I rischi del "legalitarismo"

29 giugno 2009

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Da diversi anni in Italia si sente molto spesso denunciare i misfatti di chi -politico o rappresentante delle istituzioni- infrange le leggi e non tiene un comportamento politico dignitoso. Da qui, una sempre maggiore insistenza da parte di certe persone per l'adozione di una "cultura della legalità" per scongiurare il rischio dell'emergere prepotente della corruzione o peggio ancora del crimine organizzato. A prima vista una tale denuncia non è criticabile: un comportamento probo e corretto si adatta ad ogni orientamento ed ideologia, ed anche noi -in linea di principio- non abbiamo nulla da dire su chi porta a galla certi comportamenti che richiedono solo una condanna totale e senza appello.
Ma nel caso delle tendenze emerse negli ultimi anni le cose stanno un po' diversamente. Innanzitutto le parole tradiscono le intenzioni. Il termine "cultura della legalità" tanto per cominciare è estremamente ambiguo. Entrambe le parole -"cultura" e "legalità"- sono pericolose in questo contesto. Innanzitutto non sarebbe da menzionare la legalità, e neppure la correttezza -che suona formale ma superficiale- quanto semmai l'onestà e l'integrità. Queste parole invece, inspiegabilmente non vengono mai menzionate dai cavalieri della legalità, della democrazia e della libertà.
Legalità significa obbedire alla legge. Ma obbedire alla legge non significa necessariamente essere onesto, probo o integro. Si può seguire la legge ed essere dei criminali. Le leggi spesso sono lì per questo, per costituire l'autostrada a chi vuole delinquere in tutta sicurezza. I politici sono molto spesso laureati in Legge e quindi conoscono la materia molto bene.
Seguire la legge è un fatto empirico. E' il punto di partenza, non il punto di arrivo. Lo si deve fare tutti per vivere, spesso solo perchè non si ha altra scelta. La cosa dovrebbe finire lì. E invece quando la legalità addirittura si richiede diventi una "cultura", un comportamento quasi sacrale, che ispira reverenza e timore, allora o c'è puzza di bruciato o c'è odore di imbecillità. Perchè è troppo evidente che il legalitario, chi si appoggia alle leggi non solo per vivere ma per moralizzare, per condannare e per reprimere, spesso ha la coscienza sporca.
La legalità la si fa rispettare dall'esterno, non dall'interno: la coscienza umana deve rispondere a ben altre leggi che non a quelle della semplice condiscendenza verso i legislatori! O forse c'è qualcuno che avrebbe tutto l'interesse a fare diventare gli uomini dei perfetti legalitari, ossia degli obbedienti, dei passivi. E' evidente che l'uomo onesto e integro darebbe molto più fastidio del passivo e sorridente legalitario che se lo fa mettere in quel posto consenziente, con tanto di ringraziamento. Perchè l'uomo integro, consapevolmente tale, si può ribellare al potere. Il legalitario no.
Spesso la legalità viene addirittura confusa con il concetto di "giustizia". Ma mentre la giustizia appartiene a una dimensione che prescinde dal mero rispetto della legge per elevarsi a una visione etica dell'uomo in rapporto alla società -dal concetto di giustizia deriva la giurisprudenza, che è la base ideale o ideologica approntata dai giuristi, da cui scaturiscono le leggi- la legalità riguarda l'esecuzione e il rispetto della legge: rappresenta quindi la fase finale, l'atto non ideale ma pratico. Come per l'onestà, è significativo osservare come il termine "giustizia" oggi sia stato dimenticato: la giustizia, come l'onestà, è un concetto elevato e -soprattutto- che può essere interpretato da diversi punti di vista. In effetti, uomini educati a un concetto di giustizia potrebbero anche dare fastidio, invece educati alla legalità no. Diventano docili come pecore.
Questa tanto osannata "cultura della legalità" molti intellettuali conformisti e falsi contro-informatori vorrebbero insegnarla persino a scuola, inculcandola nelle menti fresche dei bambini perchè da adulti possano diventare dei perfetti consumatori ed elettori globalizzati con tanto di certificazione a norma dell'unione europea. Perchè i legalitari sono quelli che se non metti la cintura di sicurezza alla guida della tua auto per la tua personale sicurezza, ti tacciano di inciviltà. Se invece rispetti le regole, ma sei un rischio per la vita di altre persone (per continuare l'esempio, chi compie sorpassi azzardati entro i limiti di velocità, rischiando di fare una strage) sei a posto. L'etica e l'integrità sono ben altra cosa, ma queste si guardano bene dall'insegnarle.
Ma c'è un altro aspetto della moda legalitaria che sta impazzando nel Belpaese da Tangentopoli in poi. E' quello di utilizzare la correttezza formale verso la legge o una facile morale come schermo, come paravento per nefandezze ben peggiori, al cui confronto il pagamento di una tangente è un furto di caramelle.
La legalità è spesso il modo per screditare gli avversari. Lo sanno bene i media americani che per una storia di corna fanno cadere un Presidente scomodo. Per questo quando magnati della finanza e dell'informazione d'oltreoceano, tramite i loro giornali, fanno la morale alla politica di una nazione europea per quattro tangenti (come l'Italia per esempio), c'è da drizzare le antenne. Il sistema mediatico americano protegge e nasconde ben altro.
Il Fondo Monetario Internazionale per esempio ha fatto fallire l'Argentina, ha portato sull'orlo del tracollo il Messico, il Brasile, la Russia, la Malaysia ecc, è coinvolto nella rovina di milioni di famiglie, nella povertà mondiale e nella fame, è implicato pesantemente nella crisi economica globale, eppure questo non costituisce scandalo per nessun giornale. E -cosa assai più grave- neppure per molti sostenitori della legalità. Se invece una carica istituzionale è implicata in affari di piccole tangenti sì.
E' quindi chiaro che il presupposto affinchè un discorso sul rispetto della legge sia accettabile, è che sia inquadrato dentro valori tali da portare ad affrontare temi ben più ampi e scomodi della legalità e della corruzione. Ma se una persona riduce la sua critica al mero rispetto della legge e alle tangenti, allora questo è ciò che vuole veramente il Sistema e i suoi aguzzini per trionfare. Tale specie di legalitari sono i veri difensori del Sistema.

