Quale felicità?
di Giuliano Corà
 
5 marzo 2009
 
 
L’irruzione nella Storia della borghesia e del capitalismo non fu solo una catastrofe sul piano sociale ed economico. Lo fu anche e soprattutto su quello culturale, spirituale ed antropologico, perché questo nuovo sistema pretese fin da subito non solo di riorganizzare il mondo a suo uso e consumo, ma anche di imporgli il suo pensiero unico, in una omologazione feroce e spietata che non conobbe limiti. Per esempio, anche il concetto di felicità – con tutta evidenza uno dei più individuali per definizione – si pretese invece che diventasse anch’esso unico, ed uno dei primi sacerdoti sacrificatori della Dea Ragione, il rivoluzionario Robespierre, giunse a dire che “si devono rendere gli uomini felici anche contro la loro volontà”.
Su queste basi venne dunque scatenata una battaglia feroce contro chiunque non abbracciasse il nuovo Verbo della Modernità. Una battaglia che si combatte furiosamente ancor oggi, e, per fare solo pochi esempi, il genocidio in atto dei popoli indigeni (www.survival.it ) o l’etnocidio e genocidio che la Cina capitalcomunista ha in atto contro il Tibet stanno lì a testimoniarlo. Ma erano dunque davvero così infelici, questi "primitivi", da aver bisogno dell’azione palingenetica e redentrice del Progresso, ovviamente tecnologico? La risposta a questo quesito richiederebbe biblioteche: io, molto modestamente, vi invito a leggere, sul tema, i due brevi estratti che seguono, uno appunto sulla Francia prerivoluzionaria, ed uno sul Tibet feudale, prima della "liberazione" cinese. e Poi ognuno scelga liberamente come e quanto vuol essere "felice".
Così scrive il celebre francesista Giovanni Macchia, nella sua prefazione al libro di Hippolyte Taine, Le origini della Francia contemporanea - L'Antico Regime (Adelphi Edizioni): "Egli [Taine] è il bravo borghese, dalla vita morigerata e un po' triste, per il quale non ha perduto tutto il suo fascino, in un'epoca come la sua, retta sull'utile, la famosa frase di Talleyrand: "Chi non è vissuto prima del 1789 non conosce la dolcezza di vivere". (...) Egli, che quella dolcezza non ha mai conosciuto, allarga il suo discorso al tempo presente. Vuol capire quali sono le cause della nostra tristezza, di noi uomini moderni, sulla cui testa pesa un cielo di piombo. Gli uomini d'oggi - dice - sono abitualmente scontenti, preoccupati, perché non pensano che ad andare avanti. Gli uomini d'allora, non afflitti da alcun lavoro aspro e precoce, da nessuna accanita concorrenza, da nessuna carriera indefinita, con i loro ranghi ben segnati, e le ambizioni limitate e minime le gelosie, non pensavano che a divertirsi. In nessun paese e in nessun secolo, se non forse nella Venezia dell'epoca, un'arte sociale così perfetta aveva reso tanto piacevole la vita".
così, invece, scriveva alla vigilia della devastazione nazimaoista il celeberrimo orientalista Fosco Maraini nel suo “Segreto Tibet” (Corbaccio Edizioni):
"I Tibetani, rispetto agli Europei delle classi meno fortunate delle grandi città, hanno mille ragioni di considerarsi più fortunati e più felici. Non sono forse ricchi, ma non sono neanche poveri; non hanno giornali, radio e cinema, ma hanno i cantastorie, i menestrelli girovaghi, il teatro popolare, e nella stagione buona possono andare in scampagnate lungo i fiumi a bere chang e a cantare fino a tardi nella notte; infine, vivono in una società profondamente stabile, dove le relazioni tra gli individui, fra gli individui e la comunità, tra l'uomo e l'universo sono saldissimi fatti, realtà su cui non si dubita in alcun modo. (...) Devo dire che i Tibetani mi sono parsi un popolo - per quanto si possa esserlo su questa misera terra - veramente felice. La felicità non dipende così necessariamente dalla struttura sociale o dal sistema di governo, come sembrano pensare i nostri contemporanei: è soprattutto una questione di equilibrio fra il mondo che circonda l'uomo e il mondo che egli porta nel cuore. Noi viviamo in un'epoca di squilibri terrificanti e saremmo infelici e miserabili sotto re, presidenti, papi o tribuni; aggregati in repubbliche o imperi, in soviet o in teocrazie. La nostra scienza ci propone un universo, la religione tradizionale ne propone un altro; i progressi della fisica e della chimica sono andati mille anni avanti a quelli delle scienze sociali e all'educazione del volere; l'Europa caput mundi sta vivendo le miserie del nobile decaduto; i canoni del vivere sono in uno stato di continua fluidità; gli ideali delle varie professioni, dei sessi, delle classi, delle età umane (elementi così importanti nelle società in equilibrio) subiscono una continua revisione: tutto muta, diviene, scorre. Nuovi equilibri a noi ignoti stanno forse preparandosi, ma vi troveranno qualche maggior pace generazioni di pronipoti. Siamo fra gli ingranaggi che girano. Qualcuno si salva: i più ne restano schiacciati".

Giuliano Corà
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Giovanni Marini (Registered) 07-03-2009 11:39

Visto che l'Antico Regime viene qui mitizzato vorrei ricordare al signor Corà che il colonialismo ebbe origine intorno al 1500 e non con l'avvento della borghesia. Occorre ricordare la distruzione di civiltà come quella Inca e Azteca a opera dei conquistadores in cerca di oro? Occorre ricordare l'evangelizzazione forzata degli indigeni? La schiavitù dei popoli dell'Africa? Forse non tutti sanno che trafficanti di schiavi europei avevano costituito in Africa enclaves extraterritoriali in cui amministravano con pieni poteri una comunità in cui si praticavano sacrifici umani (di neri ovviamente) (Africa di J. Reader, Mondadori). Succedeva ai tempi dell' Ancien Regime. Ma che senso avrebbe un discorso del genere? Si possono forse confrontare i crimini di un'epoca con quelli di un'altra? Dare un giudizio morale su una singola persona è già arduo, darlo su un'intera epoca storica è insensato.
Le cito il suo stesso scritto: i canoni del vivere sono in uno stato di continua fluidità; gli ideali delle varie professioni, dei sessi, delle classi, delle età umane (elementi così importanti nelle società in equilibrio) subiscono una continua revisione: tutto muta.
Ecco, se tenessimo presente questo, eviteremmo di guardare al passato come un Eden perduto (che peraltro non fu) e ci concentreremmo sui problemi del presente. Quanto alla felicità Lei giustamente afferma che è un concetto individuale per definizione quindi se è possibile essere felici in Tibet è anche possibile essere felici nel mondo moderno... Fin qui la critica, quello che apprezzo del suo testo è invece il messaggio che vi colgo e cioè che l'equazione benessere materiale uguale felicità è totalmente fasulla. I media enfatizzano il possesso perchè funzionale alla produzione mentre sottovalutano il degrado ambientale e sociale che un sistema orientato unicamente alla produzione e al profitto provoca.
belew@hotmail.it
schizoidman (Registered) 07-03-2009 16:22

Non per fare il maestrino (cosa che odio fare), ma le consiglio di leggersi La Ragione aveva torto? di Massimo Fini per capire in che accezzione noi di MZ usiamo il termine "Ancian regime"...non di certo per leggittimare i conquistadores...
Giovanni Marini (Registered) 07-03-2009 16:35

l'ho letto schizoidman, conosco le vostre posizioni e so bene che non leggittimate i conquistadores.
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