quali sono le nostre più antiche tradizioni. Io sono sulla Terra, vorrei tranquillizzarvi, e vi assicuro anche che la traduzione dei miei principi in una strategia politica, culturale, militante, è improntata al massimo pragmatismo. Certo però che di questo non fa parte il programma di resa psichica ed esistenziale che è stato preparato per le nostre menti ipnotizzate. Questo realismo che parte dalle posizioni conquistate dalla modernità "nemica", in termini di immigrazione, finto multiculturalismo che diventa monoculturalismo e globalizzazione, che sta facendo estinguere centinaia di lingue, tradizioni, usi, costumi, per me si chiama resa. Accettarle supinamente, solo perchè si sono realizzati e come considerare legittima una violenza solo perchè non si riesce ad impedirla. A meno che non si voglia "progressisticamente" sostenere che questa situazione era il solo destino che il mondo potesse avere. Questa è la vera differenza tra un moderno ed un antimoderno. Il primo pensa che l'"evoluzione" ci ha portati qui. Il secondo crede invece che una involuzione, dal mio punto di vista programmata e perseguita cinicamente, ad esempio secondo lo schema di Della Luna, da secoli conduce l'umanità verso il baratro. Questi punti vanno ben focalizzati, pur nella diversità delle posizioni, e credo che MZ e qusto blog stiano facendo un buon lavoro in questa direzione, portando il livello dell'analisi sempre più in alto.
M.F.D.M.
admin (Super Administrator) 15-02-2009 13:43

Nota di servizio: la pubblicazione di questo, per altro interessantissimo articolo di taglio culturale nella homepage e non nella rubrica Approfondimenti, è stata un'eccezione. Lo dico a chi ne inviasse altri di questo tipo: scrivete al responsabile della rubrica, Massimiliano Viviani (trovate il suo contatto e-email cliccando su "contattaci").
Quanto alla discussione fra De Marco e Fuschini, credo si tratti di vedere la questione da due punti di vista diversi: quello di De Marco rimanda a un'idea elitaria, da avanguardia intellettuale, mentre quella di Fuschini, a cui mi sento più vicino, concepisce la tradizione come cornice e prospettiva di fondo, ma impostandola in termini più politici.
Personalmente, credendo fermamente nell'arbitrarietà di ogni cultura e tradizione, non condivido quanto scritto da De Marco, sia pur apprezzandone il notevole spessore. Perchè non scioglie il nodo decisivo: come mai la Tradizione come la intende lui (e prima di lui Evola e Guenon) a un certo punto ha ceduto il passo alla modernità? "Religioni rivelate e mosaiche, filosofie profane, ideologie": d'accordo, ma da dove saltavano fuori, se non da quelle società e da quelle culture prima così pie e tradizionaliste? La verità è che il passato è maestro di vita e che ogni civiltà premoderna aveva costanti antropologiche a cui è vitale per noi rifarsi per riprenderci la nostra umanità. Ma non è una Tavola divina, come pensa il tradizionalismo. E il motivo è semplice: grazie a Dio - e lo dico io che sono ateo - esiste il libero arbitrio. Esiste il principio di entropia. Esiste il caso, foriero di libertà.
Scusate la dissertazione, alla fine chi scrive è solo un giornalista.
a.m.
max (IP:79.6.100.20) 15-02-2009 15:29