Massimiliano Viviani

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aragorn (IP:79.15.249.41) 29-06-2009 14:44

Ottimo pezzo. La distinzione tra Giustizia e legalità o, peggio, legalitarismo, è molto importante. Questo spirito piccolo borghese del rispetto delle regole, le piccole regole, gli obblighi, quale rimedio assoluto di tutti i mali, è diventato veramente insopportabile. Secondo questo principio dovremmo pagare tutti il canone della RAI, le tasse, i bolli, i balzelli. Brave pecore "che rispettano la legge", tutti in fila alla posta con il numero in mano, a versare il proprio sangue su bollettini postali del Sistema e della sua usura spettrale dai mille rivoli. Io non riconosco le leggi di origine usurocratica che mi impongono espropri "legalizzati". Oggi la vera Giustizia sta nel diffodere la cultura della distruzione, della disobbedienza, del rifiuto del Sistema e dei suoi mezzi di costrizione di massa, fino ad una ribellione fisica di massa, cruenta ed inarrestabile. Nessuno Stato, nessuna legge oggi può essere considerata legittima, finche il mondo sarà governato da ONU, FMI, WTO, NATO e Banche Centrali e da chi sta dietro queste facciate "democratiche". Bisogna diffondere la consapevolezza che il Sistema basato sulla vita-debito, vita-spesa, vita-consumo, si afferma appunto con regole formali, legali si direbbe, che i sacerdoti del legalitarismo vorrebbero che tutti rispettassero, invece di combatterle e sovvertirle. Chiarire questi punti significa stabilire dove ci troviamo noi e dove gli altri.
M.F.D.M.
Fabio Mazza (Registered) 29-06-2009 16:03

