10 marzo 2009
Risposta a Gambescia di Marco Francesco De Marco Sono debitore di una risposta ai cinque punti di critica del nostro Appello contro la Dittatura Bancaria scritti da Carlo Gambescia, che ringrazio per averci dato una occasione di confronto. Trascuro, in primis per una questione di spazio, le sue successive considerazioni, in particolare quelle in ordine ad una presunta necessità di carattere sociologico che vorrebbe si immaginassero con precisione le conseguenze di un così radicale cambio di assetto economico. Ho già spiegato che Movimento Zero ha già illustrato quale sia il proprio pensiero relativamente alla critica ed al superamento della modernità. Questo Appello costituisce parte di una più vasta idea di intervento sulla società moderna, il modello occidentale, ben riassunto nel nostro Manifesto dell’Antimodernità. Mi riservo di concludere questo ciclo di interventi, per esprimermi sull’aspetto prettamente ideale, che è l’ispiratore di questa iniziativa, ma anche su quello militante e propagandistico. Nel frattempo vorrei invitare tutti i nostri iscritti e simpatizzanti a replicare alle prossime analisi di Gambescia e di chiunque altro interverrà con la formale correttezza ed educazione, l’asciuttezza e l’essenzialità, che si devono ad un ospite, indipendentemente dalla condivisione delle sue analisi. Concludo con un freddo ma confortante dato statistico: nei cinque giorni successivi alla pubblicazione dell’Appello abbiamo raddoppiato i contatti del nostro sito, del blog e delle pagine visitate, evidentemente da persone che non ci avevano mai letto prima.
(Gambescia) In primo luogo, ritenere che la nazionalizzazione - perché di questo si tratta - delle Banche Centrali possa risolvere la questione della “dittatura bancaria e tecnofinanziaria” è semplicistico. Dal momento che affidare direttamente allo Stato l’emissione del denaro significa semplicemente passare dalla dittatura dell’Economico a quella del Politico, nella sua veste peggiore, anche rispetto a un passato, per quanto idealizzato: quella presente, dello Stato Partitocratico e Burocratico. (De Marco) L’aspetto più importante del passaggio da Privato a Pubblico, nella modalità ipotizzata, cioè da BCE a Stati Nazionali, magari associati (Unione Europea), che lo si condivida o meno, consisterebbe nel poter creare danaro, in misura eguale o se necessario in misura maggiore o minore, senza creare debito per lo Stato. Sottoporre le casse dello Stato alla modalità non onerosa per la disponibilità di danaro fisico e virtuale, con il vantaggio di non creare Debito Pubblico, non mi pare una differenza da nulla. Inoltre teorizzare la superiore coscienza dei banchieri rispetto ai politici, appare esercizio pericoloso e portatore di legittimità per ogni forma di oligarchia invisibile, non riconosciuta da nessuno e non legittima nel suo ruolo di detentrice di una parte della Sovranità Popolare rappresentata dalla Sovranità Monetaria. Le aristocrazie del passato esercitavano il loro ruolo in nome di doveri che il resto della popolazione pretendeva o comunque si aspettava che essi esercitassero, a partire dalla difesa militare del territorio e dell’impegno bellico, da sostenersi spesso a centinaia di chilometri da casa e per lungo tempo. Le attuali classi politiche rispetto ai banchieri almeno vengono elette, anche se a parere dello scrivente la cosiddetta democrazia rappresentativa ed il suffragio universale nazionale e contemporaneo non rappresentano la migliore forma di governo della cosa pubblica. In secondo luogo, criticare l’ elevata tassazione e correlarla all’”usurocrazia” senza tenere conto della massiccia evasione fiscale, mai contrastata e recuperata – proprio da quei politici e da quelle burocrazie cui si vuole affidare il controllo dell’emissione di denaro - è estremamente ingenuo. Senza signoraggio non esisterebbe l’evasione fiscale. Tenendo conto dell’attuale fabbisogno dello Stato, non sarebbero necessarie le tasse sui redditi per pareggiare i conti. Basterebbe l’IVA ed altre forme di moderata tassazione, comunque svincolata dai redditi e generata da compravendite o da servizi utilizzati. Parlare genericamente di evasione fiscale è comunque fuorviante. Si potrebbero indicare ad esempio i più grandi evasori italiani, cioè le Banche. La sola Banca di Roma, nel 2004, con il solito giochetto della iscrizione in passivo di cifre che andrebbero appostate in attivo, ha evitato di pagare tasse su 100 miliardi di attivo, sufficienti, da soli e trascurando l’evasione delle altre Banche, a garantire un assegno a tutti i disoccupati e tutti i disagiati, a costruire case popolari, a pagare pensioni più dignitose, ed a risolvere ogni altra emergenza sociale legata alla mancanza di denaro dello Stato. A meno che non ci si riferisca alla evasione fiscale da scontrino non battuto, ad opera degli ormai impoveriti ed agonizzanti commercianti e piccoli imprenditori italiani, destinati a sparire in pochi anni di fronte agli ipermercati ed ai prodotti cinesi. Ma non siamo qui per delle comiche. Consiglio al proposito la lettura dello scritto di Marco Della Luna, che appare sul suo sito, dal titolo: “Evasione dall’idiozia”. In terzo luogo, l’ “angoscia da rata” e l’ “assillo del lavoro” non possono essere collegate, altrettanto ingenuamente, all’usurocrazia. Vanno invece ricondotte a un preciso modello socioculturale consumistico, dove il denaro è un puro e semplice veicolo. Pertanto se prima non cambia la mentalità - che non può mutare a colpi di ukaze intellettuali per quanto nobili e sinceri - la sostituzione del Banchiere con il Burocrate Pubblico è assolutamente inutile. La sostituzione del Banchiere con lo Stato, dopo aver sistemato il problema Debito Pubblico sin qui maturato con la truffa esposta nell’Appello, porterebbe coloro che guadagnano 3000 euro lordi a poterli tenere per sé, invece di pagarne 1500 di tasse. Scegliendo liberamente quante tasse pagare attraverso dei consumi più o meno moderati, ai quali sarebbe vincolata la modalità generante la maggior parte delle entrate, cioè l’IVA. Se si considera che oggi esistono milioni di famiglie monoreddito con 1500 euro al mese di entrate, contemporaneamente a 600 euro di rata del mutuo, forse “l’angoscia da rata” non apparrà come un ingenuo abbinamento all’azione dell’usurocrazia. Non a caso Ezra Pound scriveva: ”Dove c’è usura, non c’è casa”. Lo tsunami di pignoramenti, sfratti, protesti, fallimenti, chiusure, licenziamenti, impoverimento generale, che si sta per abbattere su di noi, imporrebbe un maggiore senso della realtà, piuttosto che attardarsi in improbabili analisi del “dopo”, facili solo per pochi privilegiati. Questa non è decrescita, questa è crescita negativa ovvero recessione, disperazione sociale ed individuale, tragedia familiare e comunitaria, demonetizzazione al servizio dell’usura e dell’esproprio. In quarto luogo, richiamare l'attenzione sulla voracità del sistema è giusto. Ma la discussione critica andrebbe estesa anche all’implacabile logica capitalistica del profitto per il profitto. Logica che anima il sistema economico mondiale. Sistema che molto probabilmente rischierebbe di continuare a “funzionare” come tale, anche se ” il Popolo (attraverso lo Stato)”, come auspica l'Appello, tornasse “titolare della Sovranità Monetaria”. Il Capitalismo non nasce industriale, ma finanziario. Ce lo spiega Marx, ce lo dice la Storia. I Banchi iniziano a crearsi alla fine del 1400 (Monte dei Paschi, Banco di Napoli). La demonìa finanziaria, la ricerca spasmodica dell’oro, del guadagno, la mercificazione dell’esistenza, sono precedenti ai processi industriali e di manifattura in serie. Il capitalismo inteso come economia basata sul danaro e sulla produzione, di per sé non è portatrice del concetto di usura, che ha altra origine e ben altra antichità. L’usura quale forma di controllo delle masse, il principio usurocratico quale regolatore delle esistenze degli uomini e del funzionamento degli Stati è precedente in termini di tempo e si pone su un piano più alto, definibile “di principio, rispetto del Capitalismo, che ne è una conseguenza. Il Signoraggio è il trionfo del meccanismo usurocratico, è la sua sublimazione, in particolare per le sue caratteristiche di invisibilità e di difficile percezione e comprensione. Si pone al vertice delle tecniche ingannevoli ed espropriatici delle libertà individuali e di massa, come nessuna civiltà industriale, per quanto materialista, consumista e decadente potrebbe di per sé essere. E’ comunque facile immaginare che, senza le spinte finanziarie, senza l’evoluzione e la sofisticazione del concetto di moneta, ispirate dal principio del possesso di danaro quale mezzo per il controllo delle coscienze, non sarebbe esistito il Capitalismo così come lo conosciamo. E di conseguenza probabilmente ci saremmo risparmiati il Marxismo ed i Totalitarismi di segno socialista: Comunismo, Fascismo, Nazionalsocialismo, Peronismo, e quelli di segno conservatore: Franchismo e sottoprodotti sudamericani. Ed anche in questa analisi ci soccorre la Storia, anche se il discorso si farebbe lungo. Leggere al proposito gli scritti del sociologo tedesco Werner Sombart. E qui, in quinto luogo, è inutile sottolineare, alla luce degli scritti e purtroppo anche degli errori di Carl Schmitt, quanto siano pericolose le identificazioni tra “Stato” , "Popolo”, e dispiace dirlo, come in questo caso, Movimento (Zero)... Fermo restando il rischio minore (si fa per dire) di cumulare tutti i peggiori difetti del "burocratismo" statalista e del "profittismo" mercatista, nell'evenienza più che probabile di un predominio, anche dopo l'azzeramento del signoraggio, delle logiche capitalista e statalista (seppure ammantata, quest'ultima, di "popolarismo"). Stato e Popolo si identificano non solo nel pensiero di Carl Schmitt, ma anche nei Veda, nel Mito di Roma, nel ghibellinismo medievale, e vengono evocati simbioticamente da noi per proporre una linea di ripristino, di ritorno al normale, non per “cumulare tutti i peggiori difetti del "burocratismo" statalista e del "profittismo" mercatista”. Quelli che noi conosciamo attualmente non sono Stati degni di questo nome, ed i suoi cittadini, va detto, non sono quello che ci si aspetterebbe dall’appellativo Popolo, già presente sulle insegne di Roma.
Marco Francesco De Marco
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