Quando si vuole parlare di Tradizione in senso integrale, come ne parla Marco Francesco, un punto è fondamentale: il riconoscimento di una realtà superiore, ossia la definizione di un mondo divino, che beninteso vada a costituire il centro dell'essere "uomo", sia in senso culturale, sociale ed esistenziale. Qualsiasi altra forma di umanesimo, di "immanentismo", è l'inizio di forme di progresso, ed è, rigorosamente parlando, deviante. Senza il riconoscimento del divino come centro dell'uomo, ruoli, responsabilità, tradizioni, localismo, spirito comunitario, senso della famiglia e quant'altro di bello appartiene alla vita umana a poco a poco si perde e si dissolve in forme di progresso e di caos.
A mio parere, all'interno di una società industriale e meccanizzata la dimensione divina è destinata a scomparire. Marco ha portato altrove l'esempio dei giapponesi come quello di una civiltà industriale e teista. Io credo che questo non è detto valga per tutti i popoli, stesso discorso per l'islam, e comunque non so fino a che punto si possa parlare, anche nei suddetti casi, ancora di Tradizione.
Questo per restare entro la definizione di cosa significhi una "Tradizione".
Precisato questo, può avere ragione Luciano nell'indicare come non realistico un ritorno alla Tradizione. Ma la sua raccomandazione di restare sulla terra può avere dall'altra parte una deriva pericolosa, e va interpretata bene.
Per fare un esempio concreto, tornando al caso esposto da Luciano nell'articolo precedente del kebab, ferma restando ogni contrairetà a ogni tipo di migrazione umana e di globalizzazione, si può anche pensare a come integrare i turchi già presenti nel territorio anche con la loro cucina, ma a questo punto si esce dal modello kebab stile "mc donald's d'oriente".
Integrare turchi e arabi già presenti nel territorio anche in una sorta di meticciato può andare bene, ma significa "rimettere le cose a posto", non significa operare "un arricchimento culturale". Così è stato vissuto anche in passato.
Considerare il meticciato un arricchimento è fuorviante e tipico della modernità. Arricchimento deve essere lo scambio culturale tra i singoli individui in cerca di sapere, non tra masse popolari spostate da bisogni e illusioni.
E' una questione di atteggiamento e di spirito, che però è fondamentale, e non è una sottigliezza secondaria. Questo è lo spirito che deve essere sempre tenuto presente da mz.
max (Super Administrator) 15-02-2009 15:39

ps
che poi da questo reintegro alla normalità, da questa ricostituzione di un ordine col meticciato possano anche nascere delle "forme" ibride interessanti o financo migliori non toglie il fatto che l'integrazione non vada mai ricercata nè di per sè nè per fini utilitaristici (del tipo: la società meticcia sopravvive meglio), non tanto come dice la sinistra per la "paura del diverso" o della contaminazione, o per ricercare forme di purezza senza senso, ma perchè l'ibridismo e l'integrazione delle masse sottendono un atteggiamento esistenziale di caos, a prescindere che si tratti di uomini neri, gialli, bianchi o biondi.
Non si tratta quindi di una questione materiale (difendere culture, cucine, lingue, usi ecc) ma per l'atteggiamento spirituale che vi sta dietro.
admin (Super Administrator) 15-02-2009 16:07

Max, una domanda: cosa intendi quando scrivi "riconoscimento del divino come centro dell'uomo"? Per dire: io riconosco l'esistenza e la necessità del Sacro in natura, ma non credo in Dio o negli Dei come forme di vita intelligenti (in questo senso sono ateo)...
a.m.
max (Super Administrator) 15-02-2009 21:07

Intendo il riconoscimento dell'esistenza di Dio e degli dei (o del piano divino in generale, politeista e/o monoteista, che poi sono la stessa cosa) attorno al quale ruoti tutta l'esistenza umana: sia del singolo, sia della famiglia (nell'antica roma e presso tutti i popoli antichi il pater familias era un vero e proprio sacerdote della casa e fino a poco tempo fa, per es, lo era anche in giappone) sia della società. Il Sacro derivava dalla consapevolezza dell'esistenza di Dio (per gli iniziati, degli dei per il popolo, ma ripeto si tratta di due aspetti della stessa cosa) e della sua trascendenza e immanenza rispetto al mondo (cioè il mondo emana da Dio, che lo trascende -cioè si trova su un piano non sensibile, non razionale, non definibile, e individuabile solo per via interiore, irrazionale e sovrarazionale- ma anche lo ricomprende).
Il sacro (da seco, separo o da sequor, seguo) deriva dalla consapevolezza di questa trascendenza (seco) e della via da seguire per unirsi a Lui (sequor).
L'uomo poteva arrivare al divino o attraverso il rito per via esteriore o attraverso l'ascesi per via interiore, ma si tratta anche qua di due aspetti della stessa cosa (benchè le divergenze di opinione non manchino, in genere comunque l'ascesi viene considerata superiore). Questo in sintesi secondo la Tradizione ( se leggi le upanisad indù, per es, o i veda, ritrovi queste cose, anche se non sempre molto esplicite).
Il concetto di sacro come lo intendi tu mi pare di tipo panteista (ossia del divino nella natura e quindi sullo stesso piano, e in definitiva "sensibile") quindi non prettamente tradizionale. Concezioni di questo tipo probabilmente non mancavano pure nei tempi antichi, ma erano minoritarie rispetto alle grandi civiltà (indoeuropee, ma non solo, per es il taoismo che è di origine cinese, oppure la cultura ebraica, oppure l'egitto antico ecc).
amugnolo (Registered) 15-02-2009 22:36