Ottimo articolo Max.
Condivido l'impostazione. Legalità è una cosa giustizia e integrità un'altra.
Credo comunque che alcuni dei personaggi che parlano spesso di legalità intendano in primis proprio integrità e sopratutto rispetto di un'etica pubblica. La si chiama spesso legalità perchè è diventata quasi una parola tormentone..e tu sai bene che il tripudio mass mediatico "crea" parole e modi di dire (tangentopoli-vallettopoli-calciopoli) ecc.
Credo che tu abbia ragione. Se per legalità si deve intendere l'obbedienza pedissequa a regole e l'abbassare la testa al conformismo..meglio l'illegalità!
Ma io credo che molti che hanno fatto della "legalità" (passami la parolaccia) una battaglia..e alcuni mi onoro di conoscerli, credano in un superiore concetto di giustizia, di equità, di decenza pubblica, che mancano totalmente dalle istituzioni, che noi contestiamo.
stediludo (Registered) 29-06-2009 16:08

In effetti, riprendendo le considerazioni di "aragorn", tra cultura ribelle e cultura della legalità c'è poco in comune: paradossalmente, uno spirito ribelle dovrebbe sentirsi più vicino a un eversore che a un leguleio. Infatti i legulei contribuiscono a far funzionare meglio il sistema, mentre gli eversori a contribuscono a farlo marcire e quindi, indirettamente, spianano la strada alla rivoluzione. La cultura della legalità è quindi vicina alla cultura riformista, ma non certo a quella rivoluzionaria. Del resto, storicamente, è noto che tutti i movimenti rivoluzionari, i movimenti che volevano sovvertire il sistema, hanno sempre nutrito una certa simpatia per i gruppi criminali, altro che cultori della legalità! Simpatia quanto meno a livello tattico: ovvero cercare di convogliare la carica eversiva dei gruppi criminali verso obiettivi nobili e politici. Insomma, come diceva quel grande ribelle di Ernst Junger, alla fine "meglio delinquenti che borghesi!"...
Fabio Mazza (Registered) 29-06-2009 16:18

si infatti hai visto che bei risultati hanno prodotto le rivoluzioni?in specie quella francese?
Io non concepisco questa cultura da centro sociale contro il fantomatico sistema, che tra l'altro non è un tutto unitario ma si scompone in più parti (produttivo, giuridico, sociale ecc.)
Avete mai riflettuto sul fatto che non ci definiamo rivoluzionari, ma ribelli?
Chiedetevi perchè.
Io prima di spianare la strada ad una "rivoluzione" voglio sapere cosi si prospetta dopo di essa: difatti come dice Fini molte volte la cura è peggio del male..quindi secondo voi un avvocato è un criminale, un giudice è un criminale ecc. Non è che occorre vedere come fa il suo mestiere?Se in modo conformista o in modo "ribelle", cioè cercando di portare i suoi principi all'interno di quel sistema che vuole combattere?
fosco2007@alice.it
lucianofuschini (Registered) 29-06-2009 16:38

De Maistre, bollato con l'orribile epiteto di reazionario perché vide con estrema lucidità tutte le storture dell'illuminismo, distingueva fra regolamenti e leggi. I primi sono quelli scritti, codificati, iscrivibili in quella che Viviani nella sua profonda riflessione ricorda come cultura della legalità, le seconde sono non scritte, sono quelle che si incidono nelle coscienze, quelle che si esprimono con parole antiche come onestà e integrità, parole di cui giustamente Viviani lamenta il disuso. Questa interiorizzazione della vera legge, che è poi la moralità autentica, è ciò che conta. Il che non giustifica il mancato rispetto dei regolamenti, con un atteggiamento anarcoide più che profondamente ribelle.
Fabio Mazza (Registered) 29-06-2009 16:43

Come al solito Luciano riesce ad esprimere con parole alte, ciò che la mia irruenza giovanile, a volte mi impedisce di esprimere..
E per tutti: il ribelle vuole vivere secondo le sue leggi, non imporle.
Vuole far capire agli altri che vivono con valori effimeri, non costringerli a seguire i suoi..
stediludo (Registered) 29-06-2009 17:21

x Fabio Mazza. Ho equiparato alla fine i termini "ribelle" e "rivoluzionario" (della cui netta distinzione, da finiano, debenuastiano, jungeriano, insomma "antimoderno" doc sono un accanito sostenitore, tanto per fugare equivoci. Rimando del resto al mio articolo "L'equivoco migliorista")perché in ogni caso, se se ne presenta l'occasione storica anche i ribelli faranno la loro rivoluzione, ovviamente secondo un'ottica e con obiettivi totalmente diversi dalla rivoluzione auspicata dai rivoluzionari. Per capirci, la rivoluzione dei ribelli richiama un po' quella che i ribelli antimoderni della Germania di Weimar (tra cui appunto Junger) chiamavano "rivoluzione conservatrice", ossimoro volutamente coniato appunto per distinguere tale rivoluzione da quella dei rivoluzionari modernisti e progressisti. Chiarito l'equivoco, a questo punto dovrebbe risultare chiaro perché anche i ribelli, come i rivoluzionari, dovrebbero sentirsi più vicini in spirito ai "delinquenti" (sempre per usare la provocatoria terminologia jungeriana) che ai "borghesi". Quindi, per Movimento Zero, alle prossime elezioni invece che l'alleanza con Travaglio propongo di allearci con la mafia:-))
Fabio Mazza (Registered) 29-06-2009 17:32

Mi è piaciuto il tuo articolo.
Anche in questa analisi ti seguo, ma sono convinto che la "rivolta" o "rivoluzione" o "conservazione" sia prima di tutto un fatto mentale.
Occorre che la gente capisca i motivi del suo malessere, che capisca come ci siamo ridotti e si "ribelli" per cambiare le cose. Ma per cambiarle nel loro vissuto quotidiano in primis. Con la riscoperta di una dimensione "territoriale" dell'esistenza, dei valori immanenti che sempre dovrebbero orientare la vita di un uomo, e che in questo articolo venivano citati: onestà e intengrità, tra gli altri.
Per questo mi stava stretta la definizione di "rivoluzione".
Per quanto riguarda la provocazione..il termine borghese è come destra e sinistra..superato..e non più funzionale a descrivere la realtà..
Tereza (Registered) 29-06-2009 17:40

Complimenti per il pezzo.
La cultura della legalità è propria del Cittadino, irretito dalle maglie del Sistema, addomesticato ed anestetizzato nelle sue pulsioni più vitali. Quella della Giustizia appartiene all'Uomo. Noto una certa inquietante tendenza, ultimamente, a voler far coincidere le due cose.
max (Super Administrator) 29-06-2009 18:30

Paradossalmente, lo stesso Evola riprendendo l'etimologia di "rivoluzione", mostra che il termine, venendo dal latino "re-volvere" significa "ritornare indietro", e non "ribaltare" come verrebbe fuori dal senso che tale termine ha preso negli ultimi 2 secoli....Quindi il termine "rivoluzione" ha già dentro di sè il concetto di tornare indietro!
E' significativo che pure l'etimologia i moderni sono riusciti a distorcere...
stediludo (Registered) 29-06-2009 18:35

Anch'io sono d'accordo che la ribellione deve essere innanzi tutto un fatto mentale, interiore, esistenziale. Anzi, potremmo dire che una prima differenza tra ribelle e rivoluzionario è proprio questa: il rivoluzionario si preoccupa innanzi tutto di cambiare il mondo, il ribelle che il mondo non cambi lui. Del resto ciò riecheggia la frase di De Benoist che abbiamo scelto come motto del nostro sito.
Fabio Mazza (Registered) 29-06-2009 18:39