E' una bellissima discussione quella che si sta svolgendo sul tema della Tradizione, e che mi piace immaginare andrà avanti arricchendosi di partecipanti e di spunti.
E' stata molto bene impostata da Marco. In modo preciso, asciutto ed essenziale, ed arricchita dal contributo di Max che condivido.
Sento di dover dire la mia sulla pretesa deriva di isolamento dal mondo a cui porterebbe l'adesione ad una visione della vita di impostazione tradizionale.
Vedete, è come quando si dice ad un ragazzo o ad un uomo: lascia stare i sogni, le aspirazioni, il mondo è un altra cosa. E' sbagliato: la vita e il mondo è cio che noi ci mettiamo dentro.
Aderire ad una visione del mondo di impostazione tradizionale, non vuol dire riprendere dal museo della storia Roma repubblicana, piuttosto che l'antico Iran e impostare lo stato, oggi, sulle loro abitudini, sul modo di vestire, mangiare ecc.
Per quanto mi riguarda, essere tradizionalista significa cogliere è fare propri quei principi e quei valori a cui si rifacevano gli antichi. Nei vari punti del pianeta, nelle diverse epoche storiche, con di volta in volta migliore o minore aprossimazione a quella Idea del mondo.
Quella visione del mondo, che arrivava agli antichi che noi conosciamo nella storia, da epoche precedenti alla storia stessa, e che soprattutto non nasceva con loro, ma non è neanche morta con loro in quanto nell'essenza, metastorica.
Qualcuno ha detto: nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma per combinazione reciproca. E' Giusto.
admin (Super Administrator) 15-02-2009 22:41

Condivido al 100% le ultime parole di amugnolo. Principi e valori come dignità, libertà e giustizia sono eterni, metastorici appunto. Se tradizionalisti significa riappropriarsi di essi, anch'io non ho alcuna difficoltà a definirmi tale.
a.m.
syn (Registered) 16-02-2009 19:38

http://www.youtube.com/watch?v=PZfwB-hNHyk
belew@hotmail.it
schizoidman (Registered) 18-02-2009 18:02

Sono in sintonia con quanto dice Marco e Max pur con piccole varianti. Vorrei però rispondere ad Alessio riguardo al perchè della "fine della Tradizione".
Io a differenza di Marco e Max sono vicino per certi aspetti anche a Spengler (oltre che ad autori non riconducibili al tradizionalismo e anche considerati "di sinistra", non mi considero infatti né irrazionalista nè razionalista, del resto divisioni arbitrarie e moderne). Spengler, considerava metodologicamente le civiltà come organismi, in questo senso il tramonto di ogni civiltà è perfettamente naturale. Il loro momento più alto quello in cui sono "Culture" poi inizia il loro processo di decadenza ovvero la "Civilizzazione".
Nel nostro caso, a mio avviso, la decadenza occidentale più barbara è iniziata quando gli elementi decadenti già presenti nel nostro medioevo hanno preso il sopravvento, quando è venuto meno il freno tradizionale dell'elemento nordico. Il residuo romano presente nel medioevo era infatti già corrotto dall'ellenizzazione, dal diffondersi delle religioni mosaiche e da sintomi tipici di civilizzazione come la burocratizzazione e gli eserciti mercenari.
Il venire meno dell'elemento nordico, solare, ha fatto esplodere il peggio del Cristianesimo (e non il meglio), dell'ebraismo, specie quello cabalistico, e dell'elemento demoniaco, primitivo e ctonio che è sempre pronto a prendere il sopravvento, come ben sapevano gli Antichi.
L'americanismo attuale, ed in passato il socialismo reale e il nazismo sono gli esiti più deleteri di questa putrescenza e preludono alla caduta totale di cui la crisi economica, le migrazioni di massa, l'accentrarsi di un potere anonimo e liberticida sono appena i primi sintomi. La soluzione a mio avviso è che un elite, capace di tenere presente tutto il problema della modernità in modo globale sia politico che culturale che economico, lavori per creare un soggetto che possa traghettare oltre questi tempi quel che rimane di buono (ormai di materiale molto poco, per lo più di ideale) e debba fare opera di "risveglio" e informazione tra le persone ricettive, rendendole partecipi e soggetti attivi del cambiamento.
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