Mi fa piacere che siamo d'accordo cari..
Andrea Marcon (Registered) 29-06-2009 19:18

Mi accodo ai complimenti a Max per il pezzo, che condivido pienamente. Capisco anche quello che intende Fabio, quando dice che spesso chi difende la legalità difende (o vuole farlo) la giustizia, l'onestà, l'integrità, etc. Il problema, però, è che - come ha scritto Max - troppo spesso questi stessi soggetti di occupano solo di determinate ingiustizie e finiscono quindi con l'essere oggettivamente - il che non significa per forza volutamente - dei difensori del sistema e quindi dell'ingiustizia, quella più profonda.
simone.org (Registered) 30-06-2009 00:29

Trovo bellissimo questo articolo, ma anche gli spunti che sono arrivati dai commenti, in particolare la distinzione ribelle-rivoluzionario, cui non avevo mai pensato, pensando appunto a me stesso come a un rivoluzionario (pur avendo come ideale di rivoluzione un mondo credo simile a come molti di voi lo concepirebbero).

In effetti però non dobbiamo criticare il concetto puro di legaritarismo ma l'uso che se ne fa.
Pensateci, se vivessimo in mondo ribaltato, con nuove leggi - a nostro avviso, naturalmente giuste - noi le rispetteremmo, saremmi dei legalitari e pretenderemmo che tutti le rispettassero, pur coi dovuti spazi di dissenso.

Quello che ci sta scomodo credo sia il legaritarismo attuale, succube di leggi infami.
Fabio Mazza (Registered) 30-06-2009 08:49

Per rispondere ad Andrea, credo infatti che nostro compito sia avvicinare i più sensibili e onesti di questi soggetti, per sensibilizzarli alle nostre battaglie e al nostro modo di vedere il mondo..e credo che in molte cose la convergenza sia molto evidente.

Per Simone, difatti il concetto di legalitarismo è stato usato (sic) anche dalle classi "rivoluzionarie" una volta preso il potere, per conservare o affermare i loro principi (e spesso interessi) vedi rivoluzione francese con la borghesia, classe moderna per eccellenza, che spazza via definitivamente i residui della nobiltà medioevale; vedi rivoluzione russa, con la "legalità" sovietica che si sostituisce a quella degli zar..quindi il concetto di legalità è stato usato in maniera ambigua e sicuramente occorre scagliarsi contro il concetto di legalità se intesa come obbedienza cieca alle leggi, senza meditarne il contenuto. Non dimentichiamo però che il Italia ci sono anche tante leggi giuste, a cui è doveroso conformarsi, e questo non ci rende meno ribelli.
Noi siamo ribelli ad un modo di intendere la vita e il mondo, e a chi difende i suoi sporchi interessi a scapito dei più.
ottavino (IP:93.146.136.4) 30-06-2009 09:20

L'articolo è ottimo e tocca tantissimi punti cruciali. Forse troppi per poterli sintetizzare in due parole.
L'uomo si è dovuto inventare le leggi per poter convivere. Come tutte le cose umane, le leggi sono, però, umane. E questo è il loro limite.
Infatti, una qualsiasi legge "naturale" è superiore alle leggi umane, in quanto non ci è possibile trasgredirla. Esempio: se mi butto dalla finestra, cado di sotto. Questo è inevitabile ed è una legge "eterna". Non posso fare una legge che dice: "se ti butti dalla finestra, volerai". O anche se la faccio, non si potrà rispettarla.
Dunque le leggi più importanti sono le leggi di "natura", che devo obbligatoriamente rispettare. Per questo, la cosa più saggia, è fare delle leggi "umane" che siano ad imitazione delle leggi di natura.
Purtroppo, però, gli uomini sono delle "bestiaccie", si sa, e hanno fatto di tutto per violare le leggi di natura. Si potrebbe dire che tutto il loro percorso storico, è la storia di questa violazione.
Ecco che, in conseguenza di questo, chi viola una legge umana, viene punito e chi viola una legge di natura, no.
Tutto ciò è veramente aberrante, ed è proprio per questo che la società moderna appare così disperatamente folle e stupida.
Per esempio, per legge bisogna pagare le multe, e quindi rispettare la legge umana, ma possiamo benissimo violare la legge naturale che ci imporrebbe di non inquinare. Violiamo così, la nostra saggezza che ci dice che l'ambiente siamo noi!! E siamo costretti a far finta di niente, a passare sopra alla nostra intelligenza, alla nostra innata sensibilità, per aderire forzatamente alle leggi dell'uomo!! Che sono sbagliate!! Che grande sofferenza!. Ci impongono di essere stupidi!
Poi c'è un'altra questione importante che "la legge" fa emergere. Ed è il fatto che puntiamo eccessivamente sulle norme per tenere ordinata la collettività. Le leggi, come l'etica, sono inefficaci allo scopo di creare una "sana" umanità. Le leggi non potranno mai obbligare un uomo ad essere felice o gioioso o a stare "bene", o a sentirsi in comunione con gli altri o a dare un senso alla vita.
Un tempo, questo ruolo veniva svolto dalle religioni, ma adesso...? Il massimo che la religione "laica" imperante sa esprimere in questo senso è: "fai quello che vuoi a patto che non danneggi l'altro". E' un pò pochino....
fosco2007@alice.it
lucianofuschini (Registered) 30-06-2009 09:41

Vorrei dire a ottavino che la religione laica imperante sarebbe ancora accettabile se si limitasse a prescrivere di essere liberi di fare ciò che si vuole purché non si danneggi l'altro. Avrebbe ancora un sapore kantiano. Il guaio è che quella religione ci suggerisce, o meglio ci impone, questo imperativo: siamo al mondo per essere felici e la felicità consiste nel possedere beni, nell'essere sani, belli, sempre giovani e competitivi, nel provare sensazioni sempre più forti. Gli effetti di questo martellamento che desertifica le menti di intere generazioni sono sotto gli occhi di tutti.
ottavino (Registered) 30-06-2009 13:05

Si, è vero, il grosso guaio è quello che dici tu, Luciano. Ma quello è un effetto, la cui causa risiede proprio nel non saper dire altro che "fai quello che vuoi ecc, ecc". Infatti se prendiamo per buona questa affermazione, immediatamente ci ritroviamo in un mondo nel quale ci saranno persone che in virtù della loro forza (economica, mediatica, culturale, ideale, ecc) FARANNO PIU' DI TE quello che vogliono. E' un modo per far si che i forti dominino.
ottavino (Registered) 30-06-2009 13:16

Fantastico, no? Così si realizza la non-ugaglianza dei cittadini e tutti devono stare zitti perchè il "principio sacro" è rispettato!!
antoniogentilucci@gmail.com
antonio.gentilucci (Registered) 02-07-2009 23:32

Bellissimo pezzo Max. Mi è piaciuto veramente molto.
amugnolo (Registered) 04-07-2009 10:53

Io sono un ribelle. Lo sono in quanto intendo continuare a difendere nel mio foro interno quei valori che sento naturalmente giusti, oltre che per difendermi dall'invadente confusione di un mondo che continua a sconvolgere quei valori. Ritrovarmi e unirmi ad altri ribelli mi aiuta a mantenermi integro.
Io sono un rivoluzionario. Lo sono in quanto intendo ripristinare un mondo in cui quei valori siano la base del vivere in un vero Stato. Questo intento è condiviso con gli altri ribelli che oltre all'azione di conservazione auspicano e agiscono per la ricostruzione.
Il riferimento alla rivoluzione conservatrice mi sembra ottimo.
Andrea Mugnolo
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